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Gli uragani giocano in A, i medicane fra i dilettanti

Il meteorologo Marco Gaia chiarisce quali sono le grandi differenze fra le perturbazioni che si formano nel bacino del Mediterraneo e quelle di tipo tropicale
Il recente medicane Ianos sulle isole dell’arcipelago greco. © EPA/ESA
Nicola Bottani
Nicola Bottani
26.09.2020 06:00

Ma cos’è mai il medicane? Il termine è stato utilizzato per descrivere le tempeste che recentemente hanno colpito la Grecia e il sud dell’Italia. Si è spiegato che i medicane sono gli uragani del Mediterraneo, mare il cui nome è stato fuso con la parola inglese hurricane. Sembra roba da far tremare i polsi: adesso anche alle nostre latitudini dovremo fare i conti con i devastanti fenomeni meteorologici che nascono e si sviluppano nei mari tropicali?

La parola allo specialista
«Gli uragani in meteorologia sono associati a qualcosa di ben preciso», spiega il meteorologo Marco Gaia che aggiunge «gli uragani nascono e si sviluppano sugli oceani molto caldi, le cui acque hanno una temperatura di almeno ventisei gradi centigradi su aree molto vaste. Come non accade invece con quelle del Mediterraneo, se non magari lungo alcuni tratti di costa. Quindi, in questo nostro mare, il Mediterraneo appunto, di uragani non ne abbiamo».

Perché si dice medicane?
«Negli anni Ottanta dello scorso secolo, grazie ai satelliti, si è potuto osservare dallo spazio che questo tipo di perturbazioni ha la stessa struttura di un uragano, con un muro di nubi che ruota attorno a un centro che ne è sgombro ed è calmo. Al di là dell’apparenza, i meccanismi fisici che portano alla formazione di uragani e medicane – e li mantengono in vita – sono ben diversi. Gli uragani sono catalogati secondo la scala Saffir-Simpson: da quelli di categoria 1 con venti di 118-153 km/h a quelli più intensi di categoria 5, con venti superiori ai 250 chilometri orari. I venti più forti dei medicane arrivano invece attorno ai 120 km/h. Non sono poca cosa e possono già provocare danni ingenti, ma appare chiaro che gli uragani giocano in serie A, mentre sul Mediterraneo si gioca fra i dilettanti, per dare un’idea».

La stagione giusta
«I medicane, in media uno-due all’anno, si formano nel periodo post estivo. Ossia quando in alta quota iniziano a irrompere sul bacino del Mediterraneo fredde correnti da nord. L’interazione fra l’aria secca e fredda in quota e quella calda e umida nei bassi strati crea condizioni d’instabilità che favoriscono l’innesco dei processi che possono dare vita ai medicane. Fra l’altro, se ne giunge uno sopra la nostra testa lo viviamo così: prima arrivano pioggia e vento, dopo di che ci sarà una schiarita con calma di vento seguita da altra pioggia e altri venti. Dal basso non si riesce quindi a capire che la perturbazione ha la forma di un uragano».

Contesti molto diversi
«Il medicane oltre una certa potenza non andrà mai, almeno stando ai modelli meteorologici attuali e pur considerando i mutamenti climatici in corso. Il Mediterraneo è minuscolo rispetto a un oceano come l’Atlantico e in capo a un paio di giorni o tre i venti del medicane iniziano a interagire con le coste, così che si smorzano in breve tempo. Sulla vastità di un oceano, invece, gli uragani prima di eventualmente raggiungere una costa di tempo ne hanno a sufficienza per accumulare sempre più energia grazie all’alta temperatura delle acque e quindi incrementare la loro potenza, fino appunto a diventare distruttivi».