La storia

Fuggono dalla guerra ma si ritrovano prigionieri di un aeroporto

Cinque russi in fuga dalla mobilitazione parziale sono rimasti bloccati nel terminal di Seul-Incheon: il ministero di Giustizia sudcoreano, per ora, non ha garantito loro lo status di rifugiati
© YONHAP
Marcello Pelizzari
28.01.2023 09:30

Ricordate The Terminal, film di Steven Spielberg con un ottimo Tom Hanks, ispirato alla storia vera del rifugiato iraniano Mehran Karimi Nasseri? Ecco. Ora immaginate cinque russi, fuggiti dal proprio Paese dopo che, lo scorso settembre, Vladimir Putin ha annunciato una mobilitazione parziale. Fuggiti e, va da sé, rimasti «prigionieri» dell’aeroporto internazionale di Seul-Incheon, in Corea del Sud. Sono bloccati all’interno dello scalo da mesi, in attesa. Sperano, tutti e cinque, che le autorità sudcoreane – finalmente – accettino il loro status di rifugiati. Per ora, però, nulla. 

A raccontare la loro storia, ai media statunitensi, è stato l’avvocato del quintetto, Lee Jong-chan. Il ministero della Giustizia sudcoreano, leggiamo, ha rifiutato le domande dei cinque. I quali, beh, da mesi (tre sono arrivati a ottobre, gli altri a novembre) si trovano nell’area partenza. In attesa, appunto, che arrivi una decisione in appello. Per tre di loro se ne riparlerà, sembrerebbe, il 31 gennaio.

Evidentemente, la vita in aeroporto non è proprio una passeggiata di salute. I cinque russi, ha spiegato l’avvocato, ricevono un pasto al giorno. «Per il resto della giornata vivono di pane e bevande» ha aggiunto. Consentite le docce, mentre il servizio lavanderia – semplicemente – prevede che i richiedenti l’asilo lavino a mano i propri indumenti. In ogni caso, il gruppetto non può lasciare l’area partenze e duty free dello scalo. «Hanno un accesso limitato alle cure mediche e nessun supporto per la loro salute mentale» ha aggiunto l’avvocato.

L'esodo

La mobilitazione parziale, voluta dal Cremlino per sostenere lo sforzo bellico in Ucraina e annunciata come detto a settembre, ha provocato un vero e proprio esodo di massa. Molti sono fuggiti attraverso i valichi terrestri, altri con itinerari di fortuna via mare con destinazioni «esotiche» come l’Alaska. Altri ancora, infine, hanno pagato cifre folli per garantirsi un posto su un volo internazionale.

Secondo le stime, nella settimana successiva all’annuncio di Putin oltre 200 mila persone hanno lasciato la Russia. Le mete? Ex repubbliche sovietiche come la Georgia o il Kazakistan, ma anche Dubai e l’Unione Europea.

«Non voglio morire»

La fuga, banalmente, era ed è l’unico modo – concreto – per manifestare il proprio dissenso nei confronti della guerra in Ucraina. E, nello specifico, per sfuggire alle maglie dell’esercito. Al di là della mobilitazione parziale, per qualsiasi uomo sotto i 60 anni all’interno della Federazione Russa sussiste – sempre – il rischio di ricevere una chiamata.

Il ministero della Giustizia sudcoreano, tornando ai cinque, ha respinto le domande di asilo poiché il semplice rifiuto della coscrizione non garantisce lo status di rifugiato. Secondo Lee, tuttavia, il rifiuto di prestare servizio nell’esercito dovrebbe essere riconosciuto «come una ragione politica». Di più, l’invasione dell’Ucraina è stata «condannata dal diritto internazionale».

A sostenere le richieste dei cinque russi sono diversi gruppi per i diritti umani. «Coloro che richiedono lo status di rifugiato per sfuggire alle persecuzioni politiche e religiose dai loro Paesi d’origine hanno diritto alla protezione ai sensi del diritto internazionale», si legge in una dichiarazione di un gruppo.

Vladimir Maraktaev, studente universitario di 23 anni della Repubblica di Buryatia, in Siberia, è uno dei cinque «prigionieri» del terminal. Ha ricevuto l’avviso di leva il 24 settembre. Quello stesso giorno, è uscito di casa senza nemmeno salutare la sua fidanzata. Tanti russi, come lui, sono già morti per combattere in una guerra alla quale si è sempre opposto. «Non voglio fare del male alle persone» ha spiegato al Washington Post. «Non voglio morire nemmeno io per un conflitto che ritengo essere estremamente politico». E ancora: «A mio parere, è una guerra imperialistica, la conquista di una nazione vicina e fraterna. Ho tutto il rispetto per gli ucraini che difendono la loro patria».

La Corea e l'esercito

La «colpa» dei cinque russi, se vogliamo, agli occhi di molti sudcoreani è proprio quella di aver rifiutato la chiamata dell’esercito. La coscrizione, in Corea, è infatti obbligatoria per tutti gli uomini tra i 18 e i 35 anni, complice la costante minaccia di Pyongyang e del Nord. E per obbligatoria si intende davvero obbligatoria, considerando che la misura tocca anche gli atleti di punta del Paese o le superstar del cosiddetto k-pop. Ne sanno qualcosa i membri del supergruppo BTS, ad esempio.

L’obiezione di coscienza, illegale per tantissimo tempo, è prevista dal 2018. Prevista ma fortemente contestata dai gruppi religiosi, preoccupati dalle forme di «servizio alternativo» previste, che comportano fra le altre cose il lavoro in istituti penitenziari per tre anni.

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