Haiti è un Paese in fiamme: «Non esiste un posto sicuro»

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito a porte chiuse per affrontare la difficile situazione di Haiti che sembra ormai fuori controllo dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza e l’istituzione del coprifuoco. Il Primo Ministro Ariel Henry si trova ancora a Puerto Rico, dopo che le gang criminali, che dominano la quasi totalità della capitale, hanno preso il controllo dell’aeroporto per impedirgli di atterrare ad Haiti.
Gli Stati Uniti intanto stanno facendo pressioni su Henry perché acceleri la transizione con la creazione di un Governo forte, ma il più importante capo delle bande che controllano l’isola caraibica ha minacciato una guerra civile che si trasformerà in genocidio se l’attuale Primo Ministro rimetterà piede ad Haiti. Insomma, nella regione rischia di esplodere e sfociare in una tragica guerra civile.
Responsabilità e violenze
Nella capitale Port-au-Prince sono infatti le bande a comandare, dividendosi i quartieri e piazzando posti di blocco per gestire la vita dei cittadini. La polizia ormai non esce più dalle caserme e si è asserragliata nei pochi quartieri ancora in mano ai governativi. La situazione nel Paese è grave da mesi, ma gli ultimi giorni la situazione è precipitata. Stazioni della polizia e ospedali sono stati dati alle fiamme e saccheggiati mentre due principali carceri sono stati presi d’assalto per liberare migliaia di detenuti che sono andati a ingrossare le fila delle gang criminali. Scuole e negozi sono chiusi da giorni e nelle strade restano i corpi delle persone uccise negli scontri, stando ai dati dell’Alto Commissariato per i Diritti umani i morti dall’inizio dell’anno sono già 1.200. Flavia Maurello è la responsabile di Avsi per Haiti , un’organizzazione Non Profit che lavora in 40 Paesi, e vive nell’isola da circa 10 anni. «La situazione a Port-au Prince è drammatica, non esiste un luogo che sia davvero sicuro», dice al CdT. «L’assenza del Primo ministro ha scatenato la violenza, ma credo che il suo ritorno sia ormai diventato inutile. Stiamo aspettando da un anno e mezzo che le Nazioni Unite facciano qualcosa, ma dopo il fallimento della Minustah, la missione terminata nel 2017 e accusata di sfruttamento della prostituzione minorile, dubito che torneranno ad Haiti. Lo Stato qui non esiste più, anche tecnicamente tutti i mandati elettorali sono scaduti e nessuno governa il paese. La crisi più profonda è iniziata nel 2018, ma l’assassinio del presidente Jovenel Moise nel luglio del 2021 ha peggiorato le cose. Le bande sono diventate padrone di Haiti e nessuno ha la forza di opporsi». Secondo Maurello, «gli Stati Uniti hanno però una chiara responsabilità in questo, perché dopo il golpe del 2004 hanno smantellato l’esercito di Haiti e adesso esiste soltanto la polizia ed una forza paramilitare, peggiore delle bande stesse. Spesso i poliziotti prendono le armi e si uniscono alle gang perché nessuno paga gli stipendi da mesi». Avsi resta però sul territorio cercando di aiutare una popolazione disperata. «La nostra sede è a Petionville, uno dei pochi quartieri ancora in mano alle forze governative, ma noi lavoriamo nelle bidonville di Port-au-Prince e dobbiamo venire a patti con le bande criminali che controllano il territorio. I nostri progetti educativi e sanitari sono importanti per la sopravvivenza della popolazione e per questo motivo vengono accettati anche dalle gang che ne riconoscono la necessità. Le strutture sanitarie sono tutte al collasso, sovraffollate e manca tutto dai medicinali ai letti perché vengono sistematicamente depredate».
Gli interessi dietro al caos
Ad Haiti è complicato anche capire quali siano i veri sentimenti della popolazione che scende in piazza a manifestare. «Il popolo è allo stremo e segue chiunque prometta di migliorare le cose», prosegue la nostra interlocutrice. «Qui nessuno ha un vero progetto politico e ogni giorno si protesta per qualcosa di diverso. C’è però chi ha interesse a mantenere Haiti nel caos. Io mi chiedo se gli Stati Uniti, che si sono rifiutati di intervenire militarmente, si siano resi conto di cosa significasse far tornare Guy Philippe ad Haiti. Da quando è tornato tutto è precipitato ed è possibile che ci sia lui dietro a questa situazione». In questi giorni Philippe ha formato un’alleanza politica con l’ex candidato presidenziale e senatore Moise Jean Charles creando un consiglio formato da tre persone pronto a prendere il controllo del paese. Per Flavia Maurello pesano anche gli interessi geopolitici dell’area. «Ad Haiti hanno enormi interessi i cartelli della droga messicani che utilizzano il Paese come base per arrivare negli Stati Uniti ed in Europa. Nel traffico di droga sono coinvolti anche molti politici e uomini d’affari haitiani che hanno tutto l’interesse a mantenere lo Stato nel caos. I carichi di droga arrivano da Messico e Colombia e le bande gestiscono la logistica, un business enorme a cui nessuno intende rinunciare». Tutto mentre la popolazione cerca di scappare negli Stati Uniti o nella Repubblica Dominicana e i leader della Comunità dei Caraibi (CariCom) si riuniscono da giorni senza trovare nessuna soluzione per Haiti, lo stato perduto.