Dopo la firma

Che cosa sta funzionando, e cosa no, nella fase 1 del piano di Trump per Gaza

Le bombe hanno smesso di cadere e gli ostaggi ancora vivi sono stati liberati – La mancata (o incompleta) applicazione di alcuni punti sta tuttavia alimentando le tensioni fra le due parti
©MOHAMMED SABER
Red. Online
16.10.2025 19:00

Partito ufficialmente lunedì - dopo la firma, a Sharm el-Sheikh, di Donald Trump - il piano di pace per Gaza sta venendo implementato da Israele e Hamas. Sin dalle prime ore ha dato i suoi frutti: le bombe di Tel Aviv hanno smesso di cadere e gli ostaggi ancora vivi nella Striscia sono stati liberati, mentre quasi 2.000 palestinesi trattenuti nelle carceri israeliane hanno potuto fare ritorno a Gaza. Mentre proseguono i negoziati per l'implementazione della fase 2, tuttavia, la mancata applicazione di alcuni punti della fase 1 sta alimentando le tensioni tra le due parti. Vediamo di capire quali.

Ostaggi e aiuti umanitari

Buona parte della fase 1 verte sul rilascio degli israeliani e palestinesi trattenuti. Nelle prime ore di cessate il fuoco, come da accordo, Israele ha rilasciato 250 prigionieri palestinesi condannati per crimini vari e circa 1.700 abitanti di Gaza trattenuti da Tel Aviv senza alcuna accusa. Allo stesso tempo, Hamas ha rilasciato gli ultimi 20 ostaggi israeliani che, rapiti nei massacri del 7 ottobre 2023, sono ancora in vita.

Nelle ore e giorni seguenti, Hamas ha trasferito a Israele i corpi di alcuni degli ostaggi morti nei due anni di guerra a Gaza. Non tutti, però: i resti di 19 rapiti, riporta il Times of Israelsi trovano ancora nella Striscia.

© Wikipedia
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Il piano in 6 punti della fase 1, in effetti, prevede la riconsegna di tutti gli ostaggi, vivi o morti, entro 72 ore dal cessate il fuoco. Nell'accordo, tuttavia, si specifica (punto 5c) che il termine in questione riguarda la riconsegna degli ostaggi deceduti i cui corpi sono in possesso di Hamas e delle altre fazioni palestinesi. Tutti gli altri corpi che non siano stati recuperati entro le 72 ore, dovranno esserlo il prima possibile, e in tal senso (punto 5e) - con la firma sull'accordo - Hamas è tenuto a «garantire l'adempimento di questi impegni nel più breve tempo possibile».

Considerato, insomma, che per la riconsegna dei cadaveri degli ostaggi non esiste una deadline precisa, Hamas potrebbe aver deciso di ritardare intenzionalmente la riconsegna dei corpi rimasti, in attesa di continuare le negoziazioni, come accusa Israele. Certo è che, già nella fase di negoziazione, Tel Aviv aveva riconosciuto che non tutti i corpi sarebbero potuti rientrare in Israele in tempi rapidi. Alcuni potrebbero infatti trovarsi nelle parti della Striscia ancora sotto controllo delle forze israeliane (off-limits per tutti i palestinesi) o sotto i 55 milioni di tonnellate di detriti creati dai bombardamenti nell'enclave palestinese. Il negoziatore israeliano per i prigionieri, Gershon Baskin, ha sottolineato negli scorsi giorni, poi, che alcuni comandanti di Hamas che hanno seppellito i corpi dei prigionieri non sono più in vita. E con la loro morte potrebbe essere andati persi per sempre anche i corpi degli ostaggi. Nelle ultime ore, riporta Al Jazeera, il governo israeliano ha negato l'approvazione per l'ingresso di macchine pesanti e strumentazione necessari per la rimozione dei detriti e la ricerca dei corpi di palestinesi e israeliani.

Da parte sua, Israele (punto 3) è tenuto a garantire «l'immediata entrata a pieno regime degli aiuti umanitari e dei soccorsi, come stabilito nella proposta, e almeno in conformità con l'accordo del 19 gennaio 2025 sugli aiuti umanitari». Una quantità equivalente ad almeno 600 camion al giorno. Tuttavia, adducendo come giustificante il fatto che non tutti gli ostaggi israeliani, vivi o morti, siano stati immediatamente consegnati da Hamas, Tel Aviv ha notificato all'ONU martedì che avrebbe consentito l'ingresso nella Striscia di Gaza di un massimo di 300 camion di aiuti al giorno, la metà del numero concordato negli accordi.

Il cessate il fuoco e le armi di Hamas

Dall'inizio del cessate il fuoco, come detto, le bombe hanno smesso di cadere su Gaza. Almeno 23 palestinesi, tuttavia, sono stati uccisi dall'esercito israeliano nella Striscia. Cinque di questi, secondo testimonianze raccolte da media internazionali, sono stati colpiti da un drone mentre ispezionavano le proprie case in un'area residenziale nell'est di Gaza City. Le forze israeliane hanno giustificato questo e altri attacchi ai danni dei palestinesi definendoli come sconfinamenti nelle "aree gialle" sotto il controllo israeliano. 

Al riguardo, la ong di veterani israeliani Breaking the Silence ha pubblicato un post critico in cui evidenzia come la linea esista «solo su una mappa, non sul terreno. I palestinesi vengono colpiti per aver oltrepassato una linea di demarcazione di cui non conoscono nemmeno l'esistenza. Le stesse regole di ingaggio che abbiamo visto vicino ai "siti di aiuto" del GHF e in tutta la Striscia», a guerra in corso.

Intanto, Hamas ha mantenuto il controllo sulle proprie armi. Negli ultimi mesi, Israele ha chiesto con forza il disarmo del gruppo palestinese: un punto che probabilmente farà parte della fase 2 del piano di Trump per Gaza. Il presidente statunitense, nel giorno della firma, ha fatto sapere di aver dato approvazione perché il gruppo svolga, «per un periodo di tempo» (non meglio specificato) il ruolo di forza di polizia palestinese. «Vogliono porre fine ai problemi e lo hanno detto apertamente, e abbiamo dato loro l'approvazione per un periodo di tempo». Nei giorni seguenti, poi, il tycoon ha comunque sottolineato che il disarmo deve avvenire. «Se non lo faranno entro un periodo di tempo ragionevole, ci penseremo noi».

In questo momento video e testimonianze raccolte dai media internazionali evidenziano come il gruppo stia usando le armi in proprio possesso per combattere altre milizie armate locali, come il clan Doghmush - con il quale Hamas si scontra saltuariamente sin dalla sua ascesa al potere nella Striscia. Tra i conflitti aperti, anche quello con il clan Abu Shabab, gruppo che - secondo quanto emerso mesi fa - sarebbe armato direttamente da Israele. Fonti della Difesa hanno confermato al Times of Israel che Tel Aviv ha fornito Kalashnikov e altre armi ai membri di questo gruppo armato, con l'approvazione del premier Benjamin Netanyahu ma senza il consenso del gabinetto di guerra.