L’intervista

«Energia da fusione nucleare nella seconda metà del secolo»

Le valutazioni di Piero Martin, professore di Fisica sperimentale presso il Dipartimento Fisica e Astronomia dell’Università di Padova, dopo le dichiarazioni di Macron
La centrale nucleare EPR di Flamanville, nel nord-ovest della Francia, recentemente controllata dagli esperti dell’Euratom.
Osvaldo Migotto
14.10.2021 06:00

L’Europa e il resto del mondo cercano di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili per contrastare i cambiamenti climatici, ma le energie rinnovabili non soddisfano la crescente domanda di energia. Il presidente francese Macron vuole puntare anche sui mini-reattori nucleari. Quali le prospettive per il futuro? Abbiamo sentito Piero Martin, professore di Fisica ed esperto di fusione nucleare.

Qual è oggi il peso dell’energia nucleare nel mondo?
«Oggi circa il 30% dell’energia elettrica prodotta nel mondo deriva da fonti che non rilasciano CO2. Di questo 30%, circa un terzo è prodotto dall’energia nucleare. Nel corso degli anni la dimensione dei reattori nucleari è cresciuta per realizzare economie di scala. Quindi oggi molti reattori hanno un output energetico significativo, fino a un gigawatt elettrico. Tra i problemi legati alla fissione nucleare vi è quello delle scorie radioattive a lungo periodo. Questo tipo di energia nucleare può essere visto come una medicina che oggi dobbiamo prendere, ma non può essere una soluzione sostenibile sul lungo termine».

Quali benefici portano i mini-reattori nucleari su cui punta Parigi?
«Non vi sono i problemi che hanno i reattori atomici di grandi dimensioni, ossia i grossi costi d’investimento e i tempi lunghi di realizzazione. Pertanto i mini-reattori nucleari hanno anche minori costi di gestione. Per la loro realizzazione ci si è basati sull’esperienza che diversi Paesi hanno fatto ad esempio con i sottomarini nucleari. La produzione elettrica di un mini-reattore potrebbe essere di 300 megawatt , ossia 4 o 5 volte meno di quanto può produrre un reattore tradizionale. Inoltre, essendo modulari, i mini-reattori possono essere costruiti in serie, riducendo così i costi di produzione».

Per quanto concerne la loro sicurezza cosa ci può dire?
«I mini-reattori possono essere oggetto di processi di sicurezza passivi che sono molto più efficaci della sicurezza attiva. Oggi una buona parte della sicurezza dei reattori nucleari si basa su procedimenti attivi, ossia ci deve essere un controllo umano o da parte di una tecnologia realizzata dall’uomo. Il controllo passivo si basa invece su fenomeni naturali quali la gravità o l’evaporazione e ciò rende più facile, e non dipendente dall’abilità umana, la gestione della sicurezza. Inoltre si sta studiando la possibilità di realizzare i mini-reattori sott’acqua o in una caverna, per proteggerli da possibili atti terroristici o da fenomeni naturali quali uno tsunami».

Per il futuro la soluzione ideale sembra la fusione nucleare. Quali sono le principali difficoltà nel raggiungere tale traguardo?
«Per la fissione nucleare occorre raggiungere una massa critica, ossia mettere insieme molto combustibile, l’uranio, per poter realizzare efficacemente il processo che, in caso di perdita di controllo della situazione, crea un grosso problema. Nella fusione nucleare, invece, la quantità di combustibile in gioco è invece bassissima. Il processo è molto sicuro e nella peggiore delle ipotesi si spegne. La difficoltà però sta nel fatto che il combustibile deve superare delle leggi, delle barriere fisiche abbastanza complesse per avviare la fusione. Noi dobbiamo tenere assieme il combustibile attraverso dei campi magnetici, ma non è semplice. Stiamo imparando come portare a termine questo processo. Tra l’altro al Politecnico federale di Losanna, con cui ho spesso lavorato, c’è un grosso laboratorio dove si fa ricerca di altissimo livello. Ritengo che avremo energia elettrica da fusione nucleare nella seconda metà del secolo. Il progetto internazionale ITER (con un reattore sperimentale realizzato nel sud della Francia) mostra il grande interesse che vi è sulla fusione nucleare da parte delle economie nazionali. Anche l’industria privata sta investendo in modo significativo nella fusione. Giusto per fare un esempio, negli ultimi anni l’Italia ha avuto commesse per oltre un miliardo di euro per la costruzione di ITER. Con un’accelerazione degli investimenti in questo settore energetico, non è escluso che si arrivi alla fusione prima del previsto».