Diritti

Davvero l’India è ancora una democrazia?

Il BJP, partito del premier Narendra Modi, è sempre più efficiente nel cancellare ogni forma di dissidenza — Ultimo, in ordine di tempo, il caso di Rahul Gandhi
© Shutterstock/AP
Red. Online
29.03.2023 10:06

È famosa per essere «la più popolosa democrazia al mondo». Ma di democratico, notano sempre più analisti, in India rimane sempre meno. A preoccupare, in particolare, è la crescente efficacia con cui il partito di Narendra Modi — premier dal 2014 — riesce a eliminare ogni forma di dissidenza. Modi, ministro capo dello Stato indiano del Gujarat fra il 2001 e il 2014, era già stato a suo tempo criticato per le sue posizioni dispotiche e per la limitazioni alla libertà di stampa imposte nella propria regione. Tendenza, questa, ormai trasposta a livello nazionale.

Ultimo colpo alla democrazia indiana, nell’ordine di tempo, è stata l’estromissione il 24 marzo di Rahul Gandhi, leader del Partito del Congresso indiano, dal Parlamento. Una squalifica, questa, dovuta alla condanna a due anni di carcere per un’accusa di diffamazione che Gandhi definisce «fittizia».

Le tensioni

Figlio, nipote e pronipote di primi ministri indiani, Gandhi ha già annunciato di voler ricorrere in appello contro la condanna emessa, guarda caso, proprio da un tribunale distrettuale del Gujarat, lo Stato natale di Narendra Modi. Anche ammesso che eviti il carcere, sottolinea in un recente articolo l’Economist, Gandhi potrebbe faticare non poco a ripulire il proprio nome in tempo per il grande evento politico del prossimo anno: le elezioni generali.

Ma come si è arrivati a questa condanna? La sentenza del tribunale ha fatto seguito a settimane di scontri tra Gandhi e i membri del Bharatiya Janata Party (BJP) di Modi. In questo periodo, Rahul Gandhi aveva ripetutamente chiesto un'inchiesta sui rapporti tra Modi e Gautam Adani, il miliardario indiano recentemente caduto in disgrazia dopo le accuse di opacità, manipolazione del mercato e irregolarità contabili. In una serie di discorsi tenuti in Gran Bretagna, riporta il settimanale in lingua inglese, Gandhi aveva anche criticato lo stato della democrazia indiana. Un’uscita che aveva portato al blocco dei lavori parlamentari e alla richiesta a Gandhi, da parte del BJP, di «scusarsi per aver insultato il proprio Paese».

La presunta diffamazione

Arriviamo, dunque, alla presunta diffamazione. La recente sentenza del tribunale del Gujarat verte su un caso del 2019. Nel corso di un’apparizione pubblica, Rahul Gandhi aveva ironicamente fatto notare che un paio di noti latitanti della giustizia indiana si chiamavano Modi, proprio come il premier. Sottinteso: «Sono parenti?». Il cognome, va detto, è molto comune nell’India occidentale. Tanto che nel BJP a portarlo non c’è solo il premier, ma anche il politico minore Purnesh Modi (non imparentato con Narendra Modi) che si è detto «profondamente ferito» dal commento di Gandhi: di qui la querela per diffamazione.

Purnesh Modi ha ragione, è stato insultato e diffamato? Sì, no, forse. In India, questa retorica in campagna elettorale è tutto fuorché strana. Tanto che l’appellativo standard del BJP per lo stesso Rahul Gandhi è il termine pappu (“scemo”). Insomma, chiamatelo sensibile, chiamatelo permaloso, ma il partito del premier non sembra essere stato in grado di incassare con grazia come fatto dall’oppositore.

Le difficoltà legali dell’opposizione

Il 23 marzo, dicevamo, il tribunale ha dato ragione a Purnesh Modi. E Gandhi è stato condannato a ben due anni di carcere per diffamazione. Secondo diversi esperti legali, riporta l’Economist, la sentenza inflitta al politico è stata insolitamente dura. Di più: solleva più di un sospetto il fatto che questi due anni di prigione rappresentino esattamente la pena detentiva minima perché il condannato venga automaticamente espulso da qualsiasi organo politico, in questo caso dal Parlamento.

Per quanto rappresenti una forte escalation, il caso di Gandhi, come già evidenziato, è solo l’ultimo in ordine cronologico. Negli ultimi anni il BJP ha dimostrato di saper mettere a tacere ogni opposizione usando il pugno di ferro. Ne sanno qualcosa i leader dell’Aam Aadmi Party (altro partito di opposizione) dietro ai quali sono stati recentemente sguinzagliati i segugi del Directorate of Enforcement del governo, specializzato in reati finanziari.

Quanto vissuto da Gandhi e altri oppositori, temono gli analisti, potrebbe spingere sempre più politici all’autocensura: perché criticare Modi e il BJP, se si rischiano pesanti ritorsioni?