Il punto

Frana in Papua Nuova Guinea: «Ci sono più di 670 persone sottoterra»

Si aggrava il bilancio del disastro avvenuto venerdì in una regione montana del Paese oceanico – Le operazioni di soccorso sono ostacolate dai danni e dagli scontri tribali nell'area
© Benjamin Sipa/International Organization for Migration via AP
Red. Online
26.05.2024 15:30

«Un disastro senza precedenti». È con queste parole che, venerdì, le autorità della Papua Nuova Guinea descrivevano il disastro naturale che ha colpito la Nazione. Negli scorsi giorni, una grande frana ha colpito più di sei villaggi in una regione montuosa del Paese oceanico, travolgendo tante, tantissime abitazioni. Nello specifico, più di cento case sono state sepolte da fango e rocce. Ma, ancor più tragico, è il numero delle vittime. Secondo quanto dichiarato dall'ONU quest'oggi, sarebbero infatti almeno 670 le persone che hanno perso la vita a causa della frana. Un numero alto, altissimo. 

Come spiegato da Serhan Aktoprak, capo della missione dell'agenzia delle Nazioni Unite in Papua Nuova Guinea, i calcoli sono stati fatti basandosi sul villaggio di Yambali, dove si contano più di 150 case sepolte da roccia e fango della frana di venerdì. Insieme alle abitazioni, anche tutte le strutture mediche della zona sono state inghiottite dai detriti, così come la scuola locale, un distributore di benzina e una guest house. Tra gli altri villaggi colpiti, risulta esserci anche quello di Kaokalam. 

La parte peggiore, è che la maggior parte delle vittime è stata inghiottita dai detriti, ma non è ancora stata rintracciata. Ad oggi, infatti, sono stati rinvenuti solo cinque corpi e la gamba di una sesta vittima. Sette persone, nel frattempo, sono state tratte in salvo e ospedalizzate. «La situazione è terribile, il terreno continua a franare. L'acqua scorre e questo sta creando rischi enormi per tutti i soggetti coinvolti», ha aggiunto Aktoprak. 

Non solo. A render ancor più difficoltoso il trasferimento dei sopravvissuti si è aggiunta anche la guerra tribale, molto diffusa negli altopiani della Papua Nuova Guinea. Le tensioni, unite a tonnellate di terra instabile, dunque, stanno rendendo ancor più complicate le operazioni dei soccorsi. I danni alle infrastrutture, inoltre, non permettono alle squadre di raggiungere l'area colpita. L'autostrada principale, infatti, è stata «tagliata in due» da un'enorme striscia di detriti, rendendo la zona ancor più inaccessibile. «Il terreno è piuttosto instabile, e ciò rende difficile l'accesso ai soccorritori. Anche la strada principale è stata interrotta per circa 200 metri, ostacolando le operazioni di soccorso», ha dichiarato Justine McMahon, rappresentante del gruppo umanitario Care Australia nel Paese, ad Al Jazeera

Massi grandi come automobili

Che la frana avesse causato un disastro senza precedenti, come detto, è stato chiaro fin dal primo momento. A staccarsi, infatti, sono stati massi enormi, alcuni delle dimensioni di un'automobile, secondo quanto si legge su Al Jazeera. Tutt'attorno, nell'area montana colpita, ci sono alberi sradicati e il terreno è spaccato. Secondo le agenzie umanitarie, nella catastrofe sono stati spazzati via orti e bestiame, ma anche le fonti di acqua potabile di cui si servivano i villaggi. E, stando a quanto emerge dalle rilevazioni del caso condotte in loco, la terra non si è ancora del tutto assestata. Il che porta a credere che le operazioni di soccorso possano essere ancor più complesse di quanto non lo siano già state fino ad ora. 

Le squadre di soccorso, intanto, hanno perso la speranza di trovare sopravvissuti sotto le macerie, a 6-8 metri di profondità. «Le persone stanno realizzando la situazione, dunque c'è un grave livello di dolore e lutto». Chi è stato salvato è stato spostato su terreni più sicuri, nonostante le operazioni di soccorso siano ancora ostacolate, come detto, anche dalla guerra tribale nel villaggio di Tambitanis, a metà del percorso che conduce alla zona colpita dalla frana.  

Ieri, infatti, otto persone sono state uccise in uno scontro tra due clan rivali. Secondo Aktoprak, tuttavia, è improbabile che i combattenti prendano di mira i convogli di aiuti umanitari destinati alle persone sfollate, anche se non si può escludere che alcuni criminali approfittino del caos per rubare, soprattutto auto.