Fra empatia e solidarietà in un mondo multi-crisi

«L'empatia è la debolezza principale della civiltà occidentale». Intervistato dal podcaster Joe Rogan, a fine febbraio Elon Musk presentava la capacità di mettersi nei panni degli altri come un punto debole degli Stati Uniti, sfruttato da malintenzionati - criminali e migranti illegali, nel discorso dell'imprenditore e uomo più ricco al mondo - per avanzare i propri piani. Musk non è l'unico a parlare così dell'empatia. Al riguardo, l'attivista di estrema destra Charlie Kirk - assassinato un mese fa nello Utah - aveva più volte usato toni simili, descrivendo sotto una luce negativa quella che è comunemente percepita come una qualità positiva, un sinonimo di umanità. Concepiti in ambienti conservatori, negli ultimi anni si sono moltiplicati, oltreoceano, i libri che descrivono l'empatia come un tratto assolutamente da evitare. E non manca chi la descrive come «tossica» - Toxic Empathy, di Allie Beth Stuckey - o, addirittura, un «peccato» - The Sin of Empathy, del pastore Joe Rigney.
Ma che ruolo ha, davvero, l'empatia in un mondo sempre più polarizzato e multi-crisi? Ne abbiamo parlato con Markus Krienke, professore di Filosofia moderna ed Etica sociale alla Facoltà di Teologia di Lugano.
Pregi, difetti
Una definizione l'abbiamo già data: la capacità di mettersi nei panni degli altri. Ma che cos'è, davvero, l'empatia? «Un processo con il quale - in una dimensione non solo emotiva, ma anche cognitiva - conosco nel modo più completo possibile la situazione vissuta da un altro, per poi sentire e viverne la condizione, parteciparne intimamente, senza la distanza tipicamente presente nel concetto di compassione». Una capacità, questa, importante per l'uomo. «In passato è stato un tratto evolutivo che ci ha aiutato a sopravvivere, permettendoci di creare rapporti più stretti fra i membri del gruppo. Oggi è una componente assolutamente fondamentale per la morale: senza, siamo meno umani. Ma, secondo il filosofo e teologo, «l'empatia non può sostituire la morale. Può anche essere strumentalizzata» ed essere fonte di spaccature sociali: «Mettersi al posto dell'altro significa, a volte, schierarsi ciecamente con la parte con cui ci si identifica, in opposizione irrazionale ad altri». Per questo, ci spiega Krienke, da un punto di vista teologico l'empatia si sublima nel concetto di caritas, «l'amore per il prossimo che non è solo mettersi radicalmente al posto dell'altro, ma molto di più. È anche tenere quella sana distanza dall'altro che impedisce, nell'atto di empatizzare, di mettere da parte completamente qualsiasi razionalità. L'amore non conosce né confini né nemici. Così si esclude la parte dell'empatia che può spingere a prendere le parti di qualcuno in opposizione ad altri. Solidarietà, insomma, che si dona all'altro, ma senza che si perda di vista la dimensione più grande di giustizia universale». Solidarietà di questo tipo esistono nella società moderna, al di fuori dei testi sacri: «La vediamo, ad esempio, tradotta nel diritto, con la legge uguale per tutti. O nella creazione di aiuti statali».
Polemizzare
Negli Stati Uniti, appunto, esiste una forte polemica sull'empatia. «A partire dal Duemila, lo sviluppo di nuove tecnologie e il conseguente ampliamento delle distanze fra le persone - con la crescita di individualismo e anonimizzazione - ha promosso un ritorno dell'empatia, anche a livello politico. Barack Obama ne è stato un'icona». Ma, sottolinea Krienke, «negli anni più recenti le politiche di destra hanno sfruttato il timore che l'empatia possa essere fraintesa come debolezza e rinuncia alla propria identità per cancellarla completamente, demonizzando ogni possibilità di empatizzare con gli altri». Una tendenza, sottolinea il filosofo e teologo, cavalcata anche dalle nuove destre religiose: «C'è chi descrive l'empatia come sinonimo di perdita di determinati criteri identitari e quindi anche di valori morali, come una deriva». Ma senza le basi dell'empatia, come si può costruire solidarietà o - teologicamente parlando - amore per il prossimo? «Non si può. Chi scarta completamente l'empatia, scardina qualcosa dal concetto di amore e quindi dalla positiva realizzazione di una morale. Lo dico sia da teologo sia da filosofo: è assolutamente intollerabile, da un punto di vista cristiano, ma anche morale, la strumentalizzazione della parzialità dell'empatia al fine di polemizzare contro un sentimento umano, come quello di chi chiede giustizia - un concetto inclusivo, non esclusivo - per le vittime di Gaza, o per chi, come gli immigrati (deportati senza processo, ndr), subiscono le politiche di Donald Trump».
Superare le divisioni
Come fare allora a trasformare l'empatia - che può portare a schierarsi, ad esempio, pro-Israele e anti-Gaza, o viceversa - a una solidarietà universale, omnicomprensiva? «Innanzitutto l'empatia non deve chiudersi di fronte alla riflessione e a domande scomode. Se lo fa, è un'empatia strumentalizzata. È importante aprirsi alla critica e anche all'autocritica. Solo così, trasportata a una dimensione più universale, l'empatia si può trasformare in un contributo alla morale. Bisogna porsi questa domanda: l'empatia che provo è inclusiva o esclusiva? Se è esclusiva, allora si tratta di una strumentalizzazione di un'emozione».
Con certi, delicatissimi temi la tentazione - anche con amici e famigliari - è evitare ogni discussione. «Siamo in un'epoca di polarizzazione, strumentalizzazione, stigmatizzazione. Sono logiche del nostro tempo che rendono il dialogo sempre più difficile», ammette Krienke, che tuttavia sottolinea: «Il confronto non va evitato. Bisogna lavorare sull'educazione, sulla cultura, sull'umanità, ma soprattutto sull’empatia critica capace di scoprire le manipolazioni. È veramente importante evitare di argomentare solo sui social, sistemi chiusi dove le logiche si autoalimentano. Bisogna uscire dalle bolle chiuse e rivalorizzare le istituzioni di formazione alla ragion critica». Secondo il teologo e filosofo, azione e parola sono mezzi importanti per questo processo: «Bisogna agire concretamente, cercare attivamente solidarizzazioni, parlare di buoni esempi e di buone pratiche, tenere e rendere presente che la realizzazione dell'umanità è nell'apertura all'altro, nel vivere l'empatia in senso positivo che supera le retoriche selettive, e che senza questa dimensione siamo noi stessi i primi a perdere qualità di vita, a danneggiare il nostro senso di umanità e la considerazione che abbiamo di noi stessi. Non c'è alternativa».
