Tecnologia e diplomazia

Gli USA contro le redini UE alle Big Tech: «Sanzionate cinque personalità europee»

È scontro aperto, ormai, fra Stati Uniti e UE sulla regolamentazione del mondo digitale - Thierry Breton, la mente dietro il Digital Services Act, nel mirino della Casa Bianca
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Red. Online
24.12.2025 12:14

È scontro aperto, ormai, fra Stati Uniti e UE sulla regolamentazione del mondo digitale. Nelle scorse ore, Washington ha annunciato sanzioni contro cinque personalità europee impegnate a favore di una regolamentazione più severa sul settore tecnologico, tra cui Thierry Breton - ex commissario europeo al Mercato interno e considerato uno dei principali artefici del Digital Services Act (DSA) -, al quale sarà vietato l'ingresso nel Paese.

Protezione e aggressione

Facciamo un passo indietro. All'amministrazione Trump, non è una novità, non piace il DSA, la normativa europea che, approvata nel 2022, punta a rafforzare il controllo su disinformazione, contenuti d’odio e responsabilità delle grandi piattaforme digitali. Per Washington, la legge rischia di intaccare la libertà di espressione. Ma non è un mistero che dietro le critiche americane si nasconda anche il desiderio di difendere, anche con le maniere forti, gli interessi delle aziende statunitensi.

Secondo il segretario di Stato Marco Rubio, che ha parlato delle sanzioni, le persone colpite avrebbero guidato «sforzi organizzati» per esercitare pressioni su aziende e inserzionisti, limitando la diffusione di determinate opinioni. Tra i destinatari del provvedimento, come detto, figura l’ex commissario europeo Thierry Breton. Indicato dal Dipartimento di Stato come uno dei principali promotori di iniziative volte a «costringere» le piattaforme americane a censurare contenuti, Breton decisamente non piace alle Big Tech ed è stato spesso protagonista di confronti pubblici con i loro vertici sulla necessità di regole comuni e trasparenti per il mercato digitale europeo.

Oltre a Breton, il provvedimento riguarda esponenti di organizzazioni europee impegnate nel contrasto alla disinformazione, come HateAid e il Global Disinformation Index. Per Washington, queste realtà avrebbero contribuito a un clima di restrizioni che colpisce in modo sproporzionato piattaforme e cittadini americani. Le misure, adottate tramite la legislazione sull’immigrazione, comportano il divieto di ingresso negli Stati Uniti e rappresentano una scelta inedita nel contesto del dibattito sulla regolazione dei contenuti online.

Le reazioni

Thierry Breton ha reagito con sarcasmo, evocando su X il ritorno della «caccia alle streghe di McCarthy». L’ex commissario ha ricordato che il Digital Services Act è stato approvato dal 90% del Parlamento europeo e all’unanimità dai 27 Stati membri, sottolineando come si tratti di una legge democratica e condivisa. «Ai nostri amici americani – ha scritto – la censura non è dove pensate che sia».

Durissima la reazione della Francia. Il ministro degli Esteri Jean-Noël Barrot ha condannato «con la massima fermezza» le restrizioni sui visti, definendole inaccettabili. «I cittadini europei sono liberi e sovrani – ha dichiarato – e non possono accettare che le regole che governano il loro spazio digitale vengano imposte da altri».

Dal canto loro, le Ong coinvolte respingono le accuse. Un portavoce del Global Disinformation Index ha definito l’azione americana «immorale, illegale e antiamericana», parlando di un attacco autoritario alla libertà di espressione. «L'obiettivo del GDI è spezzare il modello di business dei contenuti dannosi», offrendo agli inserzionisti strumenti per scegliere se finanziare o meno siti polarizzanti.