La situazione

«Dopo il terremoto i numeri potrebbero aumentare»

Il giornalista Sergio Scandura, fra i massimi esperti nel tracciamento di navi, teme una recrudescenza del flusso lungo la tratta ionica
©ANSA
Giona Carcano
26.02.2023 21:30

Il primo e ultimo avvistamento del barcone è avvenuto sabato da parte di un aereo di servizio di Frontex, a quaranta miglia dalla costa calabrese. Poi, il nulla. I due pattugliatori che hanno preso il mare per cercare di avvicinarsi all’imbarcazione - che aveva contattato la Guardia costiera italiana chiedendo aiuto - non sono riusciti a spingersi in alto mare, rientrando in porto nella notte su domenica. Troppo alte le onde dello Ionio in tempesta. «Questo quadrante non è coperto dalle missioni delle navi ONG», spiega al CdT Sergio Scandura, giornalista di Radio Radicale e fra i massimi esperti nel tracciamento di navi. «Su tutto il Mediterraneo centrale è però attiva una rete di pattugliamenti aerei che conta quattro o cinque sorvoli giornalieri». Ed è proprio uno di questi velivoli di Frontex che ha individuato il barcone proveniente da Izmir, in Turchia. «Sul mare Ionio è poi attivo anche un drone greco», prosegue Scandura. «Senza contare gli avvistamenti dei mercantili e dei cargo». La rotta seguita dall’imbarcazione che si è schiantata sulle coste calabresi questa mattina all’alba è ben conosciuta: è dalla Turchia, infatti, che molti migranti provenienti da Afghanistan, Siria e Iran prendono il mare. «I dati fino al novembre 2022 dicono che dalla rotta ionica, in provenienza in particolare dalla Turchia, sono giunte circa 15.000 persone in meno di un anno», chiarisce il giornalista. Numeri simili alla tratta libica che parte dalla Cirenaica, mentre dalla Tripolitania sono partiti addirittura oltre 30.000 migranti in 11 mesi.

Dai Balcani non si passa

Ma le rivolte in Iran e il drammatico terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria potrebbero aggravare il flusso migratorio proprio nel quadrante ionico, dove si è consumata la tragedia di questa mattina. «La questione è semplice», spiega ancora Scandura. «Siccome gli Stati balcanici hanno alzato muri e inasprito i protocolli lungo i confini, molti migranti rimediano salendo su un’imbarcazione in Turchia. E gli scafisti, lì, non si fanno troppi scrupoli a prendere il mare anche quando le onde sono molto alte. È per questo che si registrano numerosi naufragi nel Peloponneso. Nelle prossime settimane, complice anche il recente terremoto, temo che questa rotta verrà sfruttata da un numero crescente di persone».

Rubano le barche a vela

Come ci racconta l’esperto, non tutte le rotte mediterranee sono uguali. In Libia, ad esempio, operano diverse organizzazioni e milizie che imbarcano i migranti sui pescherecci. «Navi molto ricercate, che possono provenire anche dall’Egitto e dalla Tunisia». In Turchia, invece, il discorso è un po’ diverso. «Gli scafisti che operano su quelle coste - perlomeno quelli arrestati e identificati - spesso provengono da Russia, Bielorussia e Ucraina. Per le loro tratte si servono quasi sempre di barche a vela anche molto lussuose. Barche lasciate incustodite dai loro proprietari occidentali (si tratta sovente di americani) e che vengono rubate dai gruppi criminali». Il motivo? Da un lato la facile reperibilità (ce ne sono migliaia ormeggiate lungo la costa turca), dall’altra la stabilità. «La deriva sotto lo scafo permette all’imbarcazione di sopportare meglio le onde», conclude Scandura. «Ecco perché barconi di legno come quello appena naufragato costituiscono un’eccezione lungo la rotta fra Egeo e Ionio». Giona Carcano                 

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