L'intervista

François Hollande: «La fine della guerra dipenderà dalle elezioni americane»

L'incontro con l'ex presidente della Repubblica francese: «Penso che la guerra, con tutte le sofferenze e perdite che conosciamo, continuerà ancora almeno per un altro anno e mezzo o due»
Bruno Giussani
24.06.2023 06:00

Presidente della Repubblica francese fra il 2012 e il 2017, periodo caratterizzato da attacchi terroristici, crisi economiche e sociali e dall’annessione russa della Crimea, François Hollande era molto impopolare alla fine del suo mandato. Ma ora è, stando ad alcuni sondaggi, fra i politici più popolari di Francia. Lo abbiamo incontrato nel quadro del Global Investment Forum che si è svolto la settimana scorsa a Ginevra.

Ci avviciniamo al cinquecentesimo giorno di guerra in Ucraina: come andrà a finire?
«Dipenderà dall’esito delle elezioni presidenziali americane del 2024. La strategia di Vladimir Putin è di consolidare i territori conquistati. Quella di Volodymyr Zelensky di respingere i russi il più possibile prima di quella data. Quelle elezioni saranno decisive perché anche se gli europei fanno la loro parte, oggi sono gli USA a fornire la maggior parte degli aiuti militari e finanziari all’Ucraina. Se vincerà Joe Biden, Putin capirà che gli aiuti continueranno finché sarà necessario, e sarà più portato a negoziare. Se prevarrà un candidato repubblicano (e ancor più se sarà Donald Trump) Putin capirà che il conflitto si fermerebbe congelandosi sulla linea degli equilibri militari raggiunti a quel momento. Penso quindi che la guerra, con tutte le sofferenze e perdite che conosciamo, continuerà ancora almeno per un altro anno e mezzo o due».

Mi parli di Putin. Lei lo ha incontrato diverse volte quando era Presidente. Nel suo recente libro «Bouleversements» («Sconvolgimenti», non tradotto in italiano) lo descrive come «un leader solitario» pieno di «rancore verso gli Stati Uniti e la NATO».
«Putin è un politico che crede solo nella forza. Se lo conteniamo, si sottomette. Se glielo permettiamo, avanza. Come ha fatto in Siria, e con la Crimea, senza reazione occidentale. Inoltre, ha un metodo di dialogo basato sulla menzogna. Una bugia per essere efficace deve essere sbalorditiva, e ciò fa parte della sua diplomazia. È così che ha potuto affermare che non è stato Bashar al-Assad a usare armi chimiche contro la popolazione siriana, ma gli oppositori a immolarsi col gas. Che la Russia non c’entrava con i separatisti nell’est dell’Ucraina. Che Zelensky è un nazista. Che il gruppo di mercenari Wagner non aveva nulla a che fare con il suo regime».

Penso che Putin sappia bene che se, per disgrazia, dovesse utilizzare anche la più piccola arma nucleare del suo arsenale, la risposta sarebbe massiccia e anche la Cina sarebbe su posizioni ostili. Certo la minaccia non va ignorata, ma non credo che succederà. 

Quanto è reale il rischio di nuclearizzazione del conflitto?
«Putin ha evocato a più riprese la minaccia nucleare, anche di recente posizionando missili e testate in Bielorussia. Ma non l’ha mai messa in pratica, malgrado l’evidente difficoltà del suo esercito in Ucraina. Penso che sappia bene che se, per disgrazia, dovesse utilizzare anche la più piccola arma nucleare del suo arsenale, la risposta sarebbe massiccia e anche la Cina sarebbe su posizioni ostili. Certo la minaccia non va ignorata, ma non credo che succederà. Può fare altre cose per creare panico, come far saltare in aria dighe o bombardare in prossimità di centrali nucleari».

L’Unione Europea è allineata con gli Stati Uniti sull’attitudine verso la Russia, ma ha adottato un approccio più sfumato nei rapporti con la Cina, fatto di «riduzione del rischio», come ha detto Ursula von der Leyen, piuttosto che di confronto diretto.
«Diciamo dapprima che l’Europa è legata agli Stati Uniti per la propria sicurezza. Anche se la Francia ha suggerito un’autonomia strategica europea, questa è immaginabile solo nel quadro dell’alleanza atlantica. Sulle questioni economiche, molti europei pensano che siano gli scambi a far avanzare l’idea di pace e che la prosperità possa portare alla convergenza fra paesi diversi dal profilo ideologico – e che quindi bisogna continuare a discutere e negoziare con, ed esportare verso, la Cina e altrove. Penso tuttavia che, senza cedere alle pressioni americane, dovremmo essere più fermi con la Cina sul commercio e sugli investimenti, perché assistiamo pure a un irrigidimento del regime cinese».

Vede un potenziale di conflitto aperto fra Cina e Stati Uniti?
«Non credo. Penso che ci saranno tensioni, ci saranno minacce, ma l’opzione militare è a mio avviso improbabile. Conservi questa frase, non si sa mai, forse potrà rinfacciarmela in futuro. Ma credo che un conflitto avrebbe troppe conseguenze per tutti, in termini umani come pure economici, Europa compresa. Anche se i cinesi non votano, Xi Jinping ha bisogno del sostegno del popolo. Sa che se la crescita economica dovesse fermarsi, se la disoccupazione dovesse salire, sarebbe il regime ad essere minacciato. Perciò i cinesi saranno molto prudenti prima di imbarcarsi in operazioni belliche. Per ora penso che contino soprattutto sul fatto che le prossime elezioni a Taiwan portino al potere leaders più accomodanti».

L'Europa avanza solo quando, dopo molte discussioni, Francia e Germania trovano posizioni vicine

La leadership europea dipende molto dallo stato di salute della coppia franco-tedesca. Come va?
«È in convalescenza. Ma lei ha ragione: l’Europa avanza solo quando, dopo molte discussioni, Francia e Germania trovano posizioni vicine. Il disagio attuale è dovuto a diversi fattori. Il primo è che la Francia spinge una difesa (tanto in termini di industria che di organizzazione) europea distinta dagli Stati Uniti, e la Germania non è d’accordo. Poi c’è la questione dell’energia. La Germania si è ritirata dal nucleare, e non è ancora del tutto svincolata dal gas né dal carbone. La Francia non ha molte rinnovabili e ha molto nucleare. Difficile fare una politica energetica comune con due approcci così diversi. Infine, ci sono le relazioni personali. La signora Merkel aveva una grande esperienza di presidenti francesi. Ha lavorato con Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy e con me. Ha fatto il giro di tutte le psicologie francesi. Fra Emmanuel Macron e Olaf Scholz non vi è la sensazione di grande feeling. Ma è essenziale che l’Europa sia unita. È stato possibile durante la crisi sanitaria e di fronte alla guerra in Ucraina. Ora dovremo lavorare insieme su temi dove le contraddizioni saranno ancora più forti, come gli obiettivi climatici e la difesa».

La sua opinione sull'effetto delle sanzioni economiche contro la Russia.
«Spesso si dice che le sanzioni non hanno effetto. Non sono d’accordo. Certo, nel breve periodo le sanzioni possono penalizzare più i paesi che le impongono che quelli presi di mira. Ma a medio e lungo termine le sanzioni finiscono per mettere a dura prova le economie colpite. Inoltre, quando è scoppiata la guerra in Ucraina taluni avevano paventato un impatto devastante sull’economia europea. Effettivamente, la crescita è inferiore, la Germania è in recessione. Ma non ha avuto l’effetto dirompente che alcuni avevano immaginato. Il che significa che possiamo ancora convivere con la guerra per un certo numero di mesi o anni senza grosse conseguenze sul piano economico».

L’economia europea ha bisogno di apertura, ha bisogno di investimenti, ha bisogno di scambi, anche con continenti non guidati da considerazioni democratiche

Allo stesso tempo, c’è l'impressione che l'Europa non sia realmente attrezzata per questa nuova guerra fredda che sta arrivando. La struttura economica dell'Europa non è fatta per relazioni da guerra fredda, è fatta per relazioni di mercato aperto e di mercato globale.
«Sì, l’economia europea ha bisogno di apertura, ha bisogno di investimenti, ha bisogno di scambi, anche con continenti non guidati da considerazioni democratiche. Non dimentichiamo che l’UE è nata su un mercato, per cui le idee di libera circolazione e di scambio rimangono fondamentali. Ma abbiamo anche bisogno di una politica industriale, di un quadro legale e di aziende leader a livello europeo per poter competere. La Commissione europea lo capisce e sta adattando le sue politiche».

L’Africa concentra un gran numero delle tensioni di oggi: migrazione, stati falliti, impatti climatici, presenza economica cinese, presenza militare russa, corsa alle risorse minerarie e naturalmente tutto ciò in un contesto postcoloniale. Lei scrive nel suo libro che «Il futuro dell’Africa è diventato una questione eminentemente europea». Si spieghi.
«Quattro problemi. Innanzitutto, l’Africa ha una demografia particolarmente dinamica, quindi se non ci saranno risorse economiche per permettere a questa popolazione di viverci, migrerà. Il primo interesse europeo è quindi che lo sviluppo possa permettere agli africani di vivere sul proprio continente. Secondo: l’Africa sta vivendo uno sviluppo economico significativo, con infrastrutture molto migliorate, un’élite formata e notevoli risorse naturali. L’Europa potrebbe esserne il partner, ma è invece la Cina che investe massicciamente nel controllo delle materie prime, delle terre rare, dei porti. E anche dei governi, con metodi che non sono sempre innocenti. C’è poi la questione della sicurezza che ci richiede di essere in grado di fornire la nostra cooperazione a paesi in difficoltà, che altrimenti cercheranno la vicinanza con la Russia: vediamo l’organizzazione paramilitare Wagner all’opera in vari paesi d’Africa occidentale. Infine, dobbiamo trovare il modo di contrastare la propaganda che circola sulle reti sociali in molti paesi africani e che prende come bersaglio la Francia e l’Europa, indicandole come colpevoli di tutti i problemi africani».