Comunicare con i gesti e le parole: il “Dizionario” di Bergoglio

La densità delle parole. La forza simbolica dei gesti. Sin dal primo giorno del suo pontificato, Francesco ha cambiato radicalmente il modo di comunicare dei Papi. Lo ha fatto usando un linguaggio semplice e diretto e abolendo ogni forma di retorica. Lo ha fatto ribadendo quanto fosse decisivo ascoltare, o meglio «mettersi all’ascolto»: un approccio che il cardinale Jorge Mario Bergoglio aveva già posto alla base della sua pastorale nella diocesi di Buenos Aires all’inizio degli anni Duemila.
Domani, Francesco arriva in Iraq. Un viaggio apostolico che vale mille discorsi. Il primo di un Papa in un Paese a maggioranza sciita; il primo che il pontefice affronta in piena pandemia. Un viaggio che rimarrà nella storia.
Ieri il giornale della Conferenza episcopale italiana, Avvenire, ha scritto: «In Iraq, a Ur dei Caldei, Dio scelse un “arameo errante”, Abramo, per un progetto apparentemente incomprensibile. Fu l’inizio della storia della salvezza. Dai cristiani, dagli ebrei e dai musulmani Abramo viene onorato con il titolo di “amico di Dio”, un appellativo che si ritrova, caso unico, nell’Antico e nel Nuovo Testamento e nel Corano». È del tutto chiaro che cosa abbia voluto dire Francesco scegliendo l’Iraq e decidendo di incontrare a Najaf, la città santa degli sciiti, il Grande Ayatollah Sayyd Alì Al-Sistani: sarà come scrivere un nuovo capitolo dell’enciclica Fratelli Tutti. «Non si comunica solo con le parole, ma con gli occhi, con il tono della voce, con i gesti - ha scritto di recente il Papa - La parola è efficace solo se si “vede”, solo se ti coinvolge in un’esperienza, in un dialogo».
Una silloge coerente
Antonio Spadaro, gesuita e direttore della Civiltà Cattolica, dice che «Bergoglio è un grande comunicatore. Lo è non perché adotti strategie specifiche, ma perché si sente libero di essere e di comunicarsi. Il suo messaggio è capace di toccare le persone in modo immediato, diretto, intuitivo». L’analisi di Spadaro è parte dell’introduzione a un libro di Francesc Torralba uscito di recente per le Edizioni Terra Santa: «Dizionario Bergoglio. Le parole chiave di un pontificato». Un testo quasi unico nel suo genere: non un semplice elenco di lemmi ricorrenti nelle omelie o nei discorsi del Papa, quanto piuttosto una silloge coerente e ragionata di espressioni concettuali: da «Avanzi urbani» a «Periferie dell’esistenza»; da «Desertificazione spirituale» a «Rivoluzione della tenerezza»; da «Dialogo» a «Perdono».
Nel «Dizionario» di Torralba trovano posto anche alcuni neologismi - «Balconare», ad esempio, o «Primerear» - coniati da Francesco mescolando in modo creativo lo spagnolo e l’italiano, le due lingue madri di un pontefice giunto sì a Roma dalla fine del mondo, ma con le radici piantate sulle colline astigiane.
Scrive Torralba: «Balconear, nel gergo argentino, significa letteralmente starsene a guardare dal balcone. Si tratta di un atteggiamento di pura curiosità, come quello di uno spettatore che non prende parte a ciò che sta contemplando. Si riferisce all’attitudine di chi, pur avendo un’opinione precisa riguardo a ciò che non gli piace o gli sembra sbagliato, non si butta nella mischia. Jorge Mario Bergoglio critica con forza quest’atteggiamento, che considera estremamente passivo, da semplice spettatore».
Primerear è considerato invece un «bergoglismo», una parola argentina che il Papa ha trasformato da negativa a positiva. Spiega ancora Torralba: «Un proverbio molto diffuso sul Rio de la Plata recita: “Chi picchia per primo picchia due volte”, dal che si deduce che primerear non indica un’azione molto virtuosa, anzi tutto il contrario. Per lo meno, così era prima di Bergoglio. La gente di Buenos Aires conosceva perfettamente il significato della parola e il suo utilizzo, perciò, quando si sentirono dire da un prete: “Devi primerear il peccato con la Grazia”, capirono. Capirono perché parlava la loro lingua. Sapeva che loro dovevano primerear la droga, la mancanza di opportunità di lavoro, l’emarginazione... e non sempre ci riuscivano».
Aggettivi e sostantivi
La lingua di papa Francesco è quindi concreta. Diretta. Così come i suoi gesti. L’obiettivo dichiarato di Bergoglio è evitare ogni fraintendimento. La comunicazione è dialogo. Scegliere la strada dell’oscurità, sarebbe contraddittorio.
La semplicità è l’unica cifra possibile di un linguaggio «che dev’essere comprensibile per non correre il rischio di diventare un parlare a vuoto»
Per spiegare questa concretezza il pontefice richiama una delle regole fondamentali della buona scrittura: la leggerezza, tanto amata - tra gli altri - da Italo Calvino, che ne fece un “capitolo” delle sue Lezioni americane. «Sempre il sostantivo deve prevalere sull’aggettivo», ha detto Francesco in un recentissimo libro-intervista curato da don Marco Pozza («Dei vizi e delle virtù», Rizzoli). Anche per contrastare il «processo di svuotamento delle parole» che rischia di farci smarrire il senso della vita.
Per approfondire: Testimonianza e discernimento
Nel 2013 il Corriere della Sera ha pubblicato «Testimonianza», raccolta di testi precedenti all’elezione al soglio di Pietro.
Le analisi
Interessanti studi sono contenuti in «Il racconto di Francesco.
La comunicazione del Papa nell’era della connessione globale» (2017, LUISS University Press, a cura di Annamaria Lorusso e Paolo Peverini) e «Siate autentici! Con papa Francesco per migliorare le nostre relazioni e la nostra comunicazione», di Ary Waldir Ramos Diaz, (2019, Edizioni Lavoro).
I più recenti
In questi giorni sono usciti in libreria «Dizionario Bergoglio. Le parole chiave di un pontificato», di Francesc Torralba (Edizioni Terra Santa) e «Dei vizi e delle virtù», dialogo del Papa con don Marco Pozza (Rizzoli)