Cinque giornalisti di Al Jazeera assassinati da Israele prima dell'offensiva su Gaza City

Il reporter di Al-Jazeera Anas al-Sharif è stato ucciso in un deliberato attacco israeliano che ha colpito una tenda per giornalisti fuori dal cancello principale dell'ospedale al-Shifa di Gaza City. Uccisi, insieme a lui, anche il giornalista Mohammed Qreiqeh, i due cameramen Ibrahim Zaher e Mohammed Noufal, l'operatore di ripresa Moamen Aliwa.
Molto attivo su Instagram, al-Sharif aveva oltre un milione e mezzo di follower ed era uno dei volti più noti di Al Jazeera nella Striscia. Uno dei pochi rimasti, in particolare, a Gaza City.
«Un timing sospetto»
Al Jazeera ha condannato «con la massima fermezza» l'assassinio mirato dei suoi corrispondenti da parte delle forze israeliane, definendo il raid come un «attacco palese e premeditato alla libertà di stampa». Sul proprio sito, l'emittente qatariota ha sottolineato come Anas al-Sharif fosse «una delle voci principali provenienti dalla Striscia di Gaza»: una voce in grado di raggiungere anche il mondo occidentale, «perché molti dei suoi reportage sono stati tradotti online e ripubblicati sui social media».
Al Jazeera ha sottolineato il timing sospetto dell'assassinio dei suoi cinque operatori: «È interessante perché il governo israeliano ha appena annunciato, negli ultimi due giorni, che entrerà a Gaza City, la occuperà e la conquisterà. E ora hanno ucciso tutta la troupe di Al Jazeera che stava facendo un reportage da Gaza City».
Ori Goldberg, commentatore politico israeliano, ha definito l'operazione un «omicidio mirato»: «E la motivazione è fin troppo chiara. Questi giornalisti erano l'ultima speranza di Gaza che l'imminente operazione di Israele contro Gaza City venisse rivelata e portata all'attenzione del resto del mondo. Quando Israele ha assassinato Anas al-Sharif e il resto della sua squadra, ha cercato di impedire intenzionalmente la copertura giornalistica di questa imminente operazione».
«Ragioni che non reggono»
In una dichiarazione che conferma l'uccisione di al-Sharif, l'esercito israeliano ha accusato il giornalista di essere a capo di una cellula di Hamas e di «promuovere attacchi missilistici contro civili israeliani e truppe». Ha inoltre affermato di essere in possesso di documenti che forniscono «prove inequivocabili» del suo coinvolgimento con il gruppo palestinese. Un'accusa comune nei confronti dei reporter attivi nella Striscia. «Da quando Israele ha lanciato la sua guerra contro l'enclave nell'ottobre 2023», ha ricordato Al Jazeera, «Israele ha regolarmente accusato i giornalisti palestinesi di Gaza di essere membri di Hamas, come parte di quello che i gruppi per i diritti umani definiscono «uno sforzo per screditare le loro denunce» degli abusi israeliani». Da inizio guerra, secondo il conteggio tenuto da organi internazionali di stampa, sono oltre 230 i giornalisti uccisi da Tel Aviv, in quello che è già il conflitto più mortale di sempre per la stampa.
Il mese scorso, dopo che il portavoce dell'esercito israeliano Avichai Adraee aveva condiviso un video sui social media accusando al-Sharif di essere un membro dell'ala militare di Hamas, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione, Irene Khan, si era detta «profondamente allarmata dalle ripetute minacce e accuse dell'esercito israeliano» contro al-Sharif. «I timori per l'incolumità di al-Sharif sono fondati, poiché vi sono prove crescenti che i giornalisti di Gaza sono stati presi di mira e uccisi dall'esercito israeliano sulla base di affermazioni infondate secondo le quali erano terroristi di Hamas», ha dichiarato Khan.
Editorialista di Al Jazeera, Marwan Bishara ha sottolineato come l'accusa di affiliazione a Hamas non sia una scusa sufficiente per giustificare l'assassinio di giornalisti: «Ciò che ha detto Israele su al-Sharif è un'invenzione assoluta. È sbagliato. Ma non importa. Se tutti i giornalisti americani che hanno prestato servizio in Iraq e in Afghanistan venissero uccisi perché si sospetta che lavorino per la CIA; o se tutti i giornalisti francesi e britannici venissero uccisi perché lavorano per l'MI5 o qualcosa di simile, allora penso che non ci sarebbero giornalisti occidentali attivi in Medio Oriente. Non è giusto uccidere un reporter che si trova in una tenda di giornalisti perché lo si accusa di qualcosa. Se lo si accusa di qualcosa, lo si porta in tribunale, si fa una denuncia, si seguono determinate procedure».
L'articolo 79 del Protocollo aggiuntivo I alle Convenzioni di Ginevra, del resto, prevede che i giornalisti nelle zone di guerra siano trattati come civili e protetti come tali, purché non partecipino attivamente alle ostilità. L'uccisione deliberata di giornalisti rappresenta un crimine di guerra.
Condanna internazionale
Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ), ong americana per la libertà di stampa, si è detto «sconvolto» dall'uccisione da parte di Israele dei cinque giornalisti. «Lo schema di Israele di etichettare i giornalisti come militanti senza fornire prove credibili solleva seri interrogativi sulle sue intenzioni e sul rispetto della libertà di stampa», ha dichiarato il direttore regionale del CPJ, Sara Qudah.
Osservazioni, queste, condivise dalla Freedom of the Press Foundation, che ha condannato l'uccisione chiedendo un'azione internazionale per fermare ulteriori attacchi ai media.
Stephane Dujarric, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, ha rilasciato una dichiarazione sull'uccisione dei giornalisti di Al Jazeera a Gaza City nelle ore immediatamente successive l'attacco. «Inviamo le nostre condoglianze alla famiglia di Al Jazeera», ha dichiarato Dujarric. «Stiamo indagando su quanto accaduto oggi a Gaza. Siamo sempre stati molto chiari nel condannare tutte le uccisioni di giornalisti. A Gaza, e ovunque, gli operatori dei media dovrebbero essere in grado di svolgere il loro lavoro liberamente e senza molestie, intimidazioni o paura di essere presi di mira. È essenziale che ai giornalisti sia permesso di accedere liberamente a tutte le aree di Gaza e di riferire in modo indipendente sulla situazione».
Alcune ore prima che le forze israeliane uccidessero la troupe di Al Jazeera a Gaza City, l'inviato della Palestina presso le Nazioni Unite, Riyad Mansour, aveva parlato al Consiglio di Sicurezza ONU, esortandolo a portare nella Striscia giornalisti internazionali - il cui accesso è vietato da Tel Aviv - per mostrare che cosa sta succedendo.
«Perché voi, Consiglio di Sicurezza, non portate con voi 100 giornalisti dei vostri Paesi e di altri Paesi per verificare esattamente cosa sta accadendo a Gaza? Se Netanyahu è così sicuro di questa cospirazione globale (riguardo la carestia in corso a Gaza, ndr), che lo dimostri. Vi invito: Israele dovrebbe permettervi di andare nella Striscia di Gaza e vedere esattamente cosa sta accadendo lì. Porti con sé dei giornalisti in modo da poter verificare esattamente ciò che sta accadendo a Gaza».