Che cosa sono le elezioni di midterm?

Viste da qui, dall’Europa, le elezioni di metà mandato possono sembrare un’assurdità. Perché rinnovare la Camera dei deputati e un terzo del Senato ogni quattro anni, esattamente a metà del mandato del presidente in carica? Eppure, negli Stati Uniti parliamo della norma. E della normalità. In effetti, quella americana è la sola democrazia sviluppata ad avere termini legislativi così brevi (e intensi, verrebbe da dire). Basti pensare che, oltre a midterm, a ogni elezione presidenziale corrispondono pure il rinnovo della Camera e, per un terzo, del Senato. Detto ciò, ribadiamo, perché il ciclo elettorale del Congresso dura poco e, soprattutto, in che modo può influire sul governo del Paese? Facciamo un po’ di chiarezza.
Un po' di storia
Ai tempi dei padri fondatori, i neonati Stati Uniti erano indecisi se prediligere politiche e mandati a breve termine, con il rischio di indurre in errore gli elettori, o se garantire ai rappresentanti più anni, in questo caso con il rischio che il Paese potesse sprofondare nella tirannia. Il compromesso, appunto, fu trovato nella legislatura bicamerale: da una parte i senatori, esperti, saggi se vogliamo, con una finestra di permanenza più lunga (sei anni, oggi, con le scadenze dei mandati distribuite nel tempo in modo che un terzo dei senatori sia rinnovato ogni due anni ); dall’altra i membri della Camera, più volatili o, meglio, più suscettibili del giudizio e degli umori della popolazione, con mandati biennali.
Che cosa rischia Joe Biden?
Detto ciò, è evidente che elezioni di metà mandato, o midterm, rendono difficile, molto difficile governare. Venendo ai giorni nostri, immaginatevi quanta (poca) libertà di movimento avrebbe Joe Biden con un Senato a maggioranza repubblicana. Che ne sarebbe, insomma, delle leggi su temi come la transizione energetica, l’immigrazione, l’allargamento del diritto di voto, la regolamentazione delle armi, la riforma del sistema sanitario, la protezione del diritto all’aborto e via discorrendo?
Il Congresso, ovvero l’organo legislativo americano, formato da Camera e Senato, riparte (quasi) da zero dopo ogni elezione di metà mandato. I vari progetti di legge muoiono, le commissioni vengono sospese. Questo, va da sé, qualora vi sia un cambiamento di colore politico dell’una o dell’altra camera. Il tempo, quindi, per ogni presidente in carica diventa la risorsa più preziosa di tutte. Di qui la necessità, da parte dei democratici, di portare a termine tante, tantissime azioni legislative la scorsa estate.
Il tentativo di Johnson
Di più, le elezioni di metà mandato rappresentano uno sforzo notevole in termini di campagna. Per molti membri della Camera può essere snervante, se non addirittura una fonte di distrazione. Alcuni, a tal proposito, hanno affermato candidamente di aver dedicato anche 20-30 ore a settimana per organizzare il battage mediatico.
Almeno due volte, nell’ultimo decennio, singoli membri del Congresso hanno proposto o suggerito emendamenti costituzionali per modificare la durata dei mandati. Nel 1966, fu il presidente Lyndon Johnson in persona – forte dei suoi 25 anni trascorsi in Congresso – a proporre una modifica: addio midterm, sì a mandati di quattro anni. «Le pressioni concorrenziali imposte dal mandato di due anni – disse Johnson – hanno ridotto la capacità di un legislatore di svolgere entrambi i compiti, fare campagna o legiferare, con la completa attenzione richiesta dalla sua coscienza e dall’interesse pubblico».
Un’idea di per sé corretta, e condivisibile, a maggior ragione se pensiamo a come funzionano le democrazie europee. Ma gli emendamenti costituzionali, per fare centro, necessitano del sostegno di una maggioranza pari a due terzi in entrambe le camere del Congresso e nei tre quarti degli Stati. Né il tentativo di Johnson né tantomeno quelli più recenti hanno avuto successo. E così, oggi ci ritroviamo con gli occhi puntati verso l’America.