«Ha senso affidarsi solo a Facebook?»

Ore e ore senza Facebook, Instagram e (soprattutto, verrebbe da dire) WhatsApp. Quanto successo lunedì continua a far discutere. E, per certi versi, ad appassionare. Una domanda, in particolare, ronza per la testa: come è potuto succedere? Per capirne di più ci siamo rivolti ad Antonio Carzaniga, professore ordinario e membro fondatore della Facoltà di scienze informatiche dell’Università della Svizzera italiana.
Professore, che cosa è successo esattamente? Esiste un modo non scientifico per descrivere l’accaduto?
«Certo, anche se più che non scientifico preferirei dire divulgativo e perciò non molto tecnico. Facebook, Instagram e WhatsApp sono sistemi complessi che funzionano su decine se non centinaia di migliaia di server interconnessi in rete. Quindi, non solo gli utenti accedono alle applicazioni tramite la rete ma le applicazioni stesse sono fatte da miriadi di componenti che comunicano fra di loro in rete. Ebbene, cosa è successo? Apparentemente c’è stato un malfunzionamento nella rete di Facebook, ossia nella porzione della rete Internet gestita da Facebook. Nello specifico, il sistema di instradamento del traffico di rete è stato configurato erroneamente. Una semplice analogia del traffico stradale può dare un’idea dei blocchi che si possono creare. Questo errore ha di fatto tagliato le comunicazioni con alcuni servizi fondamentali dei sistemi Facebook, che non solo hanno reso inaccessibili le applicazioni da parte degli utenti ma hanno poi causato una cascata di malfunzionamenti delle applicazioni stesse».


Oltre al blackout in termini di popolarità, il gruppo Facebook ha dovuto affrontare anche un blackout a livello di funzionamento. Cosa ci suggerisce tutto ciò? Che Facebook è una realtà in declino nonostante la sua posizione dominante?
«La questione qui non è tecnica ma piuttosto di mercato o forse sociologica, ambiti in cui non mi ritengo competente. Come dicevo sembra che il blackout sia stato causato da un errore tecnico, che secondo me ha poco o nulla a che fare con la popolarità di Facebook».
Garantire il funzionamento costante e continuo di una rete del genere cosa comporta sul fronte dell’impegno umano e delle tecnologie? Ovvero: quanto è grande la rete di Facebook?
«Non ho dati precisi ma direi che Facebook gestisce centinaia di migliaia di server in una ventina di centri, o data center, sparsi per il mondo. La progettazione e la gestione di sistemi di questo genere sono classici problemi ingegneristici in cui il fattore umano è sicuramente presente. L’automazione può fare e fa già moltissimo, ma come in tanti altri settori, energia, trasporti, finanza e via discorrendo, non è quasi mai né possibile tecnicamente né desiderabile eliminare l’intervento umano. Comunque con sistemi di queste dimensioni, con o senza interventi umani, l’affidabilità può essere spinta molto, molto in alto. Lo è già, ma non può essere assoluta».
Durante il down, anche altri servizi come Netflix e Google hanno subito dei rallentamenti e la stessa rete Internet globale ha accusato perdite di velocità. Verrebbe da pensare che Facebook sia grande quanto Internet.
«Facebook è sicuramente una delle compagnie che produce e assorbe una grande quantità del traffico di rete, ma nel complesso non credo che quella sia la maggior parte del traffico su Internet. Credo che in termini di traffico altri sistemi come per esempio YouTube, Netflix e Twitch siano più pesanti. Al di là del traffico, di nuovo, sebbene Facebook gestisca reti enormi, comunque le si voglia misurare, sono solo una parte non poi così grande della rete globale che è Internet. Piuttosto, il problema è che le applicazioni di Internet sono in una certa misura interdipendenti e quindi un blackout di una serie di servizi comuni come quelli di Facebook ha ripercussioni dirette su tanti altri sistemi. Le dipendenze sono anche più semplicemente indirette. Ossia, se Facebook non funziona, molti utenti si riversano su Google, Twitter o altre applicazioni e quindi quel carico inusuale può benissimo causare rallentamenti per le altre applicazioni».


Alcuni utenti della rete hanno reagito al disservizio dicendo: «Tanto ci sono gli SMS o i servizi di messaggistica alternativi». Non la trova un’affermazione troppo semplicistica? Combinando i vari servizi, Facebook serve 3 miliardi di persone.
«Sì, trovo un po’ semplicistica quella risposta. Per molti utenti, inclusi appunto quelli aziendali, spostarsi su un servizio di messaggistica alternativo non è affatto facile. Eppure, è vero che ci sono servizi alternativi. E proprio un blackout di questo genere dovrebbe farci riflettere: ha senso affidarsi a un solo fornitore come Facebook? Di nuovo, la questione qui esula dagli aspetti tecnici e diventa gestionale e ancora di più politica. Personalmente, sono a favore di una diversità di fornitori e anche in una certa misura di una regolamentazione».
Il cosiddetto uomo della strada si è subito domandato: come mai un social come Twitter non ha mai problemi?
«Il cosiddetto uomo della strada ha poca memoria. Anche Twitter ha subìto guasti, in alcuni casi causati da errori interni. Per esempio, più o meno l’anno scorso. Ma ce ne sono stati altri».
C’è la possibilità che un simile evento si ripeta anche in futuro?
«Certo».