Il caso

Chi era Viktoriia Roshchyna, la giovane reporter ucraina torturata dai russi

Alcuni media, tra cui il Guardian, hanno ricostruito, grazie a diverse testimonianze, gli ultimi mesi della giornalista: dalla cattura, nell'estate del 2023 alla terribile detenzione a Taganrog, fino alla misteriosa morte, lo scorso settembre
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Red. Online
30.04.2025 21:00

Quando è stata identificata, a febbraio, di lei rimanevano, ormai, solo resti. Quella di Viktoriia Roshchyna, la reporter ucraina torturata dai russi, non è una storia facile da raccontare. La giovane donna era stata catturata nell'estate del 2023, mentre si trovava nelle vicinanze della centrale nucleare di Zaporizhzhia. È morta, dopo un anno di detenzione, a soli 27 anni. 

Il suo corpo, o quello che ne rimaneva, è stato scambiato insieme ai resti di 757 soldati ucraini consegnati da Mosca a Kiev. Per ognuno dei corpi, avvolti nella plastica bianca, i russi avevano fornito un numero, un nome, un luogo e, a volte, anche la causa del decesso. Ma non per Viktoriia. A lei era stata dedicatata un'ultima pagina, con la voce misteriosa «NM SPAS 757». Lettere che corrispondevano all'abbreviazione di «uomo non identificato» e «danni estesi alle coronarie». 

Solo dopo diverse settimane, i funzionare hanno confermato al Guardian e ad altre testate che quei resti, privi di etichetta, appartenevano in realtà a una donna. A Viktoriia Roshchyna. La giovane è stata catturata in quello che era il quarto viaggio di reportage nei territori ucraini occupati. In quel momento della guerra, era «l'unica giornalista ucraina disposta a rischiare di attraversare la linea del fronte». Viktoriia Roshchyna era una delle poche reporter disposte a tutto, pur di raccontare la verità. 

Ancora oggi, le informazioni sulle circostanze della sua morte non sono state del tutto chiarite. Ma ciò che è stato reso noto mette i brividi. Roshchyna è stata detenuta senza accuse e senza accesso a un avvocato. Durante la sua prigionia, il suo unico contatto con il mondo esterno – di cui si è a conoscenza – è stato una telefonata di quattro minuti i suoi genitori. Un anno dopo il suo rapimento. Ma c'è di peggio. Molto peggio. Dalle prime perizie forensi, sui suoi resti sono emersi «numerosi segni di tortura». Secondo il pubblico ministero, tra questi ci sono segni di bruciature sui piedi, causati verosimilmente da scosse elettriche. Ma anche abrasioni sui fianchi e sulla testa, e una costola rotta. 

Non solo. Alla giovane donna erano stati rasati i capelli e, secondo fonti vicine all'inchiesta ufficiale, dal suo cadavere è emersa a rottura dell'osso ioide del collo. Un tipo di frattura che può verificarsi durante lo strangolamento. La vera causa di morte di Roshchyna, però, potrebbe non venir mai scoperta. Quando il suo corpo è stato restituito, lo scorso febbraio, mancavano infatti alcune parti. Come cervello, occhi e laringe. Ora è stata aperta un'indagine per crimini di guerra con l'obiettivo di perseguire i responsabili.

«Progetto Viktoriia»

Il Guardian, in collaborazione con i media partner, tra cui l'editore di Roshchyna, Ukrainska Pravda, e la redazione francese Forbidden Stories, ha raccolto testimonianze per ricostruire gli eventi che hanno portato alla cattura di Roshchyna, insieme ai dettagli del suo trattamento in detenzione. Un rapporto che fa parte del «Progetto Viktoriia» e dell'indagine sul rapimento e sulla tortura sistematica di circa 16.000 civili. Ciò per cui la stessa vittima si batteva, da quando era scoppiata la guerra in Ucraina. 

Viktoriia Roshchyna – anche conosciuta come Vika – veniva descritta dai colleghi come una persona «ossessionata dal lavoro» e «intransigente». «Non aveva vita al di fuori del suo lavoro, né amici né partner. Ma svolgeva anche un lavoro straordinario. Per lei era una missione», ha raccontato Sevhil Musaieva, caporedattrice di Ukrainska Pravda. «È stata una delle giornaliste più coraggiose che abbia mai incontrato nella mia carriera». Era molto attenta, nel suo lavoro. Per proteggere le sue fonti, Roshchyna usava diversi telefoni. Impostava la scomparsa dei suoi messaggi e i suoi articoli erano scritti in file che si autoeliminavano. Lei stessa, a volte, spariva per settimane, per poi riapparire solo per archiviare i suoi reportage.

I guai, per lei, sono iniziati già nel marzo 2022, quando lavorava come reporter dalla città occupata di Berdiansk. In quel periodo, fu catturata da un soldato e consegnata agli agenti del Servizio di Sicurezza Federale russo (FSB). Venne costretta a registrare un video di propaganda, ma venne rilasciata pochi giorni dopo, in seguito a una protesta pubblica. Quell'episodio l'aveva resa fragile: era dimagrita molto, e i colleghi le proposero di prendersi una pausa. Ma Roshchyna non ne volle sapere: continuò ad attraversare la linea del fronte. E a fare il suo lavoro.

Al suo ritorno a casa, i colleghi la esortarono a riposare e a cercare una terapia. Il suo stato d'animo era fragile ed era molto magra, ricordavano. Durante il suo ultimo viaggio, secondo Musaieva, stava cercando la posizione di siti segreti, scantinati o edifici industriali dove gli agenti di sicurezza russi usavano metodi di tortura per interrogare i civili o costringerli a false confessioni. Stava compilando una lista degli agenti dell'FSB responsabili

La prigionia

Il primo allarme venne dato dal padre di Roshchyna il 3 agosto, dopo essersi accorto che la ragazza aveva smesso di controllare i suoi account di messaggistica. La giovane, secondo le ricostruzioni, era entrata in Russia dalla Lettonia, a suo nome, attraverso il valico di frontiera di Ludonka. Era diretta, probabilmente, alla città di Melitopol e avrebbe viaggiato per 1.600 chilometri a sud attraverso la Russia, entrando nell'Ucraina occupata pochi giorni dopo. Poi, però, è successo qualcosa. Dalle informazioni raccolte dal padre, Roshchyna è stata posta in detenzione in una famosa prigione nella città costiera russa di Taganrog, appena dentro il confine russo.  

Una delle testimoni che ha parlato con i media, rilasciata lo scorso settembre, era la sua compagna di cella. Prima di essere cattura, Roshchyna le aveva raccontato di aver affittato un appartamento a Enerhodar, la città dormitorio vicino alla centrale elettrica di Zaporizhia. Mentre era alla ricerca dei siti segreti degli agenti di sicurezza russi, è stata probabilmente avvistata da un drone. A qul punto, è arrivata la polizia, che l'ha portata in caserma. È stata trattenuta lì per diversi giorni, prima di essere trasferita 130 km a sud, a Melitopol. Secondo il pubblico ministero, è stata spostata in un luogo segreto, noto come «garage». Qui, secondo la testimonianza della sua compagna di cella, Roshchyna è stata torturata per la prima volta. Il suo corpo, quando l'ha incontrata, era pieno di lividi. «Durante gli interrogatori, hanno usato scosse elettriche. È stata accoltellata un paio di volte», ha raccontato la donna, in forma anonima, spiegando di aver visto sul corpo di Roshchyna numerose ferite: al braccio, ma anche alla gamba. «Aveva una cicatrice fresca di coltello sull'avambraccio, sui tessuti molli tra polso e gomito. Una cicatrice di circa 3 cm. Mi ha raccontato che gliela aveva fatta un tizio brutale, fuori di testa». Non solo. «Anche sulla gamba, sopra il tallone, aveva una ferita di 5 cm».

Ma il peggio doveva ancora arrivare. Verso la fine del 2023, un agente dell'FSB, Maxim Moroz, comunicò a Roshchyna che sarebbe stata trasferita in un altro carcere, promettendole «un trattamento migliore». Secondo alcuni testimoni, fu trasportata da sola, in jeep, a Taganrog. Dove venne imprigionata in un centro di detenzione preventiva noto come Sizo 2.

Secondo un altro testimone, la ragazza, quando arrivò a Taganrog «era già piena di droghe». «È arrivata qui ed è praticamente impazzita». In questo centro di detenzione, secondo il Guardian, le condizioni di prigione sono tra le peggiori mai segnalate in uno qualsiasi dei numerosi centri di detenzione gestiti dalla Russia. Secondo l'intelligence ucraina, sono state registrate almeno 15 vittime nella prigione, sulla base di informazioni fornite dai soldati rilasciati. Nelle stanze di tortura, soldati e civili venivano sottoposti a waterboarding, percossi e sottoposti a scosse elettriche sulla sedia elettrica. Una volta fuori dalle celle, venivano costretti ad assumere la posizione «del cigno»: piegati in avanti con le mani giunte dietro la schiena all'altezza del petto. Il cibo, a Taganrog, viene severamente razionato, con quattro cucchiai e mezzo per piatto, secondo un detenuto. 

Per Roshchyna, tutto ciò ebbe conseguenze tragiche. La giovane smise completamente di mangiare. «Le parlavamo, ma era persa nei suoi pensieri, con gli occhi terrorizzati», ha ricordato la sua compagna di cella. Roshchyna passava il suo tempo raggomitolata a terra, in posizione fetale, dietro una tenda che nascondeva il bagno, fuori dalla vista delle guardie. Il suo peso, secondo la testimone, era sceso a 30 chili. «Riusciva a stare in piedi, ma solo con il mio aiuto, perché era in uno stato tale da non riuscire nemmeno ad alzare la testa dal cuscino. La sostenevo e lei si aggrappava al letto superiore per tirarsi su». 

Sempre secondo la sua compagna di cella, i piedi e le gambe di Roshchyna si stavano gonfiando. Le furono offerte pillole per il cuore, che a quanto pare, però, rifiutò. A giugno, poi, venne portata via in barella. Passò diverse settimane in un ospedale di Taganrog dove, secondo i testimoni, venne stata sorvegliata da sei guardie mascherate e armate di mitragliatrici. I livelli di sicurezza e gli sforzi compiuti per tenerla in vita fecero pensare che Mosca la considerasse «una preziosa pedina negoziale». A luglio, sarebbe stata rimandata a Taganrog con una flebo nel braccio. Ma Roshchyna, apparentemente, avrebbe continuato a rifiutare il cibo, nonostante il direttore del carcere chiese alle sue compagne di cella cosa le piacesse mangiare e le vennero preparati pasti speciali, come dolci. 

La morte a settembre 2024

Solo nell'aprile 2024, a dieci mesi dalla sua scomparsa, la sua famiglia ricevette la prima conferma ufficiale che Roshchyna fosse viva, in una lettera del Ministero della Difesa russo. Nel documento, si leggeva solo che «era stata detenuta e si trovava nel territorio della Federazione Russa». 

I colleghi iniziarono a fare pressione per liberarla. Fu coinvolto anche il Vaticano, Papa Francesco. Qualche mese dopo, il suo editore venne informato del fatto che sarebbe stata rilasciata. Verso la fine di agosto, dopo un anno di prigionia, ci fu quella prima e unica telefonata a casa. Roshchyna, in russo, disse ai suoi genitori che le avevano promesso che l'avrebbero liberata a settembre. Suo padre la pregò di mangiare. Si salutarono. «Mamma, papà, vi voglio bene», furono le sue ultime parole alla famiglia. 

Roshcyna, però, a casa non ci tornò più. Il 13 settembre, tra i 49 prigionieri di guerra, la giornalista mancava all'appello. Ma i motivi non sono mai stati chiariti. L'8 settembre, qualche giorno prima, era stata prelevata dalla sua cella. Era pronta per il viaggio di ritorno verso l'Ucraina. 

Secondo un agente di sicurezza, la reporter non era arrivata al luogo dello scambio «per colpa sua». Nessuno, ad oggi, sa però che cosa sia accaduto realmente. Il vice capo della polizia militare russa, nelle settimane seguenti, scrisse al padre di Roshchyna per dirgli che la figlia era morta il 19 settembre. Giorni dopo la data dello scambio. 

Quando il suo corpo venne restituito, era in condizioni pessime. Un cadavere mummificato, quasi irriconoscibile. Sul quale sono rimasti indelebili i numerosi segni di tortura, e da cui mancano alcuni organi interni. Il padre di Roshchyna, in questi mesi, non si è mai dato pace. Ha continuato a scrivere lettere, anche a Taganrog, chiedendo informazione. Ma il direttore del centro, Aleksandr Shtoda, per ben due volte, gli ha risposto spiegando che la figlia non è mai stata lì. «Non era elencata nei database». Le testimonianze, però, raccontano un'altra verità. La stessa verità che cercava di raccontare proprio Viktoriia Roshchyna. 

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