Il caso

Fai smartworking dalla spiaggia? Presto potresti pagare le tasse

A causa della pandemia, il confine tra lavoro e vacanza è diventato sempre meno definito – Le autorità fiscali nazionali e l'OCSE sentono ora il bisogno di stabilire alcune regole più precise per chi lavora da remoto da un altro Paese
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Federica Serrao
25.03.2023 18:30

Collegarsi a una riunione di lavoro, direttamente dalla spiaggia. Questo, se vogliamo, è uno dei pochi aspetti positivi scaturiti dalla pandemia, ormai sempre più lontana. Alcune abitudini, però, come quella di partecipare ai meeting online, senza bisogno di spostarsi, sembrano dure a morire. Ancora diverse aziende consentono infatti ai propri dipendenti di lavorare da remoto. Una possibilità che alcuni hanno colto decidendo di spostarsi addirittura in un altro Paese e riuscendo a conciliare vacanze e attività lavorativa, senza troppe pressioni. Ora, però, la musica potrebbe cambiare. Secondo un'indagine di Bloomberg, presto comportamenti di questo tipo potrebbero non essere più accettati. E non dai datori di lavoro, ma bensì dalle autorità fiscali dei vari Paesi. Che, per meglio dire, potrebbero cominciare a chiedere ai «lavoratori in vacanza» di pagare alcune tasse. Ma vediamo nel dettaglio come cambierebbe la situazione. 

Quando la vacanza non è più solo una vacanza

Le domande alla base della questione, principalmente, sono due. Quando lavorare mentre si è in vacanza si trasforma in un soggiorno prolungato, che suscita l'interesse delle autorità fiscali locali? E a seguire, un'azienda dovrebbe affrontare complicazioni fiscali all'estero, se il suo personale è sparso in giro per l'Europa e lavora a distanza? Come rivela Bloomberg, entrambi i quesiti sono diventati di interesse delle autorità fiscali nazionali e dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), dal momento che la cosiddetta «rivoluzione del lavoro» causata dalla pandemia non accenna a fermarsi. Al contrario, i confini tra lavoro, residenza e tempo libero sono sempre meno netti, grazie alle nuove modalità che consentono di collegarsi a una riunione Teams o Zoom in qualunque momento e in qualunque posto ci si trovi. 

Da qui, quindi, la necessità di ristabilire una sorta di ordine e di introdurre regole più rigide e più chiare su quanto tempo le persone possano effettivamente lavorare all'estero prima di incappare nella rete fiscale di un altro Paese. E non solo. Il problema, infatti, è decisamente più ampio. Oltre alla durata della permanenza all'estero,  questa situazione fa nascere anche interrogativi relativi ai pagamenti della previdenza sociale e delle pensioni per i dipendenti che mantengono un domicilio in una giurisdizione differente da quella in cui sono impiegati.

Doppia tassazione e multe

Una notizia, questa, che potrebbe scombinare i piani di molti. La pandemia, tra le tante cose, ha davvero avuto un impatto marcato sulle modalità di lavoro, al punto tale da aver offuscato la distinzione tra lavoro e vacanza per coloro che possono comodamente partecipare ai meeting online dal proprio divano. In un certo senso, citiamo ancora Bloomberg, questi cambiamenti hanno creato una nuova generazione di «nomadi digitali» che percepiscono un reddito in un luogo, mentre in realtà, fisicamente, si trovano da tutt'altra parte. Una situazione di questo tipo ha, a lungo andare, ribaltato le definizioni tradizionali di "tassazione sul reddito da lavoro", sia per quanto concerne i singoli dipendenti, ma anche le intere aziende. Ma perché è così importante definire queste regole? Molto semplicemente, in mancanza di chiarezza, si rischierebbe di pagare le tasse in due luoghi contemporaneamente o di essere soggetti a multe. 

«I Paesi riconoscono che c'è un problema e che è necessario assicurarsi che le regole siano aggiornate alla realtà dell'economia moderna», confessa a Bloomberg David Bradbury, vice direttore del Centro per la politica e l'amministrazione fiscale dell'OCSE. «Per noi si tratta di una serie di sfide emergenti, che a breve si intensificheranno».

Soggiorni sempre più lunghi

Mentre le autorità fiscali nazionali e l'OCSE cercano di fare chiarezza e di stabilire delle regole più marcate, diverse imprese e singoli dipendenti si sono già trovati in situazioni poco chiare. A riprova del fatto che il confine tra lavoro e vacanza, per alcuni, sia ormai diventato sottilissimo. In alcuni Paesi come Cina, India e Gran Bretagna, per esempio, le persone vengono considerate fiscalmente residenti dopo circa sei mesi di permanenza nel Paese. Negli Stati Uniti, invece, le linee guida parlano della «regola dei 183 giorni». Nella maggior parte dei Paesi, tuttavia, alle regole in vigore si applicano anche avvertenze ed eccezioni del caso. 

Tuttavia, il quesito, per i funzionari, rimane di vitale importanza. Nonostante si parli sempre meno di coronavirus, si stima infatti che il telelavoro, in futuro, sia comunque destinato ad aumentare, portando alla necessità urgente di stabilire regole più chiare. Come rivela un sondaggio di Go City, circa il 30% degli americani avrebbe già in programma una vacanza di lavoro nel corso del 2023. Anche AirBnb, portale noto per offrire alloggi e case vacanza, ha affermato di aver registrato un incremento molto rapido dei soggiorni a lungo termine (vale a dire di oltre 28 giorni) da quando è scoppiata la pandemia tre anni fa. Tendenza che, immediatamente, è stata collegata a una maggiore flessibilità del telelavoro, che avrebbe spinto le persone a spostarsi in un altro Paese, pur continuando a esercitare la propria professione senza problemi.

D'altro canto, però, anche le aziende, temono di trovarsi di fronte a brutte sorprese da parte delle autorità fiscali straniere, soprattutto nel momento in cui i dirigenti dovessero prendersi decisioni e accordi chiave mentre si trovano in un luogo diverso dalla loro giurisdizione di origine. Qualora trapelassero indiscrezioni di questo tipo, i problemi potrebbero infatti essere diversi. Dall'altra parte, però, le aziende chiedono anche all'OCSE di stabilire quanto prima delle regole chiare, di modo da poter continuare a offrire più vantaggi al personale che lavora da remoto. Sebbene si stiano delineando sempre più domande in merito allo smartworking, questa modalità continua infatti a essere molto apprezzata dai lavoratori di tutto il mondo. E le aziende che la propongono, dopotutto, sperano di poter continuare a vincere sui competitors, offrendo un vantaggio che prima della pandemia si poteva solo sognare.