Cina-USA, se la questione Taiwan rimane esplosiva

La «competizione multidimensionale» che caratterizzerà, nel prossimo decennio, i rapporti tra USA e Cina sarà a tutto campo: «militare, ideologica ed economica». Ma non sfocerà, probabilmente, nella «Trappola di Tucidide», la particolare condizione storica che si crea quando, a fronte dell’ascesa di una nuova grande potenza, quella egemone teme di soccombere, decidendo quasi sempre di aprire un conflitto per ribadire la propria supremazia.
La tesi è di Matteo Dian, professore associato di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Bologna e autore, nel 2021, di un saggio attualissimo e, per certi aspetti, persino profetico (La Cina, gli Stati Uniti e il futuro dell’ordine internazionale, Il Mulino).
Leggendo in controluce quanto accaduto ieri a Bali, spiega Dian al Corriere del Ticino, si conferma un dato: «La Cina, in questo momento, ha un solo, grande interesse: conquistare uno status e uno spazio di influenza che siano pari a quelli degli Stati Uniti. Ed evitare per questo ogni conflitto».
Se Washington ribadisce la primazia del modello politico liberale e democratico, Pechino predilige il pragmatismo. «Ai cinesi non interessa esportare il proprio sistema, privilegiano piuttosto il rispetto della sovranità e la non interferenza - dice ancora Dian -. Certo, negano comunque la superiorità della democrazia liberale e l’idea che il benessere possa derivare soltanto dal capitalismo. Ma non sono interessati a guerre ideologiche».
Non a caso, mostrano di essere molto irritati per l’escalation bellica in Ucraina. La guerra di Vladimir Putin, dal punto di vista cinese, ha prodotto una sorta di eterogenesi dei fini. Ha avuto, cioè, risultati opposti a quelli sperati. «Ha rafforzato la NATO, ha riavvicinato i Paesi europei ex comunisti agli USA e consolidato le alleanze asiatiche di Washington - spiega Dian -. Nel contrasto a Putin, il presidente Biden è riuscito a portare allo stesso tavolo Corea del Sud e Giappone, Paesi che storicamente non vanno d’accordo. E questo, per i cinesi, è un problema. Xi Jinping ha infatti in mente un modello di ordine internazionale in cui ci sia equivalenza tra le due superpotenze, la Cina e gli USA. Un modello che presuppone prima di tutto una diminuita sfera d’influenza americana in Oriente».
L’unico vero punto di possibile e pericolosissismo attrito è l’irrisolta questione di Taiwan. «Una questione maledettamente seria - dice Matteo Dian - perché ideologicamente sentitissima dai cinesi e da Xi Jinping in particolare. Taiwan è considerata una provincia ribelle e il ricongiungimento con Pechino è stato indicato dal leader cinese quale culmine del cosiddetto “Processo di rinascita nazionale”. Al momento, Xi e Biden restano fermi, ciascuno sulle posizioni proprie. Gli Stati Uniti riconoscono l’unica Cina ma non hanno mai cancellato il Taiwan Relations Act, la legge che regola, dal 1979, i rapporti economici, militari e strategici con l’isola».
Una «posizione ambigua», figlia comunque della mai rinnegata visione del mondo come «competizione tra democrazia e autoritarismo».