«È in corso una battaglia tra le due anime del partito democratico»

Manca un mese esatto alle elezioni di sindaco di New York. Segnato da scandali e corruzione, il mandato di Eric Adams - in carica dal 2022 - si conclude con una Grande Mela insoddisfatta, dove gli alloggi sono scarsi e, soprattutto, costosi, e dove sicurezza e qualità di vita rimangono temi scottanti.
Nato in Uganda da genitori di origini indiane, il 33.enne Zohran Mamdani nel mese di giugno ha vinto le primarie democratiche, sconfiggendo il ben più rodato Andrew Cuomo e guadagnandosi il titolo di favorito all'appuntamento di novembre. Mamdani, autodefinitosi un «socialista dem», si confronterà nuovamente con Cuomo (in corsa, ora, come indipendente), in una sfida che ha già attirato l'attenzione del presidente Donald Trump, estremamente critico, e che potrebbe spaccare ulteriormente il partito dell'Asinello fra progressisti e pro-establishment. Con Raffaella Baritono, ordinaria di Storia e Politica degli Stati Uniti d’America alla Scuola di Scienze politiche dell’Università di Bologna, parliamo dell'importanza - per l'America intera - di questo faccia a faccia.
Una città speciale
Giorni fa, su Truth, Donald Trump è intervenuto sull'imminente appuntamento elettorale. Zohran Mamdani, ha scritto il tycoon, «ha bisogno di soldi da me per realizzare tutte le sue promesse da finto comunista. Non ne avrà, quindi che senso ha votare per lui?». È, questo, solo l'ultimo di una lunga serie di attacchi pubblicati da Trump nei confronti di Mamdani. È normale, per un presidente, dedicare così tanta attenzione a un'elezione locale? «New York è un caso a sé», risponde Baritono. «In parte perché è la città del presidente, dove lui ha grossi investimenti immobiliari. Ma soprattutto perché, sede dei più grandi interessi economici e finanziari, ha una risonanza nazionale e internazionale. Da questo punto di vista la gestione della città costituisce un elemento importante, anche perché può dare delle indicazioni rispetto a politiche di carattere più generale».
Socialista
Ma l'attenzione di Trump nei confronti di Mamdani è dovuta anche al posizionamento politico del candidato. E tanto, tantissimo, si gioca attorno a una parola: «socialista». L'appartenenza a correnti socialiste «viene spesso utilizzata, negli Stati Uniti, come uno strumento di delegittimazione politica dell'avversario, perché tradizionalmente viene considerata qualcosa di alieno, distante, dalla cultura politica americana. Bisogna insomma fare attenzione al modo in cui questa parola viene usata, in quali contesti e da parte di chi», premette Baritono. «Mamdani fa riferimento a quel ramo del partito democratico che non esita a definirsi "socialista", ramo incarnato da Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. A quella parte del partito, quindi, che ritiene che la politica centrista portata avanti da leader come Clinton o Obama non abbia funzionato e che ci sia tutta una serie di questioni di carattere economico e sociale che debbano essere affrontati attraverso una maggiore redistribuzione della ricchezza e attenzione ai temi della giustizia sociale». Quando Trump e il suo entourage parlano di Mamdani, tuttavia, questa appartenenza viene usata come arma. «Il segretario al tesoro Scott Bessent e Trump stesso, non a caso, hanno detto di sperare - in fondo - in una vittoria di Mamdani», così da utilizzare l'ascesa di un candidato di sinistra «per scatenare una risposta contraria. Il pericolo che una vittoria rappresenti una sorta di boomerang, le ricadute a livello nazionale, spaventano i vertici dem - come il leader del Senato Chuck Schumer - che negli scorsi mesi hanno evitato di sostenere la candidatura del 33.enne».
Identità e pragmatismo
Secondo l'esperta, tuttavia, Mamdani si è mosso attivamente per evitare di essere additato come un radicale. È vero: nella sua campagna elettorale, evidenzia Baritono, «ha dato voce a quella parte del partito che era rimasta scontenta dalla politica di Kamala Harris. Ha guardato al voto giovanile, soprattutto alle frange attente a questioni quali clima, immigrazione e Palestina. La sua candidatura nasce dall'insoddisfazione rispetto a un partito che sembrava non trovare una voce rispetto alla retorica populista e radicale che ha dato la vittoria a Trump». Ma a seguito della sua promozione da candidato alle primarie a candidato del partito, Mamdani è stato anche in grado di smussare la propria retorica sui temi più spinosi, senza rinnegare le proprie posizioni. «Ha dimostrato di possedere un pragmatismo necessario in un un contesto politico complesso e sfaccettato come quello americano e newyorkese in particolare». Eppure, come già evidenziato, questi passi non gli sono bastati per conquistare il pieno supporto della leadership democratica in Congresso, restia a concedere endorsement a chi non ne rispetta l'ortodossia centrista. Manca, insomma, il già citato pragmatismo? «Il partito fatica ancora a trovare un'identità di fronte alle politiche portate avanti da Trump e sembra non riesca a fare i conti con la nuova realtà» dettata dai ritmi MAGA. «I leader dem continuano ad affidarsi al voto moderato come elemento che segni la differenza con il radicalismo di destra, del quale il partito repubblicano ha fatto una sua cifra identitaria».
Verso le elezioni
Tutto ciò apre una ferita nel fronte blu, all'interno del quale l'ala progressista è in crescita. «C'è una battaglia in corso tra due anime difficili da conciliare, e si sta svolgendo a tappe che culmineranno nelle elezioni di metà mandato e con le presidenziali del 2028». In questo senso, l'elezione di Mamdani rappresenta un'occasione, per l'Asinello, di fare i conti con queste due correnti: «A livello nazionale il partito democratico deve chiarire la sua piattaforma politica e i suoi obiettivi politici, capendo come sfidare i repubblicani sui temi più cruciali, dall'economia all'immigrazione».
In un Paese in cui i blocchi elettorali sono piuttosto rigidi, con un debole travaso di preferenze da un partito all'altro, l'esito delle votazioni dipende da due fattori: la capacità di mobilitare il proprio elettorato e quella di attrarre il voto indipendente. Trump, evidenzia Baritono, è riuscito a mobilitare l'elettorato repubblicano con un modello basato sulla radicalizzazione. «Il partito democratico deve trovare un suo modo per convincere gli elettori ad andare a votare. Per ora non ci è riuscito, in particolare con la fascia giovanile e quella più povera e disagiata». Questo non significa necessariamente esacerbare la polarizzazione o utilizzare toni ancora più radicali di quelli di Trump: «Serve, semplicemente, un messaggio coerente».
