Google chiude la porta a Huawei, ecco cosa cambia per gli utenti

Le maglie USA si stringono sempre di più attorno a Huawei. Dopo l’ordine esecutivo di settimana scorsa dell’amministrazione Trump, che ha messo Huawei e ZTE sulla lista nera come società che «potrebbe rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale», anche importanti società americane aderiscono al decreto e tagliano le relazioni commerciali con Huawei. In pratica, Google non fornirà più al colosso cinese il sistema operativo Android con licenza e servizi integrati. Huawei potrà dunque utilizzare solo la versione aperta a tutti senza i classici servizi di Google come posta elettronica, mappe e visualizzazioni video (che entrano nella classifica delle prime dieci app utilizzate in tutto il mondo), ma anche il motore di ricerca Chrome e GooglePlay. È chiaro dunque che in futuro il diktat americano potrebbe avere effetti devastanti sulle vendite di Huawei in Occidente. Android è il sistema operativo dominante per smartphone con una quota di mercato di oltre l’80%. In Cina invece, dove Huawei vende un telefonino su quattro in un mercato da oltre un miliardo di persone, non ci saranno ripercussioni, in quanto i servizi di Google sono già bloccati dal Governo cinese, a favore delle applicazioni sviluppate nel Paese. Il decreto USA ha ripercussioni anche sul fronte della fornitura di componenti hardware: secondo quanto riportava ieri Bloomberg, anche Qualcomm, Intel, Broadcom e Xilinx vogliono interrompere le forniture di componenti a Huawei e secondo l’Asian Review anche Infineon avrebbe deciso di sospendere la fornitura di chip per non rischiare di finire a sua volta nella black list americana. La pressione su Huawei da parte della Casa Bianca è in atto da tempo. Già nei mesi scorsi era stato deciso di vietare a tutte le aziende di telecomunicazioni USA di fare affari con Huawei e di usare la sua tecnologia in quanto rischiosa per la sicurezza nazionale. Poi c’è stato il bando per la realizzazione della rete 5G e l’esortazione a tutti i membri della NATO di fare lo stesso. Senza dimenticare l’arresto di Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei alla fine dello scorso anno in Canada, seguito dal fermo di altri due dirigenti. Secondo gli USA infatti il colosso cinese, nonché secondo produttore al mondo di telefonini dopo Samsung, userebbe le sue attività commerciali per rubare informazioni sensibili, militari o industriali per conto del Governo cinese, accuse che Huawei ha sempre rimandato al mittente. L’Europa da parte sua, pur avendo in passato espresso preoccupazioni per l’utilizzo della tecnologia Huawei, si rifiuta di seguire la linea americana. Huawei Europa ha infatti la sede fiscale ad Amsterdam e il quartier generale a Düsseldorf, oltre a un centro di ricerca a Sagrate e uno che sta inaugurando a Cambridge. In un mercato dei telefonini europeo di 600 milioni di persone, il colosso cinese detiene una quota del 25%. Settimana scorsa, in risposta alla decisione di Washington, sia la Germania che l’Olanda hanno ribadito di seguire una linea diversa da Trump e di essere pronti a collaborare con Huawei. Angela Merkel in particolare ha dichiarato di aver già sviluppato «un percorso ben strutturato per decidere sulla partecipazione alla rete 5G», analizzando i criteri di sicurezza che tutte le compagnie devono rispettare. In Svizzera non ci si aspettano ripercussioni particolari dalla guerra delle telecomunicazioni portata avanti dagli USA. Swisscom, come aveva dichiarato al CdT il CEO Urs Schaeppi lo scorso 18 aprile, «da Huawei acquista componenti che vengono utilizzati insieme ad altri prodotti, per esempio di Cisco o Juniper, per citarne alcuni (per la rete fissa, ndr)». Sunrise invece ha un accordo con il colosso cinese per la creazione della rete 5G (Swisscom e Salt hanno scelto rispettivamente Ericsson e Nokia). Come ci ha confermato ieri una portavoce di Sunrise, il veto americano non avrà conseguenze su questo fronte. Già a marzo il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) aveva dichiarato di avere avuto uno scambio diplomatico con Washington riguardo alla sicurezza del 5G, spiegando però che «in Svizzera la protezione e la sicurezza dell’infrastruttura sono di competenza dell’operatore interessato». Ma quali sono le ripercussioni per chi ha un telefonino o un tablet Huawei? «Nell’immediato – ci spiega Nicola Rizzo, ricercatore dell’Istituto sistemi informativi e networking della SUPSI – assolutamente nulle. Sia Huawei che Google hanno confermato che verranno fatti gli aggiornamenti di sicurezza e forniti i servizi post vendita sia per i telefoni già venduti sia per quelli oggi in vendita sul mercato». Tuttavia, ci spiega Stefano Santinelli, CEO di Swisscom Directories, «bisogna definire per quanto tempo questi aggiornamenti saranno disponibili e come verranno identificati gli utenti, non è infatti chiaro cosa succederà alle app Google già installate». Resta inoltre da definire cosa succederà in futuro: «Le alternative – continua Rizzo – sono due: o Huawei continuerà a fornire una versione personalizzata di Android basata su quella Open Source – che resta accessibile a tutti gli sviluppatori – ma senza i servizi classici di Google come Gmail e GoogleMaps, oppure Huawei svilupperà un sistema operativo proprio. Non è ovviamente chiaro però quando potrebbe essere pronto». «Continueremo a lavorare allo sviluppo di un ecosistema software sicuro e sostenibile per fornire la migliore esperienza utente possibile in tutto il mondo», ha dichiarato ieri Huawei in una presa di posizione. Nell’immediato non ci sono grosse preoccupazioni neppure per la fornitura dei microprocessori: sempre secondo Bloomberg, Huawei avrebbe uno stock di riserve per almeno tre mesi di vendite. «Innanzitutto – spiega Santelli – questo funzionerà da stimolo per i produttori di componenti hardware cinesi. E poi bisognerà ancora capire quali saranno gli effetti negativi per Google stessa. In Svizzera ad esempio Huawei ha una quota di mercato stimata di quasi 9%, dopo Apple (51%) e Samsung (31%). Per Google significa perdere il 9% di utenti su Youtube, cioè di visualizzazioni di pubblicità». Senza considerare che Huawei acquista negli USA 11 miliardi di dollari di servizi all’anno, per cui il veto americano rischia ad ogni modo di essere un’arma a doppio taglio. Alphabet (la società di Google) ieri perdeva il 3% in Borsa, grossi cali anche per STMicroelectronics, che è arrivato a cedere il 10%, Infineon (–6%) e Asml (–4%). Positive invece Samsung, Ericsson e Nokia, in crescita di circa il 2%.