Il caso

Chi è Fulgence Kayishema, il latitante del genocidio del Ruanda arrestato dopo 29 anni

L'uomo era responsabile del massacro di oltre 2.000 Tutsi avvenuto in una chiesa nell'aprile 1994 — Negli ultimi tempi, viveva sotto pseudonimo e lavorava in una fattoria della campagna vinicola sudafricana
© AP Photo/Ben Curtis, File
Red. Online
25.05.2023 21:45

Fulgence Kayishema. Questo il nome di uno dei quattro latitanti del genocidio del Ruanda del 1994, catturato nelle scorse ore. L'uomo, che nel 2001 era stato accusato per il massacro in cui morirono bruciate in una chiesa più di 2.000 persone tra uomini, donne e bambini Tutsi, è stato arrestato ieri in Sudafrica, a pochi chilometri di distanza da Città del Capo. Conosciuto anche come Donatien Nibasumba, in quel momento si trovava al lavoro come guardia di sicurezza in una fattoria della campagna vinicola, quando improvvisamente si è trovato circondato dalla polizia, che gli dava la caccia da quasi 30 anni. 

© AP International Residual Mechanism for Criminal Tribunals (IRMCT)
© AP International Residual Mechanism for Criminal Tribunals (IRMCT)

Il massacro nella chiesa

Riavvolgiamo il nastro. Aprile 1994. Come dicevamo, il latitante, tra i più ricercati al mondo, era stato incriminato per il suo ruolo e il suo coordinamento in quello che viene considerato come uno peggiori crimini singoli del genocidio del Ruanda. Vale a dire, il massacro di oltre 2.000 Tutsi che si nascondevano dai loro aggressori Hutu in una chiesa. Chiesa in cui cercavano riparo, senza sapere che dietro alla supervisione del massacro si celava anche il sacerdote Athanase Seromba. Dopo tre giorni di assedio, la chiesa venne incendiata. A portare il carburante da cui divamparono le prime fiamme fu proprio Kayishema. La stessa persona che aveva ordinato ai suoi uomini di radunare migliaia di Tutsi all'interno della chiesa.

Non soddisfatti del risultato ottenuto dal rogo, Kayishema e i suoi seguaci avevano quindi richiesto l'intervento di un bulldozer, che demolì le pareti fino a far crollare il tetto sulle vittime intrappolate all'interno dell'edificio. Fatti atroci, che risalgono a 29 anni fa, ma per cui le ricerche non si sono mai fermate. 

L'arresto

Tuttavia, negli ultimi 22 anni passati dall'incriminazione da parte del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, Fulgence Kayishema era sempre riuscito a scappare alla giustizia. Forse, proprio per questo motivo, l'arresto di ieri è stato così inaspettato. In un primo momento, l'uomo ha negato con tutte le sue forze di essere la persona ricercata dagli agenti. Ricevendo appoggio dalla popolazione locale. Dopotutto,  Kayishema era un dipendente fidato e benvoluto dall'intera comunità agricola di Paarl, dove aveva addirittura salvato una donna del posto da un'aggressione. «Non sono Fulgence Kayeshima. Dio sarà il mio giudice», ha ripetuto più volte, mentre veniva prelevato dalla fattoria. 

La resa dei conti è arrivata a distanza di poche ore, in una stazione di polizia. Solo in quel momento, dopo quasi 30 anni sotto pseudonimi, l'uomo ha finalmente confessato di essere la persona ricercata, ammettendo la sua identità. Kayeshima ha aspettato a lungo di essere trovato. Così a lungo che ormai, secondo i funzionari coinvolti nell'arresto, non si aspettava nemmeno più che potesse succedere. «Non aveva idea che stesse per accadere. Non poteva pensare che ci saremmo mossi così rapidamente. Era sbalordito di trovarsi in questa situazione, nel suo posto di lavoro, con l'unità d'intervento della polizia sudafricana con passamontagna, giubbotti antiproiettile e fucili lunghi», ha dichiarato uno degli agenti coinvolti nell'arresto, secondo quanto riportato dal Guardian. E invece, è successo proprio quando meno se lo aspettava. In una sera dell'autunno sudafricano, mentre stava lavorando. 

Verso il processo

Ma come ha fatto Kayeshima a scappare alla giustizia per tutti questi anni? Quando il regime Hutu cadde, lui e la sua famiglia attraversarono prima la Repubblica Democratica del Congo e poi la Tanzania dove si registrarono sotto falso nome come rifugiati burundesi. Dopo poco, si spostarono ancora, in un primo momento verso il Mozambico e successivamente verso ESwatini. Fino ad arrivare, appunto, in Sudafrica. Nel 1999. Dopo un percorso costellato da continui cambi di identità. 

Secondo l'ufficio del procuratore, questa latitanza di quasi 30 anni è stata possibile grazie all'intervento di alcuni familiari e da altri uomini coinvolti nel genocidio. Che avrebbero tenuto nascosto Kayishema, permettendogli di sfuggire alla polizia. Proprio in Sudafrica, poi, l'uomo avrebbe ottenuto asilo con il nome di Donatien Nibasumba. Di più, sostenendo di essere stato vittima dello stesso tipo di persecuzione che aveva inflitto, a sua volta, ai Tutsi ruandesi. Col tempo, le sue tracce si erano piano piano perse, complice anche la chiusura del Tribunale penale internazionale per il Ruanda nel 2015. 

A portare definitivamente all'arresto, ieri, è stata la testimonianza di un conoscente di Kayishema. Minacciato di espulsione, alla persona coinvolta – la cui identità è ignota – è stata data un'ora di tempo per scegliere di collaborare con la giustizia. Il suo intervento ha portato a un'approfondita ricerca e alla scoperta di documenti che hanno identificato Nibasumba come ultimo pseudonimo del fuggitivo. Nel giro di un'ora, le forze d'intervento sudafricane erano già sul posto. 

Ora, un tribunale sudafricano sarà incaricato di confermare il trasferimento di Kayishema al meccanismo di custodia dei tribunali. Prima di essere portato ad Arusha e poi a Kigali per il processo che lo attende da quasi 30 anni. 

In questo articolo: