Che succederà a Internet in Afghanistan?

Che ne sarà di Internet in Afghanistan? E ancora: i talebani daranno la caccia ai dissidenti, reprimendo la libertà di parola ed espressione (anche) online? Domande aperte. E attualissime, considerando da una parte la capacità dei fondamentalisti di muoversi sui social e, dall’altra, la necessità di controllare altresì l’infrastruttura digitale per avere pieno possesso del Paese. L’allarme, in questo senso, è stato lanciato da Mohammad Najeeb Azizi, un ex presidente dell’Ente afghano che regola le telecomunicazioni. «Internet è minacciato» le sue parole. Il timore, appunto, è che i talebani non permettano agli altri di accedere alla rete e di utilizzarla liberamente. Ahia.
Non a caso, molti afghani si sono affrettati a cancellare i loro profili dai social media e le stesse piattaforme si sono attivate per garantire una maggiore e miglior privacy. Da molti profili potrebbero emergere collegamenti con il precedente governo e con le forze della NATO. Diverse organizzazioni non governative, invece, hanno invitato fornitori privati e organizzazioni internazionali a chiudere o rendere completamente sicuri i database biometrici che contengono, fra le altre cose, scansioni della retina e impronte digitali. Alcuni di questi sistemi, tuttavia, sono già nelle mani dei talebani.
Controllo, non censura
Se è vero che i talebani, sul breve periodo, useranno la tecnologia per rintracciare i loro nemici, è altrettanto vero che la preoccupazione maggiore riguarda il futuro a lungo termine. È improbabile, sostengono i più, che i nuovi (vecchi) padroni dell’Afghanistan taglino fisicamente i cavi come avevano fatto in passato. Semmai, è ipotizzabile che agiscano in determinate zone o province per colpire gruppi precisi. È inoltre possibile, se non addirittura probabile, che i talebani avvieranno azioni per intimidire le società di telecomunicazioni straniere responsabili, per gran parte, della rete afghana. Lunedì, riportano le agenzie, i leader hanno incontrato l’Ente preposto. Un’operazione in linea con la strategia di controllare ogni apparato dello Stato.
Nessuno, insomma, vuole che Internet sparisca dal Paese. Ma prima o poi i talebani vorranno chiarire chi è il nuovo sceriffo in città, come spiega Politico. Non un regime di censura vero e proprio, né un controllo in stile cinese dell’informazione online. Bensì, come dicevamo, azioni specifiche e puntuali. Nell’immediato, i talebani potrebbero colpire diplomatici, organizzazioni non governative e media, o ancora controllare chi – fra la popolazione – ha fatto domanda per lasciare il Paese. Le società straniere che gestiscono la rete afghana, inoltre, potrebbero ricevere forti pressioni (eufemismo) per consegnare dati, in particolare i registri di messaggistica.
La questione etica
L’Afghanistan, sul fronte della tecnologia, ha potuto beneficiare negli ultimi due decenni di forti investimenti esteri. Stati Uniti e Banca Mondiale, a grandi linee. Investimenti che hanno favorito l’emergere di una vera e propria economia digitale, con svariate start-up e servizi online. Tutto ciò, va da sé, prima che i talebani riprendessero il controllo. Inizialmente, Internet era gestito dall’operatore statale Afghan Telecom che aveva lanciato le reti 2G e 3G di concerto con il fornitore cinese ZTE. Nello scorso decennio, per contro, il Paese si è aperto agli operatori privati. Citiamo il sudafricano MTM Group e il gruppo Etisalat degli Emirati Arabi Uniti oltre all’azienda svedese Telia che per anni ha avuto delle quote nell’operatore locale Roshan.
Il paradosso? Proprio la presenza di operatori stranieri potrebbe spingere i talebani a un approccio più moderato verso la rete, nel segno di un compromesso. Ma Etisalat ha alle spalle una forte esperienza in termini di censura e blocchi nel suo Paese, gli Emirati.
In generale, è lecito chiedersi se e quanto gli operatori stranieri sapranno resistere alle pressioni talebane e, soprattutto, quanta voglia avranno di mantenere operativa la rete. Lo scorso giugno, diverse antenne erano state prese di mira dal gruppo fondamentalista lasciando molti afghani senza connettività. Molte aziende stanno valutando, sulla falsariga degli americani, una strategia di uscita. MTM Group ha sul tavolo diverse opzioni in questo senso, con buona pace dei 6,3 milioni di abbonati nel Paese asiatico.
Il business, mai come in questo caso, si mischia a questioni etiche e politiche. Secondo diverse organizzazioni, infatti, gli operatori stranieri hanno il dovere di difendere quel poco che resta dei diritti degli afghani.