Chi decide cos’è una donna? Il caso Semenya divide lo sport e porta la Svizzera a processo

È attesa per domani, giovedì 10 luglio, la decisione definitiva della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) sul caso Semenya contro Svizzera. La vicenda riguarda l’obbligo per alcune atlete nate con caratteristiche sessuali atipiche – tra cui un livello naturalmente elevato di testosterone – di abbassare farmacologicamente tali valori per poter gareggiare in competizioni femminili. La decisione potrebbe avere ripercussioni sul sistema sportivo internazionale, ma anche sul ruolo dei tribunali arbitrali e sulla protezione dei diritti umani da parte degli Stati che li ospitano.
Il caso
Caster Semenya, mezzofondista sudafricana due volte campionessa olimpica negli 800 metri, è nata con una variazione delle caratteristiche sessuali, classificata come Difference in Sex Development (DSD). Nel 2018 la federazione internazionale di atletica leggera, World Athletics, ha introdotto un regolamento che impone alle atlete con DSD di assumere farmaci per abbassare i livelli di testosterone, qualora intendano partecipare a gare tra i 400 e i 1600 metri nella categoria femminile.
Semenya si è opposta a tale prescrizione e, a partire dal 2019, non ha più potuto partecipare alle competizioni internazionali. La sua contestazione è stata inizialmente esaminata dal Tribunale arbitrale dello sport (TAS/CAS), con sede a Losanna, che ha confermato la validità del regolamento. Un successivo ricorso al Tribunale federale svizzero ha avuto lo stesso esito. L’atleta si è quindi rivolta alla Corte EDU.
I diritti in discussione
La Corte europea è chiamata a esprimersi su tre articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo:
- il diritto al rispetto della vita privata (art. 8 CEDU),
- il divieto di discriminazione (art. 14),
- il diritto a un ricorso effettivo (art. 13).
Nel luglio 2023, una prima pronuncia della Corte aveva stabilito che la Svizzera non aveva garantito a Semenya un esame adeguato delle sue denunce da parte delle autorità giudiziarie, rilevando quindi una violazione dei suoi diritti. La decisione era stata impugnata dallo Stato elvetico, che ha chiesto un riesame da parte della Grande Camera, il massimo grado di giudizio della Corte.
Il ruolo della Svizzera
Il legame tra la vicenda e la Svizzera riguarda la sede del Tribunale arbitrale dello sport (TAS/CAS), che ha sede a Losanna. Creato nel 1984 su iniziativa del Comitato olimpico internazionale, il TAS/CAS è un tribunale privato che si occupa della risoluzione delle controversie in ambito sportivo. Gli atleti che partecipano a competizioni internazionali accettano di vincolarsi a tale giurisdizione, rinunciando di fatto ad adire tribunali pubblici.
Questo elemento ha sollevato interrogativi circa la possibilità, per persone soggette a decisioni del TAS/CAS, di accedere a garanzie giudiziarie equivalenti a quelle offerte dai sistemi giuridici statali. La Corte EDU dovrà quindi valutare se il sistema arbitrale – e la vigilanza esercitata dalle autorità svizzere – rispetti gli standard previsti dalla Convenzione.
Le questioni aperte
Il caso Semenya contro Svizzera solleva due serie di questioni. La prima riguarda il rapporto tra sport e diritti delle persone intersessuali: è legittimo richiedere modifiche ormonali per garantire l’equità nelle competizioni? In che modo tali regolamenti possono incidere sulla privacy e sull’integrità fisica degli atleti?
La seconda riguarda l’equilibrio tra autorità pubbliche e organismi privati. Organizzazioni come World Athletics o il TAS/CAS esercitano un’influenza significativa sulla vita professionale degli atleti, pur operando fuori dai circuiti giurisdizionali statali. La sentenza della Grande Camera potrebbe fornire indicazioni su come bilanciare autonomia sportiva e tutela dei diritti fondamentali, anche quando a essere coinvolti sono enti privati con sede in paesi terzi.
L’esito del pronunciamento potrebbe incidere sul modo in cui le federazioni sportive internazionali redigono e applicano i propri regolamenti, ma anche sul ruolo di vigilanza che gli Stati devono esercitare sui meccanismi arbitrali che si svolgono nel loro territorio. Il verdetto della Corte EDU costituirà una tappa significativa nel dialogo tra sport, giustizia e diritti umani in Europa.