Il reportage

«Chi domina queste colline, guarda sul Paese da Nord a Sud»

Viaggio in Cisgiordania, dove continuano a moltiplicarsi gli insediamenti israeliani – Una storia di bandiere e giustificazioni – Ariel Bulshtein, consigliere di Benjamin Netanyahu sulla politica estera, spiega: «La Giudea e la Samaria sono il cuore della sicurezza di Israele»
© KEYSTONE (REUTERS/Ronen Zvulun)
Luca Steinmann
22.08.2025 06:00

Dalla cima di una collina ricoperta di ulivi Boaz indica verso sud in direzione di Qualquyila, la prima cittadina della Cisgiordania che costeggia il muro che divide questa regione da Israele. «È abitata solo da arabi», dice osservandone i tetti piatti delle case e i minareti che svettano tra loro. «Lì non posso entrare, non ne uscirei vivo». Poi sposta lo sguardo verso destra. «Laggiù invece c’è Zufim, un insediamento composto da 500 famiglie ebraiche. Sono state installate lì da Ariel Sharon negli anni Ottanta per rompere la continuità territoriale tra i centri abitati arabi ubicati su entrambi i lati del muro». Oltre ad esso si intravedono Tira e Tzur Tayibeh, situate in territorio israeliano e popolate prevalentemente da arabi. «Molti di loro si sentono comunque palestinesi anche se hanno passaporto israeliano», continua amaramente Boaz. «Questo è il cuore di Israele, se gli arabi lo controllassero taglierebbero in due il Paese e metterebbero sotto scacco la nostra sicurezza. È perciò fondamentale che qui ci siano degli insediamenti ebraici. La loro disposizione non è motivata solo dalla nostra missione ideologica ma anche da calcoli strategici. I loro abitanti sono la prima linea della nostra sicurezza».

Boaz ha 67 anni ed è un colono israeliano che vive in Cisgiordania. Suo padre veniva da Kiel, in Germania, da dove scappò nel 1938, dopo la «notte dei cristalli», per stabilirsi nell’allora mandato di Palestina e poi in Israele. Nei primi anni Settanta, fu tra i pionieri che iniziarono a installare la presenza ebraica in Cisgiordania, dove secondo il diritto internazionale dovrebbe invece sorgere lo Stato di Palestina. Oggi Boaz abita in una colonia a Hebron e fa parte del Likud, il partito di maggioranza del premier israeliano Benjamin Netanyahu il cui governo sta approvando l’installazione di sempre più colonie, allontanando così la creazione di uno Stato palestinese. «Questa è una terra ebraica, gli arabi sono arrivati dopo», dice Boaz. «L’80% degli avvenimenti narrati nella Bibbia sono avvenuti qui. Per 2000 anni abbiamo pregato di potervi fare ritorno, oggi finalmente lo stiamo facendo». Se nel 1993 vi abitavano 100mila ebrei, oggi sono circa 800mila, a fronte di tre milioni di palestinesi dai quali vivono quasi sempre in maniera segregata. Entrambi hanno bisogno di permessi speciali dell’esercito israeliano per entrare nelle zone altrui.

Salito in macchina, Boaz sfreccia per le colline della Cisgiordania, attraversando varie colonie: città e villaggi moderni, simili a quelli che si trovano in Israele dall’altra parte del muro. Per le loro strade si vedono persone di tutti i tipi: donne, bambini, uomini, alcuni dei quali con le kippah in testa e lunghe basette affusolate, parecchi di loro portano fucili sulle spalle. Le bandiere israeliane sventolano ovunque. La strada costeggia anche numerose città e villaggi palestinesi, dentro i quali Boaz non entra mai.

Il moltiplicarsi degli insediamenti ebraici, continua a raccontare, si fonda su tre elementi principali: innanzitutto risponde a una interpretazione ideologica della Bibbia che ritiene che il popolo ebraico debba espandere la propria presenza delle zone dove ha origine, quindi principalmente in Giudea e Samaria, le regioni bibliche situate nell’odierna Cisgiordania. La seconda, non meno importante, è legata alla sicurezza di Israele e alla volontà del suo governo di estendere il proprio controllo su queste regioni. «Gli insediamenti sono un antidoto alla presenza dei terroristi palestinesi», dice Boas. «Laddove ci sono comunità ebraiche, i terroristi non arrivano. Se provano a farlo si trovano confrontati con i loro abitanti e con l’esercito e la polizia israeliana. Ciò permette una avanzata delle nostre forze di sicurezza che possono così svolgere in loco anche attività di intelligence e di controllo della circolazione». Il terzo motivo risponde agli obiettivi politici del governo israeliano di estendere la propria sovranità sulla Cisgiordania e scongiurare così la possibilità della formazione di uno Stato palestinese. «La Giudea e la Samaria sono il cuore della sicurezza di Israele», spiega Ariel Bulshtein, consigliere di Netanyahu sulla politica estera. «Chi ne domina le colline, guarda su tutto il Paese, da Nord a Sud. Permettervi la nascita di uno Stato palestinese sarebbe un suicidio». Lo scopo, continua a raccontare, è di «estendere la nostra sovranità su ampie fette di Giudea e Samaria attraverso il supporto internazionale che abbiamo dagli Stati Uniti, con i quali su questi dossier c’è un coordinamento al 100%. Quando lo avremo fatto non costringeremo gli arabi ad andarsene. Se vorranno, potranno restare a vivere in pace con noi». «Ma senza avere il passaporto israeliano e senza che possano votare al parlamento», puntualizza Boas. «Sarebbe un suicidio demografico. Ma potranno invece votare all’interno di loro amministrazioni locali».

Raggiunta la cima di un’altra alta montagna, Boaz si affaccia sulla città palestinese di Nablus, dopo la quale iniziano catene di brulle colline che si estendono verso nord. «Da qui in avanti le comunità ebraiche sono poco numerose, è anche per questo che queste zone sono piene di terroristi. Sarà importante installarvi nuove comunità». Mentre le colonie si moltiplicano in Cisgiordania, alcuni israeliani sognano di avanzare con gli insediamenti anche nella Striscia di Gaza. Nel quartiere ebraico nella città vecchia di Gerusalemme, 90 chilometri più a sud, sventola un grande cartellone che recita: «Make Gaza Jewish again». Rendiamo Gaza di nuovo ebraica. Una posizione, questa, non condivisa dalla totalità della popolazione, ma che è mainstream in gran parte del governo israeliano attuale. A Gaza, però, secondo Boaz, la convivenza con i palestinesi sarà impossibile. «La popolazione di Gaza ha festeggiato il 7 ottobre».