Il punto

Dopo i carri armati, gli aerei da combattimento: ecco perché Kiev ne ha bisogno

Il dibattito sulle prossime forniture all'Ucraina è aperto e, come per i tank, al momento divide l'Occidente – Per Berlino e Washington è un no, ma intanto Lockheed Martin ha deciso di aumentare la produzione di F-16
© Wally Santana
Marcello Pelizzari
28.01.2023 15:30

E dopo i carri armati inviati all’Ucraina? Come cambierà la guerra? O meglio: quali sono, ora, le necessità di Kiev in termini di mezzi e armamenti? Risposta, parafrasando Volodymyr Zelensky: ora servono caccia e missili a lungo raggio.

A tal proposito, ha spiegato Mykhailo Podoliak, consigliere del presidente ucraino, i negoziati starebbero «accelerando». E ancora:«I nostri partner capiscono come si sta sviluppando la guerra. Capiscono che gli aerei d’attacco sono assolutamente necessari per coprire le truppe e i veicoli blindati che ci forniscono. Allo stesso modo, per ridurre drasticamente lo strumento chiave dell’esercito russo, l’artiglieria, abbiamo bisogno di missili».

Un’accelerazione che, evidentemente, passerà da un nuovo incontro fra i Paesi alleati di Kiev. Un incontro che dovrebbe tenersi a febbraio e che Andrey Sybiha, vice-capo dell’Ufficio presidenziale, ha definito «la Ramstein dell’aviazione».

Un passo naturale, o no?

Evidentemente, non tutti ritengono naturale, quale prossimo passo, la fornitura di aerei da combattimento. Non quanto l’Ucraina e gli Stati baltici, in prima linea a sostegno di Kiev sin dalle prime avvisaglie di guerra. Politico, su questo aspetto, ha riferito di un dibattito già in corso. Un dibattito ben più complesso rispetto a quello, comunque tortuoso e laborioso, che ha portato a sbloccare l’invio dei tank statunitensi e tedeschi.

Washington, ad esempio, secondo una fonte diplomatica citata dalla testata online avrebbe già fatto sapere alla controparte che una fornitura di aerei è un no-go. Tradotto: è fuori discussione. Il rischio, evidente, è quello di un’escalation del conflitto e di risposte ancora più violente da parte di Mosca, che da tempo avverte l’Occidente circa le conseguenze di un’ingerenza più o meno diretta. La stessa fonte, tuttavia, ha pure affermato che questa linea rossa è solo l’ennesima apparentemente invalicabile. «L’estate scorsa avevamo una linea rossa sui lanciarazzi Himars ed è stata spostata. Poi è toccato ai carri armati, ma pure in questo caso è stata spostata».  

Eppure, anche Olaf Scholz ha chiuso la porta a un possibile invio di aerei. «Non ci saranno consegne di aerei da combattimento in Ucraina» ha detto il cancelliere tedesco, ribadendo che il concetto, per quanto duro, «è stato chiarito anche dal presidente degli Stati Uniti».

Ci sono pure i MiG

Le posizioni di Berlino e Washington, va da sé, rispecchiano anche il peso specifico delle rispettive influenze. Il dibattito, al netto delle dichiarazioni, rimane aperto ed è rafforzato dalla spinta che intendono garantire i Paesi Bassi. Il ministro degli Esteri olandese, Wopke Hoekstra, nei giorni scorsi ha ribadito al Parlamento che il suo Esecutivo esaminerebbe volentieri la fornitura di caccia F-16 qualora Kiev li richiedesse. «Siamo di mentalità aperta, non ci sono tabù» ha aggiunto. Altri sette Paesi europei all’interno della galassia NATO dispongono di F-16. Fra questi, citiamo la Polonia, la Norvegia e la Romania. 

La Slovacchia, dal canto suo, già un mese fa aveva annunciato di essere pronta a consegnare i MiG-29 di fabbricazione sovietica a Kiev. E di avere pure avviato i colloqui con i partner in seno alla NATO e con Zelensky sul come. MiG che la Polonia, addirittura, secondo le indiscrezioni della stampa avrebbe già consegnato la scorsa primavera attraverso uno stratagemma: in Ucraina, ufficialmente, sarebbero arrivati solo pezzi di ricambio, non interi velivoli.

Le parole di Lockheed

E proprio gli F-16, della serie «unite i puntini», sono al centro di un’altra notizia pubblicata dal Financial Times: Lockheed Martin, il più grande appaltatore della Difesa statunitense, ha deciso di aumentare la produzione di questo caccia nello stabilimento di Greenville, in Carolina del Sud, per soddisfare «la richiesta di tutti i Paesi che decideranno di compiere trasferimenti da terze parti per aiutare nell’attuale conflitto», come ha spiegato il direttore operativo Frank St. John.

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