Google saluta (di nuovo) la Cina: addio all'app Translate

Google e la Cina. Un rapporto difficile, tormentato, diciamo pure impossibile. Citiamo, a tal proposito, la decisione del colosso tech di ritirare il suo motore di ricerca dal mercato cinese, nel lontano 2010, a causa delle tante, troppe interferenze del governo e, di riflesso, della censura imposta dalle autorità sui contenuti. Per farla breve, un utente di Pechino – se cercava determinate cose – riceveva risultati parziali e, appunto, filtrati. Troppo, per chi nel 2004 coniò lo slogan Don’t be evil per sottolineare l’impegno nel lungo termine e l’onestà.
Detto ciò, in questi anni Alphabet, la società madre di Google, ha comunque cercato di mantenere un piede nel Paese. Una questione di mercato, appunto, e di opportunità considerando la vastità dell’area e l’alto tasso di penetrazione di Internet in Cina (oltre un miliardo di utenti per un tasso del 73%, secondo un rapporto del China Internet Network Information Center).
Resta solo Hong Kong
Il risultato, tuttavia, non ha soddisfatto i vertici aziendali. Tant’è che, ora, Google ha deciso di chiudere anche la sua app Translate. La pagina web del servizio, in Cina, ora mostra una foto di una barra di ricerca generica che reindirizza al sito di traduzione di Google Hong Kong, non accessibile dalla cosiddetta Cina continentale. «Abbiamo interrotto Google Translate nella Cina continentale a causa del basso utilizzo», ha affermato un rappresentante dell’azienda in una nota.
Google, dicevamo, per tutto questo tempo ha esplorato i modi più diversi per rimanere nel mercato cinese. Nel 2017, aveva reso disponibile il suo servizio di traduzione agli utenti cinesi con un sito web dedicato e un’app per smartphone. Il colosso californiano aveva pure valutato l’ipotesi di un motore di ricerca separato, costruito apposta per la Cina e, diciamo, rispettoso della censura. In seguito, però, il progetto era stato abbandonato.
Le accuse reciproche
L’interruzione del servizio di traduzione va letta, altresì, pensando all’attuale contesto geopolitico, caratterizzato dalle tensioni fra Cina e Stati Uniti attorno all’isola di Taiwan e dalle accuse, reciproche, in merito alla guerra in Ucraina: da una parte la mancata adesione di Pechino alle sanzioni occidentali, dall’altra l’idea che Washington abbia fomentato tutto. Entrambi i Paesi, inoltre, si stanno muovendo per proteggere le tecnologie sensibili e la proprietà intellettuale. Sia quel che sia, Xi Jinping all’alba dell’importantissimo Congresso del Partito incassa un addio silenzioso ma capace di generare dibattito: starà a lui farlo sembrare una vittoria.