La corrispondenza

Hamas ha già raggiunto un obiettivo: Israele è diviso in due anime opposte

A Netanyahu viene imputata l'ostinazione nel voler mantenere il controllo del Filadelfia a scapito della liberazione degli ostaggi, ma non tutti sono contro l'operato del premier
© ABIR SULTAN
Nello Del Gatto
03.09.2024 22:00

La brutale uccisione a caldo dei sei giovani ostaggi prigionieri a Gaza, con conseguente sciopero generale in Israele e convocazione della più grande manifestazione contro Netanyahu dall’inizio della guerra, vede accentuate le divisioni tra chi insiste per il pugno duro al fine di garantire la sicurezza e chi invece preme per qualsiasi soluzione pur di riportare a casa quello che resta dei 97 ostaggi rapiti il 7 ottobre. Con la convinzione che, se non in armi, Hamas ha vinto la sua guerra sia isolando Israele internazionalmente, sia dividendolo internamente.

A Netanyahu viene imputata l’ostinazione di voler mantenere il controllo del corridoio Filadelfia, tra Gaza e l’Egitto - non lontano da dove sono stati trovati i corpi degli ostaggi -, dal quale a Gaza entrano le armi. Per il premier il controllo del luogo è necessario alla sicurezza anche futura di Israele, e in questo è spalleggiato anche dai membri di destra del governo che chiedono di non trattare più con Hamas, pena l’uscita dall’Esecutivo. Per sostituirli, si starebbe facendo scouting al centro.

Il Paese è diviso. Non tutti i familiari degli ostaggi a Gaza, come cittadini, città e membri della politica, concordano con la decisione di scioperare, perché ciò mostra un Paese spaccato e se ne giova Hamas. L’associazione Tikva delle famiglie degli ostaggi ha anche chiesto a Netanyahu di non andare avanti con i colloqui con Hamas, in quanto questi sono «assassini e stupratori della specie più bassa, animali umani», chiedendo invece di continuare l’operazione militare. Le due donne ostaggio e Goldberg-Polin (che aveva avuto una mano maciullata nel massacro a causa di una granata) pare fossero sulla lista dei 33 che avrebbero dovuto essere liberati nella prima fase della tregua in discussione e che Hamas non ha ancora accettato, anche se accusa Israele di non volerla.

Le responsabilità

La strategia di Netanyahu sta minando sempre più i rapporti con gli USA. Il presidente Joe Biden accusa Bibi di «non fare abbastanza per trovare un accordo». Ma il premier non ci sta. E getta la piena responsabilità di quanto sta accadendo nel campo di Hamas. «Abbiamo acconsentito alla formula presentata il 31 maggio dal presidente Biden», ha dichiarato. «Abbiamo accettato la cosiddetta “proposta ponte” del 16 agosto. Hamas ha respinto la prima. E ha respinto la seconda». Appare evidente che Biden vuole un accordo con Hamas a tutti i costi prima delle elezioni, anche se questo dovesse implicare che Israele lasci il corridoio Filadelfia. Cosa inaccettabile per Netanyahu. Secondo il Washington Post un accordo stile «prendere o lasciare» che gli Stati Uniti, l’Egitto e il Qatar stanno elaborando era in lavorazione da prima che Israele scoprisse i corpi dei sei ostaggi. Se l’accordo venisse respinto, potrebbe significare la fine degli sforzi di mediazione americani. La speranza è che la morte degli ostaggi non faccia deragliare i colloqui ma anzi spinga a raggiungere un accordo in questa fase. Ma non è solo Biden a suscitare le reazioni del premier israeliano.

La decisione del Regno Unito di sospendere 30 su 350 licenze di vendita di armi a Israele è «vergognosa» e «non cambierà la determinazione di Israele a sconfiggere Hamas», ha sottolineato Netanyahu.

Non cambierà approccio

Non tutti sono contro Netanyahu. Un sondaggio pubblicato dal Jewish People Policy Institute ha mostrato che il 49% degli ebrei israeliani ritiene che sia più importante mantenere il controllo del corridoio Filadelfia piuttosto che liberare gli ostaggi, mentre il 43% pensa il contrario. Il Paese è spaccato in due anime opposte. «L’unica cosa che interessa a Netanyahu è la sua sopravvivenza politica», ha affermato Reuven Hazan, politologo presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. «E questo non gli consente di porre fine alla guerra e riportare indietro gli ostaggi». Secondo il politologo, tuttavia, nonostante le grandi proteste degli ultimi giorni, senza che il dissenso nei suoi confronti sia sostenuto in una fascia più ampia della società e divenga generale, è difficile che Netanyahu sentirà abbastanza pressione da cambiare approccio. Ancora parte dell’opinione pubblica e della diplomazia israeliana del resto è dalla sua parte.

«Dobbiamo vincere questa guerra. Un cessate il fuoco - ha dichiarato l’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e all’ONU, Gilad Erdan - significa che Hamas sopravviverà e otterrà un lasciapassare dopo quello che ha fatto. Un cessate il fuoco è possibile solo se manteniamo la possibilità di sradicare Hamas. La nostra nazione è in una guerra per la sopravvivenza. Solo la completa eliminazione delle capacità di Hamas può ripristinare la nostra deterrenza contro i terroristi e contro l’Iran, il loro burattinaio». Erdan ha anche aggiunto che gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare il governo israeliano ad aumentare la pressione su Hamas.

Bolle la Cisgiordania

Intanto continua a bollire la Cisgiordania, dove da sei giorni l’esercito conduce un’operazione antiterrorismo. Si teme che anche da lì giungano minacce e pericoli per il Paese ebraico. Un funzionario israeliano ha dichiarato a Sky News che c’è un allarme altissimo che gruppi di terroristi si stiano preparando a uno scenario analogo al 7 ottobre in Cisgiordania, in uno degli insediamenti o addirittura all’interno di Israele. «L’Iran trasferisce denaro e armi in Cisgiordania. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un aumento degli sforzi di Teheran per trasformare la regione in un vero campo di battaglia», ha detto il funzionario. Che ha aggiunto poi che «l’attenzione attuale è sul nord della Cisgiordania, ma stiamo monitorando anche le minacce nel sud, dove l’attività terroristica potrebbe espandersi».

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