Tecnologia e natura

Dai vertici di Jurassic World a Paris Hilton: «Vogliamo ridare vita ai dodo»

La società di biotecnologia e ingegneria genetica Colossal Biosciences ha annunciato ieri un nuovo progetto di de-estinzione — L’obiettivo? Riportare in vita il simpatico pennuto — Gli investitori sono tanti e famosi
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Giacomo Butti
01.02.2023 17:10

Secondo la classificazione scientifica degli organismi viventi il suo nome è Raphus cucullatus. In italiano, alcuni lo chiamano “dronte”. Ma ai più è conosciuto come “dodo”. Grosso volatile endemico dell’isola di Mauritius — entrato nell’immaginario collettivo per il suo aspetto decisamente curioso — si è estinto recentemente, da un punto di vista storico: l’ultimo avvistamento risale a meno di quattro secoli fa.

Ora, però, c’è qualcuno che pensa di riportarlo in vita: la start up statunitense Colossal Biosciences, già implicata nel progetto di resuscitare il mammut lanoso e la tigre della Tasmania, ha fatto sapere ieri di volersi imbarcare anche in questa difficile, difficilissima missione.

Nomen omen

Ma facciamo un passo indietro. Che animale era il dodo? E perché si chiama così? Resti subfossili suggeriscono che questo uccello columbiforme poteva arrivare a misurare un metro di altezza per un peso di 10,6-17,5 chilogrammi. E il suo aspetta era decisamente singolare: corpo massiccio, un lungo becco e minuscole ali che non gli permettevano di volare. I suoi antenati, di dimensioni minori, erano probabilmente arrivati in volo sull’isola di Mauritius partendo dall’Asia. Qui, grazie all’assenza di predatori e alle favorevoli condizioni ambientali, i progenitori — simili agli odierni piccioni — hanno sempre più preferito la vita a terra, stile di vita che ha portato all’atrofizzazione delle ali.

Come molti altri animali diffusi in biotopi isolati e privi di grandi predatori, il dodo non era abituato a dover temere alcuna interazione con altri esseri viventi. Per questo suo atteggiamento poco timoroso avrebbe sofferto particolarmente l’arrivo dei primi europei nel 1507, fino alla completa estinzione un secolo e mezzo dopo (alcune fonti fissano l’ultimo avvistamento nel 1662, altre nel 1681). Si è a lungo creduto, nei secoli, che la fine del dodo fosse dovuta proprio alla predazione da parte dei coloni europei. Ma oggi pare più probabile che a determinare l’estinzione dell’uccello siano state l’introduzione di animali come cani, maiali, gatti e ratti — che saccheggiavano i nidi dei dodo — e il forte disboscamento con conseguente distruzione di habitat vitale. Nel XVII secolo, del resto, la popolazione umana su Mauritius non superava mai quota 50 individui e, pare, la carne di dodo non era nemmeno particolarmente apprezzata. E qui arriviamo al nome dato all’uccello. Gli olandesi, tra i primi frequentatori dell’isola, chiamavano l’animale Walghvoghel: uccello disgustoso. Ma a diffondersi è stata la versione che molte fonti riconducono ai portoghesi: doudo (odierno “doido”) che in lusitano significa “folle”. Un termine usato forse per dipingere lo strano atteggiamento tenuto dal volatile. Nomen omen, insomma. Già, perché oggi il dodo è, per antonomasia, l’uccello goffo, ingenuo e — diciamocelo — poco sveglio. Basti pensare alla rappresentazione fattane nel famoso film d’animazione L’era glaciale.

Investitori famosi

Ma torniamo alla novità. La società di biotecnologia e ingegneria genetica Colossal Biosciences, dicevamo, ha annunciato ieri un nuovo progetto di de-estinzione. L’obiettivo? Riportare in vita il simpatico pennuto.

«Grazie ai nostri incredibili finanziatori della #SeriesB, siamo entusiasti di annunciare il lancio del nostro nuovo Avian Genomics Group, la cui prima impresa sarà la de-estinzione dell'iconico uccello #dodo», ha scritto la start up sul proprio account Twitter. La filosofia della società? Facilmente intuibile, già dalle prime battute della pagina dedicata al progetto: «Siamo chiari. Le uniche creature veramente stupide in questa storia siamo noi, gli esseri umani». Insomma, secondo la start up è arrivato il momento, per l’umanità, di riparare alla crisi di biodiversità generata dalle proprie attività. E molti investitori sono d’accordo: dal 2021 (anno di fondazione della Colossal Biosciences), ben 225 milioni di dollari sono stati raccolti per i progetti di de-estinzione. E oggi, tra chi vuole riportare in vita il dodo, troviamo anche finanziatori famosi come il produttore esecutivo di Jurassic World, Thomas Tull, o la celebre ereditiera Paris Hilton.

Ma come?

Arriviamo al dunque. Come riportare in vita un animale estinto? Colossal Biosciences progetta di presentare al mondo la propria replica di un mammut già nel 2028. Le tigri della Tasmania e i dodo, invece, potrebbero addirittura arrivare prima. Ma saranno in tutto e per tutto identici agli animali non più presenti in natura? Non proprio. Le specie recuperate non saranno vere e proprie facsimili delle originali, quanto più loro sosia.

La strategia per riportare in vita gli animali consiste nel sequenziare il loro genoma utilizzando campioni di ossa e altri frammenti sopravvissuti all’incedere del tempo. Spesso, purtroppo, la ricostruzione completa del patrimonio genetico di un animale estinto è tuttavia impossibile. Per questo, riempire le lacune della famosa elica di DNA, si utilizzano le informazioni date dal genoma di una specie sopravvissuta strettamente imparentata. Nel caso in questione, per far rivivere il dodo (o, meglio, un suo sosia), si utilizzerà il genoma di un Caloenas nicobarica, piccione di Nicobar, specie di uccello columbiforme che abita numerose isole dell’arcipelago indocinese. A questo punto, una cellula del piccione di Nicobar viene modificata geneticamente per accogliere le informazioni necessarie a ricreare il dodo: da questa si arriva all’embrione che, si pensa, darà vita al dodo.

Beth Shapiro, leader del team di paleogenetisti Colossal, e Ben Lamm, cofondatore dell'azienda. © Sito di Colossal Biosciences
Beth Shapiro, leader del team di paleogenetisti Colossal, e Ben Lamm, cofondatore dell'azienda. © Sito di Colossal Biosciences

Le critiche

Ma è davvero necessario riportare in vita questo animale? Non tutti sostengono il progetto. Sul Financial Times compaiono le opinioni di alcuni esperti. Helen Pilcher — che in passato ha esplorato la scienza della de-estinzione codificata nel libro Bring Back the King — ha sottolineato: «Senza un forte argomento ecologico per far rivivere il dodo, preferirei che le risorse fossero investite, ad esempio, nella conservazione degli ultimi due rinoceronti bianchi settentrionali». Tom Gilbert, professore di paleogenomica all'Università di Copenaghen e recentemente nominato membro del comitato scientifico consultivo di Colossal, ha invece messo in dubbio la rappresentatività delle specie resuscitate. «Non è possibile riportare in vita un vero dodo, inteso come geneticamente identico alla forma estinta. Ma anche un sosia potrebbe inviare un messaggio potente: se la rinascita del dodo sensibilizzerà l’umanità impedendo la distruzione di ciò che è rimasto, sono al 100% a favore dell'idea».

Lo stesso Thomas Tull ha spiegato: «Oltre alla possibilità di riportare in vita una specie, impareremo cose che non possiamo studiare in un wet laboratory». Tradotto: più che il dodo in sé, a fare gola sono le possibile scoperte fatte lungo la strada, le applicazioni legate alla tecnologia. E non per nulla anche la CIA è coinvolta nei progetti di de-estinzione. A settembre, In-Q-Tel, ramo di venture capital della CIA impegnato nel progetto di Colossal Biosciences, ha scritto in un comunicato: «Strategicamente, non si tratta tanto dei mammut quanto della capacità di effettuare ingegneria genetica su animali e piante».

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