La situazione

Haiti, l’isola più sfortunata al mondo

Giorno dopo giorno si aggrava il drammatico bilancio del terremoto - «Ci sentiamo abbandonati»
© AP
Maria Zuppello
20.08.2021 06:00

Sembra davvero non esserci tregua per Haiti. Dopo la brutale uccisione del presidente Jovenel Moïse lo scorso 7 luglio e l’inevitabile caos politico ci si è messa la natura ad aggiungere il suo carico. Non fa altro che salire, infatti, la conta dei morti dell’impietoso terremoto di magnitudo 7.2 che sabato scorso ha colpito questa parte dell’isola Hispaniola - l’altra è occupata dalla Repubblica Domenicana. Oltre 2.100 i corpi recuperati finora, destinati sicuramente ad aumentare, migliaia i feriti mentre i soccorritori devono adesso vedersela anche con la tempesta Grace che si è abbattuta nelle ultime ore, rendendo difficile, se non impossibile, il lavoro di scavo tra le macerie. Si cominciano a contare anche i danni: 60 mila case sono state distrutte, un migliaio inagibili, 30 mila sono i senzatetto mentre secondo l’UNICEF, circa 1 milione e 200 mila persone sono state colpite da questo terremoto.

I bambini affamati

La situazione è difficile soprattutto nella parte meridionale dell’isola, luogo dell’epicentro. Il cibo scarseggia, gli ospedali sono al collasso e mancano medicine e attrezzature mediche. I sopravvissuti camminano come fantasmi per le vie disastrate di Les Cayes, la terza città più grande del paese e la più colpita dal terremoto. Cercano riparo dai venti della tempesta Grace sotto sacchi di plastica trasformati alla bell’e meglio in tende. «Tra le macerie molti erano ancora vivi ma nessuno è riuscito a tirarli fuori», racconta con dolore la fisioterapista cilena Consuelo Alzamora che ha trasformato il suo centro in una clinica di prima accoglienza «siamo completamente soli, i nostri ortopedici in Cile visitano i feriti via zoom. Ci sono tantissimi bambini affamati». Le fa eco Robinson Gabriel, un medico haitiano dell’ospedale de Las Cayes. «L’ospedale è danneggiato, lavoriamo in cortile - racconta - con un senso di abbandono totale perché gli aiuti ancora non arrivano». Eppure le Nazioni Unite hanno già stanziato otto milioni di dollari in fondi di prima emergenza. Il segretario generale Antonio Guterres, ha cercato di rincuorare i sopravvissuti con un messaggio diretto. «Non siete soli - ha detto loro - siamo dalla vostra parte in questi tempi difficili. Le Nazioni Unite continueranno ad assistere con aiuto umanitario, medicine, acqua potabile e molto altro». E si è attivata anche la solidarietà internazionale, dal Messico agli Stati Uniti, passando persino per il martoriato Venezuela, che sta inviando cibo, medicine, uomini. La Svizzera (vedi articolo sotto) ha stanziato un milione di franchi mentre l’aiuto umanitario svizzero sta lavorando per attivare due impianti di acqua potabile oltre a mobilitare architetti ed esperti di riduzione del rischio di disastri già attivi sull’isola. Il rischio di un’epidemia di colera rimane alto per Haiti che già ha conosciuto un’altra epidemia simile nel 2010 dove morirono oltre 10 mila persone che si aggiunsero alle oltre 220 mila vittime di un catastrofico terremoto nel gennaio di quello stesso anno.

Pessima gestione dei fondi

Quel terremoto fu però anche un orrendo esempio di pessima gestione dei fondi internazionali tanto che il primo ministro Ariel Henry ha dichiarato mercoledì che il suo governo lavorerà per «non ripetere la storia» riferendosi chiaramente al caos nella gestione dei fondi umanitari nel 2010 e alle accuse di corruzione rivolte al governo che avrebbe sottratto parte di quel denaro. Una situazione, insomma, drammatica quella di Haiti già profondamente prostrata dalle vicende degli ultimi mesi. Prima il dilagare dell’epidemia COVID. Haiti era rimasta l’ultimo posto al mondo a non aver neanche cominciato una campagna vaccinale con un impatto devastante sulle condizioni sanitarie dell’isola. Poi l’emergenza sicurezza dovuta a un aumento senza precedenti della violenza operata dalle gang presenti su tutto il territorio che ha costretto 18 mila haitiani dall’inizio dell’anno a lasciare le proprie case. Infine l’omicidio del presidente Moïse che ha destabilizzato ancora di più il già fragile e corrotto scenario politico del paese. Chi può cerca, adesso, di fuggire ma la situazione è diventata critica anche dal punto di vista migratorio. Con gli Stati Uniti che temono una nuova invasione di migranti haitiani i controlli nelle vicine isole caraibiche sono diventati severissimi. Giovedì 64 haitiani in fuga sono stati rimpatriati dalle autorità di Nassau nelle Bahamas mentre la confinante Repubblica Domenicana sta lavorando al potenziamento del muro di frontiera proprio in vista di flussi massicci previsti nelle prossime settimane. In questo scenario così difficile parole di speranza arrivano dalla scrittrice haitiana Edwige Danticat da anni residente negli Stati Uniti, «Il mio popolo è stato costretto per anni a dover sviluppare meccanismi di sopravvivenza. Da sempre siamo stati bombardati da disastri politici e naturali. Questo paradossalmente ci ha aiutato a diventare non dei sopravvissuti ma degli esperti di sopravvivenza. Ce la faremo anche questa volta, sarà durissima ma ce la faremo, ne sono sicura».