Turchia

Erdogan come Trump in caso di sconfitta?

È lo scenario che teme l'opposizione, tant'è che il candidato Kemal Kilicdaroglu ha esortato i suoi elettori a non festeggiare un'eventuale vittoria
© TOLGA BOZOGLU
Red. Online
12.05.2023 11:45

Recep Tayyip Erdogan contro Kemal Kilicdaroglu. La Turchia, ne abbiamo già parlato (qui, qui e ancora qui), domenica terrà il fiato sospeso. Lo farà fino al 28 maggio, quando si conoscerà il volto e il nome di chi, per i prossimi 5 anni, governerà il Paese di 86 milioni di abitanti. Da una parte il nazionalismo islamo-conservatore; dall'altra un possibile, nuovo inizio sociale. Come finirà? Difficile dirlo. Dai sondaggi, tuttavia, è emersa qualche indicazione: sembrerebbe, infatti, che Erdogan, il Sultano, per la prima volta dalla sua elezione a capo del governo possa venire sconfitto dal suo rivale. Di qui la domanda, più che mai attuale: se dovesse succedere, accetterà pacificamente il risultato delle elezioni? 

L'opposizione, in questo senso, non ha usato giri di parole: teme che Erdogan si aggrappi al potere con tutte le sue forze e tutti i suoi agganci. Il diretto interessato, al riguardo, ha lanciato un monito inquietante: «Il mio popolo non consegnerà il Paese a un presidente sostenuto dal PKK». Già, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan e, più in generale, i curdi. Un bersaglio continuo, se non perenne. Erdogan ha accusato più volte Kilicdaroglu di essere politicamente vicino ai leader curdi. Il ministro degli Esteri del Sultano, Süleyman Soylu, dal canto suo ha detto che l'Occidente sta segretamente preparando un colpo di Stato in occasione di queste elezioni. Parole pesanti, già.

Il caso di Istanbul

Le elezioni comunali di Istanbul, la metropoli più importante del Paese, tenutesi quattro anni fa, hanno dimostrato quanto Erdogan sia poco, o per nulla, tollerante di fronte alle sconfitte politiche. Il suo candidato, infatti, venne battuto di misura dal candidato dell'opposizione, Ekrem Imamoglu, considerato un astro nascente della politica. Il presidente, amareggiato, si arrabbiò a tal punto da ordinare un nuovo passaggio alle urne. Non bastò, visto che il pupillo di Erdogan perse di nuovo, per giunta in maniera nettissima. E così, il presidente e il suo schieramento, l'AKP, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, si ritrovarono senza potere all'interno della città-faro della Turchia.

A questo giro, Erdogan sta facendo di tutto e di più per evitare di cedere il passo. Stavolta, ha agito con largo anticipo. Dapprima, varando e mettendo in mostra la prima, primissima portaerei di fabbricazione turca (il costo? 900 milioni di franchi). Quindi, alzando il salario minimo dei dipendenti statali. 

Il Blick, fra gli altri, ha parlato con molti sostenitori dei due candidati ai vari comizi elettorali organizzati in tutto il Paese. Fronte Erdogan, i suoi elettori affermano che un'eventuale sconfitta sarebbe figlia principalmente dell'interferenza degli Stati Uniti nella campagna. Dall'opposizione, invece, si sono levate diverse voci preoccupate: «Se Erdogan perde – ha detto un elettore di Kilicdaroglu – qui sarà guerra civile».

«Non festeggiate»

Erdogan, di suo, poco o nulla ha fatto per calmare le acque come detto. Ad esempio, fra i suoi sostenitori ha diffuso l'idea che, se dovesse perdere, la cosiddetta morale scomparirebbe totalmente dalla Turchia. Di certo, per l'Islam politico si tratterebbe di un tonfo difficile, difficilissimo da digerire. Paragonabile alla caduta dei governanti islamisti in Libia e in Egitto fra il 2011 e il 2013. La posta in gioco, dunque, è alta. Il candidato dell'opposizione, Kilicdaroglu, ha personalmente esortato i suoi elettori a non festeggiare nelle strade in caso di sconfitta di Erdogan. Come dire: il rischio di scontri e violenze è reale.

A tal proposito, è interessante sottolineare un ultimo aspetto: anni fa, il governo turco distribuì ai suoi sostenitori migliaia e migliaia di armi. Una risposta al tentativo di colpo di Stato del 2016. Di quelle armi non si è più saputo nulla. È auspicabile che non ricompaiano adesso e che Erdogan, se caso, si difenda soltanto attraverso armi democratiche.

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