Alimenti

Dopo la stretta sugli insetti, l'Italia vieta i cibi sintetici: e la Svizzera?

Approvato un disegno di legge per vietarne la produzione e la commercializzazione – In Svizzera aziende come Migros puntano sulla carne sintetica: ma è davvero ecosostenibile?
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Michele Montanari
29.03.2023 18:30

Dopo la stretta sui prodotti a base di insetti, l’Italia sferra un duro colpo ai cibi sintetici: carne coltivata, pesce, latte e mangimi artificiali per animali saranno off-limits nella vicina Penisola. Il governo Meloni ha infatti approvato ieri un disegno di legge (ddl) che vieta la produzione e la commercializzazione di alimenti e mangimi sintetici. Le sanzioni per chi contravverrà tale divieto andranno da 10 mila a 60 mila euro, ma potranno arrivare anche al 10% del fatturato di un’azienda. La stessa premier Giorgia Meloni ha festeggiato l’approvazione del ddl, prendendosi l’applauso di Coldiretti (Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti), che aveva raccolto mezzo milione di firme contro i cibi sintetici e organizzato un flash mob fuori da Palazzo Chigi: «Non potevamo che festeggiare con i nostri agricoltori un provvedimento che pone l'Italia all'avanguardia sul tema, non solo della difesa dell'eccellenza, materia per noi particolarmente importante, ma anche sul tema della difesa dei consumatori», ha dichiarato la presidente del Consiglio, aggiungendo che la difesa dei consumatori è data anche dalla «certezza di ciò che si consuma e, dico di più, anche dal tentativo di evitare il rischio che alcune scelte compiute domani possano tradursi in una discriminazione tra chi può avere di più e chi può avere meno. Noi siamo legati al fatto che ogni cittadino che mangi qui, che mangi nella patria dell'eccellenza possa avere le stesse opportunità di consumare del cibo del quale conosce esattamente la provenienza, la composizione e del quale, nel nostro caso, conosce anche la grandezza». Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, ha dichiarato: «Le bugie del cibo in provetta confermano che c'è una strategia delle multinazionali che, con abili operazioni di marketing, puntano a modificare stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione. La verità è che non si tratta di carne ma di un prodotto ingegnerizzato, che non salva l'ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c'è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare». Oltre a Coldiretti, un plauso al Governo è arrivato da Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, che ha definito il ddl «un atto di responsabilità». Secondo il ministro dell'Agricoltura e sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, «i prodotti da laboratorio non garantiscono qualità e benessere e non garantiscono la tutela della cultura e della tradizione enogastronomica italiana, a cui è legata parte della nostra tradizione».

Il prodotto di punta è la carne coltivata

Quando si parla di cibi sintetici, il più noto e discusso è certamente la carne coltivata. Si tratta di un prodotto che sta prendendo sempre più piede - negli Stati Uniti e a Singapore è già stata autorizzata - su cui c’è ancora molto scetticismo. Una delle tecniche più diffuse per realizzare la cosiddetta «lab-grown meat» prevede 5 passaggi: 1) biopsia presa dall'animale; 2) estrazione e messa in coltura in piccola scala (prima espansione) delle cellule staminali muscolari; 3) espansione in bioreattore fino ad ottenere miliardi di cellule; 4) differenziazione delle cellule staminali muscolari in tessuto muscolare; 5) assemblaggio della carne sintetica con adipociti (prodotti con la stessa strategia) e cellule del tessuto connettivo (fibroblasti). In una intervista rilasciata al CdT nel 2021, Pietro Veragouth, direttore del Swiss Institute for Disruption Innovation, aveva parlato di vantaggi immediati in caso di passaggio dall’allevamento alla produzione di carne sintetica, sottolineando che «l’allevamento intensivo di animali è una causa importante dell’emissione di gas serra, dello sfruttamento del suolo e dell’elevato consumo di acqua, nonché di altre criticità legate allo smaltimento dei liquami eccedenti. Inoltre, sono alte le preoccupazioni da parte delle Nazioni Unite in merito alla produzione tradizionale di carne destinata alla popolazione mondiale, esponenzialmente in crescita. L'industria tradizionale non sarebbe in grado di soddisfare la domanda crescente di carne se non a ulteriore danno, irreversibile, dell’ambiente. Lo sviluppo di carne sintetica rappresenta un'alternativa ecosostenibile in toto». Non solo, i prezzi esorbitanti della carne in vitro ora sono più accessibili. Nel 2013, ricorda il Corriere della Sera, la realizzazione del primo hamburger in laboratorio richiese quasi 290 mila euro all’Università di Maastricht, mentre oggi un petto di pollo da 160 grammi può costare intorno ai 4 dollari (stando ai dati della Future Meat Technologies). Secondo un’analisi di McKinsey, la carne sintetica nel 2030 costerà quanto quella animale. Fra gli investitori che puntano su questo prodotto il più noto è certamente Bill Gates. Il fondatore di Microsoft è tra i finanziatori di Beyond Meat, una società statunitense con base a Los Angeles, nata nel 2009 col proposito di creare surrogati vegetali della carne. Bill Gates nel 2019 fece parecchio scalpore dichiarando che «i Paesi più ricchi dovrebbero iniziare a consumare regolarmente carne sintetica per inquinare meno».

La carne sintetica in Svizzera

E in Svizzera? La prima azienda impegnata nella coltivazione della carne è la Mirai Foods, fondata nel Canton Zurigo nel 2019. La sua bistecca sviluppata da cellule di manzo dovrebbe arrivare sul mercato europeo entro 3 anni. Sempre nel 2019, Migros, attraverso la filiale M-Industrie, ha acquisito una partecipazione in Aleph Farms, un’impresa israeliana specializzata nella carne in vitro. Secondo M-Industrie «nel settore dei prodotti a base di carne coltivata c’è un grande potenziale commerciale che può coprire in piena sostenibilità il crescente consumo di carne che si registra a livello mondiale». Alla domanda «quali sono i vantaggi rispetto alla produzione classica di carne?», Migros, sul suo sito, risponde: «La protezione del clima, poiché servono meno animali e la carne si produce localmente, evitando così l'importazione da Paesi lontani. Inoltre si può rendere la carne sin dall'inizio meno grassa e quindi più salutare – fino a un certo punto comunque, perché il grasso veicola il sapore. È possibile proporre molti tipi di carne diversa, anche di “animali esotici”, senza nuocere agli animali. La carne che esce dal bioreattore proviene da un ambiente sterile, non ha parassiti e non è contaminata da fattori ambientali. Non si generano “sprechi”, poiché si produce soltanto la parte di carne effettivamente richiesta».

È davvero più ecosostenibile?

Se dal punto di vista etico non vi sono dubbi, alcuni studi hanno mostrato perplessità sulla maggior ecosostenibilità delle tecnologie usate per la coltivazione della carne: gli allevamenti intensivi, specialmente di bovini, producono grandi quantità di gas serra, ma gli strumenti utilizzati per la coltivazione della carne non sarebbero poi così green, specialmente se da prodotto di nicchia la «lab-grown meat» dovesse sostituire l’attuale produzione mondiale di carne. Nel 2019, i ricercatori dell'Università di Oxford hanno pubblicato uno studio dal titolo Climate Impacts of Cultured Meat and Beef Cattle in cui vengono sollevati dubbi sulle emissioni di CO2 generate dalla produzione di carne in vitro: queste resterebbero nell'atmosfera per millenni, ossia molto più tempo rispetto al gas prodotto dal bestiame. Inoltre, sarebbe necessario passare ad energie decarbonizzate, in quanto utilizzando fonti energetiche non rinnovabili per produrre carne nei bioreattori potrebbe, a lungo termine, avere un impatto decisamente pesante sul cambiamento climatico. Insomma una vasta produzione di carne sintetica sarebbe ecosostenibile a patto di utilizzare esclusivamente energia rinnovabile. Gli evidenti vantaggi nel passaggio alla carne in vitro, secondo Wired, sarebbero il minor consumo d'acqua (si stima il 78% in meno) e di suolo rispetto all'allevamento tradizionale (in questo caso si parla del 95% in meno).