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Gravi conseguenze sul popolo afghano dalla crisi tra Israele e Iran

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Ats
24.06.2025 10:19

La recente escalation in Medio Oriente, compreso l'Iran, che ospita più di tre milioni di rifugiati afghani, ha intensificato l'instabilità regionale e globale e non fa che aggravare le difficoltà del popolo afghano, aumentando la povertà, la violenza e le privazioni. È quanto è stato sottolineato in una riunione del Consiglio di Sicurezza Onu a New York.

Metà della popolazione afghana dipende dagli aiuti umanitari, un afgano su cinque soffre la fame e circa 3,5 milioni di bambini sono gravemente malnutriti, ha dichiarato, l'Assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, Joyce Msuya, sottolineando che la guerra tra Iran e Israele sta già avendo un impatto sulla vita quotidiana degli afghani: prezzi alle stelle e rallentamento degli scambi commerciali.

A questa precarietà si aggiunge un'allarmante crisi ecologica. Msuya ha parlato della minaccia di un disastro idrico: «Kabul rischia di diventare la prima città al mondo a esaurire le sue riserve idriche», ha avvertito, ricordando che la falda freatica nella capitale afghana si è abbassata di 30 metri in 10 anni.

A peggiorare la situazione c'è il drastico calo dei finanziamenti. In pochi mesi, 420 strutture sanitarie sono state costrette a chiudere. Tre milioni di persone hanno perso l'accesso alle cure. Quasi 300 centri nutrizionali hanno cessato la loro attività.

«Il livello dei bisogni supera di gran lunga i fondi disponibili», ha detto Msuya. E la diminuzione degli aiuti internazionali rappresenta una minaccia diretta per le operazioni umanitarie. Il programma di sminamento, vitale in un Paese ancora infestato da residuati bellici, si prepara a cessare le sue attività a luglio a causa della mancanza di fondi. «Mine e ordigni inesplosi hanno ucciso centinaia di persone quest'anno, per lo più bambini» avverte l'Onu. Intanto, la missione politica delle Nazioni Unite sul campo (Unama), continua a lavorare per mantenere aperti i canali, chiedendo all'autorità de facto la revoca delle misure più restrittive.