Il blocco

Ever Given, il naufragio di mezzo mondo

Dal Canale di Suez passa ogni anno il 12% del commercio mondiale - Per questo motivo le conseguenze dell’incagliamento della portacontainer sono drammatiche - Ritardi nella catena di distribuzione internazionale ma niente che riguardi beni vitali per la Svizzera
© EPA/SUEZ CANAL AUTHORITY
Stefano Olivari
26.03.2021 20:53

Dal Canale di Suez passa ogni anno il 12% del commercio mondiale, valutabile nel 2020 intorno a 13,5 migliaia di miliardi di franchi, mentre nel 2019, era pre-Covid, sfiorava le 17 migliaia (fonte: Boston Consulting Group). Per questo il caso della portacontainer Ever Given incagliata da martedì in un banco di sabbia, bloccando il traffico nel canale chissà per quanto, è una tragedia economica planetaria, che potrebbe avere effetti molto concreti su tutti noi.

Sfortuna globalizzata

La vicenda è nata da una buona dose di sfortuna, perché la Ever Given è una delle navi commerciali più lunghe del mondo: 400 metri, per 59 di larghezza, e una capacità di trasportare anche 20.000 container per viaggio. Bandiera panamense e proprietà taiwanese (la società si chiama Evergreen), partita dalla Cina e diretta a Rotterdam, al momento dell’incidente - che poi è stato una manovra sbagliata durante una tempesta di sabbia -, aveva al timone due uomini dell’autorità egiziana che ha giurisdizione sul canale. Insomma, questo simbolo della globalizzazione, inaugurato nel 2018 (quindi una nave di recente costruzione, non la classica “carretta” da trasporto), si è messo di traverso e si è incagliato, bloccando il traffico in entrambe le direzioni.

Danni mondiali

Quanto costa ogni giorno di stop? Secondo i Lloyd’s, che da assicuratori sono in grado di valutare la portata di un disastro, il danno quotidiano per il commercio mondiale è di circa 9 miliardi di franchi: 4,8 dovuti al blocco del traffico dal Mediterraneo all’Oceano Indiano, 4,2 imputabili alla direzione opposta. Danno enorme anche per l’Egitto, per cui il Canale è una delle principali fonti di entrata: nel 2020, anno non splendente per il commercio, i 18.829 transiti di navi da Suez hanno generato un introito di 5,61 miliardi di dollari. Da non dimenticare che sulle centinaia di navi ferme per così dire in coda non ci sono soltanto merci inanimate, dai cereali al petrolio, ma anche una decina che trasportano animali vivi: un orrore che si somma ad altri.

© SATELLITE IMAGE 2020 MAXAR TECHNOLOGIES
© SATELLITE IMAGE 2020 MAXAR TECHNOLOGIES

Le ripercussioni per Berna

Perché questi danni siano percepibili dal consumatore finale svizzero ed europeo ci vorrà del tempo, anche se è ovvia la tendenza al rialzo del prezzo del petrolio e quindi di benzina e tutto il resto, visto che da Suez passa dal 7 al 10% del traffico mondiale di petrolio, a seconda dei criteri di stima. Fra aumento dei prezzi e carestia c’è comunque differenza e da Berna l’UFAE (Ufficio Federale Approvigionamento Economico) ha ricordato che ci sono ritardi nella catena di distribuzione internazionale ma niente che riguardi beni vitali per la Svizzera. Certo è la fotografia di una situazione da cui si spera di uscire in qualche giorno, con l’ausilio dei tanti esperti (in particolare olandesi e statunitensi) convocati sul posto.

Petrolio

In altre epoche un incidente del genere, senza arrivare al blocco del Canale di Suez a cui stiamo assistendo, avrebbe fatto schizzare verso l’alto i prezzi del petrolio. Ma finora non si è assistito a niente di simile ed è una buona notizia fino a un certo punto, perché significa che molti grandi investitori pensano che in ogni caso la ripresa economica post-pandemia sarà molto lenta e quindi Suez bloccato non spaventa. In questo quadro il 10% del petrolio mondiale può anche viaggiare con calma o, nell’ipotesi più estrema, valutare rotte più costose come circumnavigare l’Africa e passare dal Capo di Buona Speranza. La tentazione di buttarla sulla geopolitica c’è sempre, ma bisogna ricordare che per quanto riguarda il petrolio Suez è sì un punto chiave ma meno di altri: da lì transitano 4,6 milioni di barili l’anno, contro i 15,7 dello stretto di Malacca e i 17 milioni dello stretto di Hormuz, vera arma dell’Iran oltre che motivo di una significativa presenza statunitense nella regione.

La rivincita del mare

In un periodo di turbolenze e frazionamento di vecchi Stati, il trasporto via mare ha ancora un suo perché e non è un caso che le economie dai tassi di sviluppo travolgenti cerchino di mantenere e ampliare il controllo dei porti. Nella classifica mondiale basata sui milioni di container standard gestiti, a dominare è infatti Shanghai, con 43,2 (oltre il doppio rispetto al 2005), davanti a Singapore e ad altre 7 città asiatiche, con la prima “occidentale”, Rotterdam, al decimo posto con 14,3. Tutti i porti sono molto più grandi rispetto a inizio millennio e in questo grande gioco c’è chi, come l’Egitto, guadagna da una pura rendita di posizione: la ormai famosa Ever Given passando dal Capo di Buona Speranza ci metterebbe come minimo due settimane in più per arrivare a Rotterdam.

Raddoppio

Un concetto ben chiaro, con altri tempi di navigazione, fin dall’Ottocento, visto che il Canale di Suez, costruito da una società francese, fu inaugurato nel 1869 e dopo 80 anni di controllo britannico fu nazionalizzato da Nasser nel 1956. C’è però anche un futuro, diversamente un Paese come l’Egitto non avrebbe investito negli ultimi anni l’equivalente di 7,5 miliardi di dollari in lavori lungo i 193 chilometri del canale che collega il Mediterraneo al Mar Rosso. La previsione è che con la ripresa economica il Canale generi ogni anno, per il Paese, il doppio di quanto generi attualmente, quindi oltre 10 miliardi di dollari. Prima però bisogna spostare una nave.

L’altro blocco di Suez

L’incagliamento della Ever Given nel Canale di Suez ha fatto pensare a molti economisti uno scenario come quello del 1973, quello della stagflazione, cioè inflazione più disoccupazione. C’era sempre il blocco del Canale di Suez di mezzo, però con la differenza che la crisi fu scatenata da una guerra: l’esercito egiziano superò il Canale e attaccò quello di Israele, attaccato anche sul Golan dalla Siria. Quella passata alla storia come la Guerra dello Yom Kippur fu vinta da Israele e a perdere, oltre all’Egitto, fu anche l’Europa visto che la crisi energetica fece esplodere l’inflazione.