Cresce l’influenza della Russia in Africa: «Oggi la minaccia all’Europa arriva dalla Libia»

Mentre l’Europa si affanna nel tentativo di fornire il maggior supporto possibile all’Ucraina aggredita dalla Russia, scatta un nuovo allarme: oggi gravi minacce alla sicurezza europea arrivano dalla Libia.
Italia e Grecia stanno cercando di fare la voce grossa nel tentativo di spronare gli alleati dell'UE e della NATO ad alzare la guardia sui flussi migratori dal Paese africano. Al momento, però, rileva Politico, le richieste di aiuto sembrano esser cadute nel vuoto.
Gli sbarchi dalla Libia stanno nuovamente aumentando, proprio mentre a Roma crescono i timori per la crescente influenza della Russia sull'instabile nazione nordafricana, esercitata attraverso le forniture di armi, la presenza di soldati e una potenziale nuova base navale nel porto nordorientale di Tobruk. Dopo la scomparsa delle milizie Wagner e del loro comandante Evgeny Prigozhin, secondo il Corriere della Sera, si stima che le truppe dell'esercito russo in Libia arrivino fino a 1800 unità.
Per il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, la Libia rappresenta «un'emergenza che l'Europa deve affrontare insieme». In un discorso alla Camera dello scorso 23 giugno, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva messo in guardia i politici italiani sul crescente ruolo della Russia nel Mediterraneo, sfruttando la presenza in Libia. «L’Est e il Sud della Libia sono già le principali teste di ponte della proiezione militare russa in Africa», aveva affermato la premier citata da Il Foglio, sottolineando che «c’è il rischio concreto che la Russia possa sfruttare l’instabilità attuale per rafforzarsi ulteriormente in Libia e quindi nel Mediterraneo».
Atene, dal canto suo, ha inviato due navi da guerra per pattugliare le acque al largo del Paese nordafricano in risposta all'ondata migratoria e alle preoccupazioni sull’operato della Turchia, la quale, secondo i greci, starebbe collaborando con i libici per suddividere il Mar Mediterraneo in zone marittime destinate allo sfruttamento di risorse energetiche. Queste zone si estenderebbero fino alle acque appena a sud dell'isola di Creta, creando attriti tra Atene e Ankara.
Martedì scorso non sono mancati momenti di tensione, dopo che al commissario europeo per le migrazioni e ai ministri degli Interni di Italia, Malta e Grecia è stato negato l'ingresso nella parte orientale della Libia, in quanto avrebbero violato la «sovranità nazionale libica», secondo il governo di Bengasi.
La delegazione europea si era recata lì per partecipare a un incontro con il governo parallelo di Osama Hamad, alleato del generale Khalifa Haftar, il quale controlla la Libia orientale e vaste zone del Sud, poco dopo un incontro con il governo rivale, riconosciuto a livello internazionale, che controlla l’area occidentale.
Stando a un diplomatico dell'UE citato da Politico, «il ruolo della Russia continua ad espandersi in Libia, la quale è diventata un hub centrale della strategia africana di Mosca». Non solo, una rete di trafficanti libici starebbe aiutando la Russia ad aggirare le sanzioni e a utilizzare l'immigrazione come arma. Dalle coste libiche, parte infatti gran parte delle imbarcazioni con a bordo decine di migranti provenienti da più parti del continente.
La Grecia ha già preso contromisure tutt’altro che leggere. Lo scorso 11 luglio Il Parlamento ellenico ha approvato un emendamento che «sospende le domande di asilo presentate da persone che entrano illegalmente nel Paese con qualsiasi mezzo di trasporto marittimo proveniente dal Nord Africa». Una misura della durata di tre mesi che ha subito suscitato aspre polemiche. Il premier greco Kyriakos Mistotakis ha però giustificato il giro di vite sui migranti spiegando al giornale tedesco Bild che l'emendamento è frutto di una decisione «difficile ma assolutamente necessaria», in risposta all'aumento degli sbarchi sull'isola di Creta. Il primo ministro ha pure affermato che «la Grecia non è un corridoio aperto verso l'Europa».
Dall’inizio del 2025, a Creta sono arrivate circa 9 mila persone dalla Libia, di cui circa 2 mila solamente nelle ultime settimane, nonostante la presenza di due navi da guerra. Stando ai dati di SkyTG24, tra gennaio e inizio luglio del 2025, in Italia sono arrivati via mare 28 mila migranti. Non si tratta di dati particolarmente allarmanti rispetto agli ultimi anni, eppure a sorprendere è il fatto che la quota di arrivi dalla Libia sia cresciuta esponenzialmente: il 90% delle persone giunte nella Penisola via mare si è imbarcato proprio dalla coste libiche.
Nel complesso, nella prima parte dell'anno si è registrato un aumento del 7% degli attraversamenti irregolari nel Mediterraneo centrale, quasi interamente dalla Libia, rispetto a un calo complessivo del 20% su tutte le altre rotte principali. Inutile dire che le restrizioni greche, ora, preoccupano l’Italia, in quanto i migranti respinti potrebbero dirigersi in massa verso le acque territoriali del Belpaese.
L’instabilità nel Paese africano, di fatto, coincide con una maggiore influenza russa. Mosca è alla ricerca di una roccaforte sul Mediterraneo dopo la caduta del despota Bashshār al-Assad in Siria, dove il Cremlino controllava porti e basi aeree. In una recente parata militare a Bengasi sono stati messi in mostra pure armamenti russi, segno di un crescente allineamento tra Vladimir Putin e il generale Khalifa Haftar.
Secondo il ministro Tajani, la Libia sarebbe la destinazione più probabile per una base navale russa sul Mediterraneo dopo la fine del regime siriano. Finora la Russia ha utilizzato principalmente le basi libiche per gestire le sue operazioni nel resto dell'Africa, operando principalmente attraverso il gruppo paramilitare Africa Corps, sostenuto dal Ministero della Difesa russo.
Secondo l'Agenzia Nova, la Russia starebbe pure cercando di installare sistemi missilistici nella base militare di Sebha, sotto il controllo del generale Haftar, per puntarli contro l’Europa. Sebha si trova a poco più di 1.000 chilometri dall’isola italiana di Lampedusa e da Malta. Da quella base militare teoricamente si potrebbero tenere sotto scacco obiettivi dell’Europa meridionale con missili a medio e lungo raggio.
Ma nei Paesi a sud del Vecchio continente, più colpiti dal fenomeno degli sbarchi illegali, oggi cresce piuttosto il timore che il Cremlino possa sfruttare i migranti come arma di guerra ibrida, proprio come già fatto con i rifugiati mediorientali al confine tra Bielorussia e Polonia.