Parigi

Francia in crisi sociale e politica, Macron chiede «100 giorni»

Il presidente in Tv ha parlato di unità e di pacificazione dopo le durissime proteste scatenate dall’approvazione della riforma previdenziale - Il no fermo e deciso dell’opposizione Il Governo sarà costretto a cercare in Parlamento i voti necessari per ciascun provvedimento
©Xose Bouzas / Hans Lucas
Dario Campione
18.04.2023 21:30

Que reste-t-il de la Macronie? Che cosa rimane, sei anni dopo la clamorosa e travolgente vittoria alle presidenziali, del macronismo? Se lo chiedono, da giorni, più o meno tutti gli analisti e gli osservatori della politica francese. Molti dei quali sembrano ormai convinti del fatto che il presidente abbia «perso la bussola», come ha scritto Le Monde.

La crisi sociale scatenata dalla decisione di approvare comunque la riforma delle pensioni non è ancora alle spalle, ma pare essersi attenuata. E lunedì sera, con un breve discorso televisivo seguito da quasi 17 milioni di persone, Emmanuel Macron ha tentato di aprire una fase nuova. Ha chiesto di essere giudicato tra cento giorni, al termine - ha detto - di un «periodo di pacificazione, unità e azioni al servizio della Francia». Un appello, però, immediatamente bocciato dai due grandi oppositori. «Il presidente avrebbe potuto ricostruire il legame con i francesi. Ma ha scelto ancora una volta di voltare loro le spalle e di ignorare le loro sofferenze», ha dichiarato a caldo la presidente del Rassemblement Nationale Marine Le Pen. Mentre Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise, ha definito Macron «completamente fuori dalla realtà. Le pentole suonano più precise», ha aggiunto, con un chiaro riferimento alle proteste delle padella andate in scena in molte città del Paese.

E tuttavia, pure se indebolito e ormai privo di una maggioranza parlamentare, il presidente francese ha scelto di rimanere sulla sua linea. «La riforma previdenziale era necessaria - ha insistito - ho sentito nelle manifestazioni una contrarietà alla legge, ma anche una voglia di dare un senso al proprio lavoro, di migliorare le condizioni, di avere carriere che permettano di progredire nella vita. E la rabbia di fronte all’aumento dei prezzi, del carburante, della spesa. Nessuno, soprattutto io, può rimanere sordo a questa richiesta di giustizia sociale».

Il monito di De Gaulle

Ma l’impressione è che il presidente e i suoi connazionali non si capiscano più. Il generale Charles de Gaulle, addosso al quale la Quinta Repubblica era stata confezionata come un vestito su misura, ricordava nel 1961 quanto fosse «essenziale per il Capo dello Stato avere, nel Paese, un consenso profondo», determinante per compiere pienamente il mandato presidenziale, «la sua missione». È chiaro che questa «adesione» sociale non c’è più. E che oggi Macron, come ha detto l’altro giorno il centrista Charles de Courson, decano dei deputati francesi (è in Parlamento dal 1993), si trova a guidare «una democrazia contro il popolo».

Al di là del fatto che sette francesi su dieci, così almeno dicono le ricerche demoscopiche, sono contrari alla riforma delle pensioni, ciò che più preoccupa gli osservatori della politica transalpina è l’incrinatura istituzionale causata dall’ostinazione con cui il presidente ha portato avanti la legge, imposta com’è noto alla fine senza il voto dell’Assemblea nazionale. 

Secondo un sondaggio di ViaVoice per Libération, il 54% degli intervistati considera la pratica del potere del presidente Macron «troppo autoritaria». E il 76% arriva a dire che la democrazia francese è «in cattive condizioni di salute».

«La Costituzione permette a un solo uomo di decidere. Questo è il motivo per cui siamo in una crisi di regime», ha commentato la giornalista e deputata di France Insoumise Clementine Autain.

La rotta è tracciata

Il verdetto con cui, venerdì scorso, la Corte costituzionale ha stabilito la legittimità della riforma che innalza l’età pensionabile da 62 a 64 anni spiana in ogni caso la strada al presidente francese per promulgare la legge, offrendogli nel contempo un’àncora di salvezza politica che lo stesso Macron ha subito fatto intendere di voler utilizzare. La sfida è chiara: placare la rabbia popolare e il dissenso diffuso non solo per la revisione del sistema previdenziale, ma anche per un percepito disprezzo delle istituzioni democratiche, causato dalla scelta di approvare il disegno di legge sulle pensioni senza un voto finale. Fonti governative hanno già tracciato la rotta su cui Macron si muoverà: misure per migliorare la vita quotidiana, compresa la fornitura di assistenza sanitaria e il potenziamento del settore dell’istruzione, e una legge sulla piena occupazione, progettata con lo scopo di abbattere la percentuale dei senza lavoro sotto la soglia del 5%.

Su quali alleati potrà contare Macron? Nessuno è in grado di fare previsioni. In realtà, dicono quasi tutti gli osservatori, le maggioranze saranno con ogni probabilità variabili. Dovranno cioè essere costruite di volta in volta, a seconda dei temi trattati. I numeri sono impietosi. Nei giorni scorsi, altri quattro deputati del partito del presidente hanno lasciato il gruppo all’Assemblea Nazionale, i cui seggi si sono così ridotti a 161 (su 577). Les Republicains (LR), partito conservatore sul quale il Governo sperava di poter contare, è uscito profondamente diviso dalla vicenda della riforma delle pensioni. «Ci sono ferite aperte nel Paese - ha scritto su Twitter il 37enne Aurélien Pradié, uno dei deputati ribelli di LR, contrario alla linea del partito sulla riforma delle pensioni - bisognerebbe essere ciechi o irresponsabili per non vedere la realtà».

Come ha scritto la Nzz, «un presidente francese ha un grande potere in virtù del suo ufficio. Tuttavia, non può fare politica da solo». Il fatto è che la solitudine sembra essere, al momento, la condizione di Macron in patria. «I francesi ce l’hanno con lui, i sindacati, proiettati al Primo Maggio, si rifiutano di parlargli, la sinistra promette di continuare la lotta e la destra non intende fargli alcun regalo». Sommerso ovunque vada da «concerti di padelle», l’inquilino dell’Eliseo si muove liberamente soltanto fuori dai confini nazionali. E infatti ha rilanciato il suo protagonismo sullo schacchiere mondiale, anche lì però scatenando dure polemiche per le posizioni apparentemente filo-cinesi e non troppo ostili alla Russia di Vladimir Putin. E allora, davvero, que reste-t-il de la Macronie?

L'analisi

Emmanuel Macron non è stato in grado di arginare la crisi sociale della Francia. Crisi che invece, nei sei anni della sua presidenza, sembra essersi aggravata. Perché?

L’analisi di Mario Del Pero, docente di Storia Internazionale e di Storia della politica estera degli Stati Uniti all’Istituto di studi politici SciencesPo di Parigi, è chiara: «Macron fa parte di una élite molto tecnocratica, il suo percorso di avvicinamento all’Eliseo è stato quello classico: prima gli studi a SciencePo, subito dopo L'École nationale d’administration (ENA), la fucina della classe dirigente transalpina, quindi qualche esperienza nel settore privato prima di approdare al governo nel quinquennio di François Hollande. Macron è  riuscito a presentarsi come un candidato di rottura, l’uomo anti-establishment che avrebbe destrutturato il quadro politico - dice Del Pero al CdT - ma in realtà è sempre stato espressione delle élites che salvano sé stesse. Alla fine, questa contraddizione di fondo è venuta fuori. Il presidente francese ha fatto saltare in aria il vecchio sistema dei partiti senza avere però la capacità di costruirne uno nuovo: c’era riuscito, in parte, nel primo mandato, ma il suo movimento, En Marche, poggiava sul nulla».

In un momento di crisi della rappresentanza, Emmanuel Macron non è stato quindi in grado di opporre una barriera solida al «vento dell’antipolitica - spiega il professor Del Pero - Ha proposto, invece, riforme che hanno generato ancora più proteste proprio a causa della mancanza di mediazione politica e sociale generata dalla sostanziale scomparsa dei partiti e dalla debolezza di vecchi attori come i sindacati. Insomma, ha forzato la mano senza calcolare le possibili conseguenze».

Il colpo politico subìto da Macron «è stato durissimo - insiste lo storico di SciencePo - e il discorso televisivo di lunedì sera lo ha mostrato in maniera chiara. Aver imposto la riforma delle pensioni all’inizio del secondo mandato ha dato, credo, un segnale di debolezza e non di forza. La debolezza tipica delle democrazie avanzate, nelle quali far passare le riforme è complesso. Il presidente francese ha aperto un vuoto e nessuno, oggi, è in grado di immaginare come questo vuoto potrà essere riempito».

Nel mondo occidentale, soprattutto negli ultimi anni, i cittadini sembrano ovunque essersi abituati a «una politica che cambia in modo repentino. Il macronismo - dice Mario Del Pero - è stato ed è uno di questi cambiamenti. Ma il problema, come sottolineavo prima, è la scomparsa sulla scena sociale degli attori che mediano e governano i passaggi complessi. Aver contribuito a far collassare il sistema dei partiti non è stato d’aiuto, tutt’altro. Se questi soggetti delegati alla rappresentanza sociale torneranno ad esistere, e in quali forme, nessuno lo sa. Rimettere insieme l’infrastruttura di un partito o crearne uno nuovo è molto complicato, cosa che lo stesso Macron ha potuto toccare con mano in modo diretto».

Lo scenario futuro resta quindi assolutamente incerto. Nessuno sbocco può essere escluso a priori, anche la vittoria alle prossime elezioni presidenziali dell’estrema destra di Marine Le Pen o dell’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon. «Dopo la vittoria di Donald Trump alla Casa Bianca qualsiasi ipotesi è possibile, anche in Francia - conclude Del Pero - forse non direttamente Le Pen o Mélenchon, ma qualcuno proveniente dai rispettivi movimenti o bacini di rappresentanza».