«Draghi non accetterà di trovarsi con le mani legate dai partiti»

Professor D’Alimonte, quali sono i punti di forza di Mario Draghi e qual è il suo tallone d’Achille?
«I punti di forza dell’ex presidente della Banca centrale europea sono la sua autorevolezza e la sua credibilità internazionale. Il suo punto di debolezza è che deve fare i conti con la classe politica italiana».
Il centrodestra potrebbe dare un appoggio fondamentale alla stabilità di un Governo istituzionale ma per ora appare diviso. Salvini si dice pronto a collaborare nel risolvere l’emergenza pandemica e nella stesura del Recovery plan, ma in cambio vuole elezioni entro giugno. Le sembra un compromesso accettabile?
«Penso che non sia un compromesso accettabile per il semplice fatto che per andare alle urne entro giugno bisognerebbe sciogliere le Camere adesso, per cui ci ritroveremmo al punto di partenza. Martedì abbiamo sentito il capo dello Stato affermare che nella situazione attuale le elezioni anticipate sono sconsigliate. Il discorso cambierebbe se l’accordo fosse quello di andare alle urne nel 2022 (ossia un anno prima della fine naturale della legislatura ndr) in concomitanza con l’elezione del nuovo presidente della Repubblica».
Con un centrodestra non ostile al Governo istituzionale di Draghi si riuscirebbe ad avere un Esecutivo stabile?
«Il centrodestra cercherà di assumere una posizione comune, però di base ci sono delle divisioni importanti. Forza Italia è più propensa ad appoggiare il Governo Draghi in chiave europeista, e Berlusconi lo ha detto chiaramente. La Meloni credo sia decisamente contraria, mentre Salvini fino a ieri oscillava. Il leader della Lega, spinto dal suo vicesegretario Giorgetti, aveva fatto l’ipotesi di un Esecutivo guidato da Draghi, ma non era chiaramente a sostegno di un Governo istituzionale. Salvini si preoccupa del fatto che se la Meloni non entrerà nello schema del Governo istituzionale, e sicuramente non entrerà, lui avrebbe una concorrente a destra pericolosa. Quindi vedo una Lega molto incerta. Ad ogni modo se non vi sarà almeno la partecipazione di Forza Italia nell’Esecutivo Draghi, non vedo come lo si possa parlare di Governo di unità nazionale».
E del Movimento 5 Stelle cosa possiamo dire?
«Rappresenta un’incognita in quanto i pentastellati devono il loro successo all’opposizione netta al Governo tecnico formato da Monti nel 2011. Monti venne definito dal M5S un tecnocrate amico delle banche. Ora dare l’appoggio al Governo Draghi non è semplice per i Cinquestelle. Sappiamo che il Movimento fondato da Grillo è cambiato moltissimo, si è quasi normalizzato. Quindi bisognerà vedere se ora l’M5S si spaccherà ed eventualmente quanti se ne andranno».
Quindi che maggioranza potremmo avere?
«Una base parlamentare c’è, ma si presenta debole, in quanto avremmo Forza Italia, una parte del Movimento 5 Stelle, il PD e Italia Viva. Parte del Movimento fuori, la Lega fuori e Meloni fuori. A questo punto dov’è il Governo di salvezza nazionale? Quindi per ora la situazione appare molto incerta. Bisognerà vedere cosa accadrà dentro il Movimento e dentro la Lega e cosa farà il premier uscente Giuseppe Conte».
Rispetto al Governo tecnico guidato da Monti dal 2011 al 2013, Draghi ha qualche arma in più?
«Anche Monti aveva dei rapporti molto buoni con l’UE, quindi da questo punto di vista i due leader si equivalgono. L’arma in più che ha Draghi in questo momento, da quello che leggo, è il suo impegno a non assumere un ruolo politico dopo questa esperienza, e quindi il non voler andare a toccare gli equilibri esistenti tra le forze politiche prospettando un suo partito. Questa garanzia Monti non l’aveva data e infatti alla fine aveva formato un suo partito».
Tra le condizioni poste da Salvini per non votare contro Draghi vi è un chiaro no all’aumento delle tasse. Il debito pubblico però è cresciuto ulteriormente per far fronte alle conseguenze della pandemia. I partiti come condizioneranno l’operatività del Governo istituzionale?
«Lo vedremo adesso quando Draghi negozierà con i partiti e presenterà il programma di governo. È chiaro che se a Draghi verranno legate le mani dai partiti lui non accetterà l’incarico, in quanto non vuole certo giocarsi la sua credibilità e il suo prestigio lanciandosi in un’azione di governo condizionata dai paletti fissati dai partiti. Ad ogni modo non credo che una delle prime decisioni che Draghi prenderà sia quella di aumentare le tasse in un momento di recessione. Bisogna però evitare di porre dei lacci al Governo Draghi in quanto l’Esecutivo istituzionale dovrebbe incidere sui nodi anche strutturali che limitano la crescita economica e ci condannano al declino».
Quindi cosa si aspetta?
«Conoscendo un po’ Draghi, so che è un uomo ambizioso e credo che voglia lasciare un’eredità storica al Paese con un Governo che ha fatto almeno alcune delle cose di cui l’Italia ha bisogno. Non penso che Draghi voglia passare alla storia come un primo ministro irrilevante».
Ricorrere ai soldi del MES, ossia il Fondo salva Stati dell’UE sul quale Renzi ha tanto insistito, le sembra una scelta irrinunciabile per sostenere l’Italia in questo momento difficile?
«Ho sempre pensato che con tutti i soldi che abbiamo speso, ricorrendo al MES, che non offre soldi gratis, risparmieremmo 3-400 milioni di euro rispetto a decine e decine di miliardi. Quindi il MES è sempre stato un feticcio. Anche per Renzi si è trattato solo del modo per far saltare il tavolo o per alzare la posta in gioco, ma il MES non è il problema e non credo che Draghi si attaccherà a questo strumento».