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Cuba, la statua di Colombo e l’unico turista

Nell’Alentejo portoghese un paese di tremila anime si vanta di aver dato i natali al navigatore genovese e il nome all’isola di Fidel
@ Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
23.08.2020 14:37

È venerdì 21 agosto. Sono a Cuba. Credo proprio di essere l’unico turista. No, non è un colpo di sole: la colonnina di mercurio arriva solo a 30 gradi, con un venticello secco che rende l’aria molto piacevole. Sono davvero a Cuba, gironzolo da un paio d’ore e, a parte il sottoscritto, non ho visto nessun altro turista.

Cuba è un piccolo villaggio del Portogallo, poco più di tremila abitanti, nella regione del Basso Alentejo, 150 km a est di Lisbona. Cuba come l’isola di Fidel. Che c’entra? C’entra, eccome, stando almeno ai cubensi, gli abitanti di Cuba. Loro credono, o una parte di loro crede, che questo piccolo comune sia intimamente e storicamente legato all’isola caraibica sulla cui costa nordorientale, il 28 ottobre del 1492, approdò Cristoforo Colombo con le sue tre caravelle.

Agente segreto del re?

Già, il grande navigatore genovese scopritore per sbaglio del Nuovo mondo. Secondo i cubensi è nato qui nell’Alentejo nel 1448 ed era portoghese. Non sono gli unici a sostenere di vivere nel paese natale di Cristoforo Colombo, o per meglio di dire di Cristóvão Colon. Ma loro si fanno forti di uno studio pubblicato nel 1988 da Augusto Cassiano Neves Mascarenhas de Andrade Barreto (Lisbona, 1923-2017): O Português Cristóvão Colombo, Agente Secreto do Rei D. João II. Ricercatore, romanziere, poeta e traduttore, ma non storico, Mascarenhas Barreto ha dedicato vent’anni della sua vita alla ricerca di prove che confutassero la biografia ufficiale di Cristoforo Colombo. Nel suo saggio sostiene che il navigatore fosse figlio illegittimo del duca di Beja, Dom Fernando, e di Isabel Gonçalves Zarco, nonché nipote di Giovanni II re del Portogallo. E perfino che Cristoforo Colombo fosse uno pseudonimo, essendo il vero nome Salvador Fernandes Zarco, spia al servizio del re lusitano, con l’obiettivo di trovare una nuova via del mare che distogliesse le attenzioni del Regno di Castiglia e Aragona dalla rotta conosciuta delle Indie.

La fantasiosa tesi è stata confutata dagli storici più accreditati. Ma resiste, tanto che tre anni fa il professor Luís Filipe Thomaz si è sentito in dovere di rimettere ancora una volta i puntini sulle i con un saggio di 60 pagine (Cristóvão Colón: português, natural de Cuba, agente secreto de D. João II?) pubblicato nella rivista scientifica “Anais de História de Além-mar”, dell’Università Nuova di Lisbona, per archiviare definitivamente “le sciocchezze che qui corrono ancora a proposito di Cristoforo Colombo” ad opera di “storici dilettanti”.

La «verdade histórica»

A Cuba si rende comunque onore a Cristóvão Colon quale figlio di questa terra. Nel 2006, esattamente il 28 ottobre, in largo Colon, è stata eretta una statua bronzea di Alberto Trindade, in onore del navigatore “portoghese”. Nell’insulsa stagione della sottocultura della cancellazione, che vede altrove le statue di Colombo vandalizzate e divelte, qui a Cuba nessuno osa toccare Colon. L’opera d’arte è sempre lì. Ai piedi di Colon un mappamondo; lo sguardo naviga lontano, alla ricerca del nuovo (anche se sul lato opposto della piccola piazza c’è il bel Palazzo del tribunale con le sue arcate, il palazzo della verità fondata sui fatti). Una targa in metallo sul basamento in marmo proclama la “verdade histórica”, scandita in quattro punti: a) lo scopritore delle Americhe ha sempre nascosto le sue origini e la sua vera identità; b) il mistero e le speculazioni perdurarono più di 500 anni; c) recentemente storici attendibili sono giunti alla conclusione che Colombo era portoghese; d) era figlio di Dom Fernando e Isabel, nato a Cuba, e si chiamava, come detto, Salvador Fernandes Zarco.

Una seconda targa esalta l’Alentejo come “terra della scoperta” e aggiunge che Colombo onorò la sua origine dando all’isola, ora castrista, il nome del paese natale. Anche questa è una tesi storicamente infondata, poiché il toponimo Cuba ha radici locali isolane, mentre quello del villaggio lusitano deriva da cuba, recipiente per conservare il vino, oppure dall’arabo qubba, edificio quadrato con cupola o tetto in legno. Una terza targa elenca le presunte località caraibiche alle quali Colombo avrebbe dato nomi alentejani. Ma gli storici fanno notare che del passaggio del navigatore genovese in alcune di esse non c’è traccia.

Il monumento non si tocca

E gli abitanti? Chiedo ad alcuni anziani seduti al Café cubense (“Casa fundada em 1934”), affacciato anch’esso sulla piazza Colon, cosa ne pensino. Uno sorride facendo spallucce, un altro difende orgogliosamente la pseudoverdade histórica. Qui quasi tutto ha nome Colon: un altro bar, il centro d’informazione turistica con documenti a sostegno della tesi di Mascarenhas Barreto. Buttare tutto all’aria? Non se ne parla. Il mito resiste anche in tempi di cancellazioni iconoclaste.

Cuba come Cuba. Qualche vaga somiglianza c’è. I lastricati di alcune viuzze, con le case basse bianche e gli stipiti di porte e finestre tracciati con bei colori a pastello (come nella travessa do Carmo o nella rua do Convento), ricordano certe stradine povere della splendida Trinidad. Ma qui non c’è la gioia di vivere dei cubani. C’è invece la saudade, quel misto di nostalgia, malinconia, mancanza, che fa l’identità emotiva del Portogallo. E che trova nella musica le più autentiche espressioni. Non solo nel fado: anche nella musica di questa terra del sud, il cante alentejano, nel 2017 dichiarato dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità. A Cuba, nel parco Manuel Antonio De Castro (poeta popolare nato, lui sì, in paese), una scultura in metallo esalta la saudade di questa sorta di canto gregoriano moderno, laico, popolare. Se siete tristi o depressi, evitate l’ascolto.

Chiese, musei, gatti e mascherina

In un paio d’ore si visita tranquillamente il villaggio, caratterizzato dalle bianche chiesette ai quattro punti cardinali. La Igreja Matriz de San Vicente è la più bella, con i suoi due campanili che racchiudono la facciata. Risalente al XVI secolo, ristrutturata nel 1770, venera anche la Madonna di Fatima. Sulla facciata un piccolo mosaico di azulejos rappresenta il santo. In questo 2020 si celebrano i 250 anni del restauro. Ma anche la Igreja de São Sebastião è un gioiellino. Il Comune ha fatto molto per attrarre turisti. Magnifica, poco fuori in campagna, la Casa Museo Quinta de Esperança, edificio signorile della fine del Cinquecento, ristrutturato, con uno splendido salone. Ospitò due re e una regina del Portogallo quando i reali soggiornavano nella vicina Beja.

In pieno centro c’è il Museo letterario Casa Fialho de Almeida. Alla fine dell’Ottocento fu la residenza del medico, giornalista e soprattutto scrittore portoghese Josè Valentim Fialho de Almeida (1857-1911), che qui a Cuba morì. È sepolto nel cimitero locale. Sulla tomba l’epitaffio: “Miando pouco, arranhando sempre, e não temendo nunca”. Come i gatti: miagolando poco, graffiando sempre, e mai temendo nulla. Regole di condotta che nella stagione del coronavirus sembrano dimenticate. Qui in Portogallo la situazione, dopo un sussulto in luglio, è sotto controllo. La mascherina è d’obbligo in tutti gli spazi chiusi. All’aperto, a differenza della vicina Andalusia, no. “Não temendo nunca”.