«Gaza, la negazione dell'umanità: nella Striscia una vita vale una vita»

Sono 159 gli Stati aderenti alle Nazioni Unite che riconoscono la Palestina. Al lungo elenco si sono aggiunti oggi Francia, Malta, Belgio, Lussemburgo, Finlandia, Nuova Zelanda e Repubblica di San Marino, dopo che domenica lo stesso avevano fatto Australia, Gran Bretagna, Canada e Portogallo. Anche Danimarca e Singapore stanno valutando un identico passo. «Desideriamo cambiare la nostra posizione, affinché non sia Israele, ma il popolo palestinese stesso, a prendere le decisioni e ad agire in modo che la Danimarca riconosca la Palestina», ha detto il ministro degli Esteri danese Lars Loekke Rasmussen a New York, dove partecipa all’80. Assemblea generale dell’ONU.
I diritti del popolo palestinese
I nuovi riconoscimenti sono stati formalizzati durante i lavori della «Conferenza internazionale ad alto livello per la soluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati». Presieduta congiuntamente da Francia e Arabia Saudita, la Conferenza si era riunita una prima volta meno di due mesi fa, da 28 al 30 luglio, senza però giungere ad alcuna conclusione. Il 5 settembre scorso, la plenaria del Palazzo di vetro aveva deciso di riprendere la Conferenza durante l’80. sessione della stessa Assemblea generale.
Aprendo la discussione, il presidente francese Emmanuel Macron ha subito lanciato un appello: «È giunto il momento di liberare i 48 ostaggi detenuti da Hamas. È giunto il momento di fermare la guerra, i bombardamenti di Gaza, i massacri e le popolazioni in fuga. Il tempo della pace è arrivato perché siamo a pochi istanti dal non poterla più cogliere - ha detto Macron - Non possiamo più aspettare».
Nel 1947, ha continuato il presidente francese, «questa Assemblea decise la divisione della Palestina mandataria tra due Stati, uno ebraico e l’altro arabo, e quindi riconobbe il diritto di ciascuno all’autodeterminazione. La verità è che abbiamo la responsabilità collettiva di aver fallito finora nel costruire una pace giusta e duratura in Medio Oriente. Non c’è più alcuna giustificazione per la continuazione della guerra a Gaza. Niente - ha insistito Macron - Al contrario, tutto richiede una fine definitiva. Ora, per non averlo fatto prima, per salvare vite umane, le vite degli ostaggi israeliani ancora in condizioni atroci, le vite di centinaia di migliaia di civili palestinesi travolti dalla fame, dalla sofferenza, dalla paura di morire, dal lutto dei loro cari».
Da quasi due anni, ha aggiunto Macron, «sono state la negazione dell’umanità dell’altro e il sacrificio della vita umana a prevalere. Lo diciamo dal primo giorno della guerra a Gaza: una vita vale una vita. Il riconoscimento della Palestina è un modo per affermare che il popolo palestinese non è un popolo in eccesso. E Il riconoscimento dei diritti legittimi del popolo palestinese non toglie nulla ai diritti del popolo israeliano, che la Francia ha sostenuto fin dal primo giorno.. Proprio perché siamo convinti che questo riconoscimento sia l’unica soluzione che permetterà la pace per Israele».
La reazione di USA e Israele
La reazione del primo ministro Benjamin Netanyahu alla decisione di alcuni grandi Paesi occidentali di riconoscere lo Stato di Palestina è stata ferma e sdegnata. Il leader israeliano ha detto che farà conoscere la sua risposta politica dopo le vacanze del Capodanno ebraico e dopo l’incontro alla Casa Bianca con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, previsto per il 29 settembre. Ma intanto ha confermato, a parole, il rifiuto di qualsiasi riconoscimento, anche soltanto simbolico, della Palestina. «Ho un messaggio chiaro per i leader che riconoscono uno Stato palestinese dopo l’atroce massacro del 7 ottobre: state offrendo un’enorme ricompensa al terrorismo - ha detto Netanyahu in un video pubblicato domenica sera - ho un altro messaggio per voi: questo non accadrà. Nessuno Stato palestinese vedrà la luce del giorno a ovest del fiume Giordano», ha aggiunto, ricordando di aver combattuto «per anni la creazione di questo Stato terrorista».
In effetti, come ha ricordato oggi il Washington Post, «il premier israeliano ha trascorso tutta la sua carriera politica ostacolando gli sforzi per raggiungere una soluzione a due Stati con i palestinesi, e si è anche vantato del fatto che il numero di insediamenti israeliani in Cisgiordania - ampiamente considerati illegali secondo il diritto internazionale - è raddoppiato durante il suo mandato». Anche Donald Trump «pensa che sia una ricompensa per Hamas» riconoscere lo Stato di Palestina. Lo ha detto questa sera la portavoce del presidente americano, Karoline Leavitt, la quale ha spiegato che Trump, nel discorso in programma oggi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, «attaccherà le organizzazioni globaliste che hanno minato l’ordine mondiale».
La guerra non si ferma
Intanto, il bilancio dei morti nella Striscia continua a crescere. Secondo il Ministero della salute di Gaza, sono almeno 65.344 i palestinesi uccisi e 166.795 quelli feriti negli attacchi israeliani compiuti dopo il 7 ottobre 2023. Soltanto nelle ultime 24 ore, i morti sono stati 61 e i feriti 220. In un post pubblicato sul proprio canale Telegram, il Ministero della salute di Gaza ha sottolineato anche che «un numero imprecisato di vittime è ancora sotto le macerie e per le strade, poiché le ambulanze e gli equipaggi della protezione civile non sono in grado di raggiungerli al momento». Non si ferma nemmeno la caccia di Israele a tutti i dirigenti di Hamas. In una nota diffusa oggi, l’IDF ha confermato di aver eliminato Iyad Abu Yusuf, vicecomandante delle forze navali di Hamas. L’operazione è stata condotta in modo congiunta dall’intelligence della Marina e dall’intelligence dell’Aeronautica militare israeliana. Yusuf, scrive l’IDF, aveva «preso parte all’invasione di Israele e al brutale massacro del 7 ottobre 2023. La sua eliminazione è un duro colpo per le capacità delle forze navali di Hamas».