Hezbollah legittima la guerra: Israele deve guardarsi le spalle

Hezbollah non entra nella guerra in corso a Gaza, anche perché, seppur in maniera indiretta e limitata, c’è già. È questo il succo del discorso che Sayyed Hassan Nasrallah, il leader del gruppo libanese, ha fatto oggi. Un discorso, il primo dall’inizio del conflitto, molto atteso. La propaganda era già pronta: in migliaia attendevano, con le bandiere gialle e verdi in una piazza alla periferia di Beirut, dove era stato allestito un palco con un maxischermo per assistere al discorso del leader. Giovedì erano stati diffusi anche i video con i preparativi del palco. Molti di quelli che riprendevano e commentavano, non parlavano in arabo, ma in farsi, la lingua dell’Iran. Come se fosse necessario ribadire il legame che il gruppo libanese ha con Teheran.
Nasrallah non ha forse fatto il discorso che tutti i guerrafondai attendevano, una dichiarazione esplicita di riprendere i combattimenti con Israele lasciati con un pareggio nel 2006. Ma ha sostanzialmente detto che con le azioni che da giorni i suoi stanno portando al sud del Paese dei cedri, di fatto Hezbollah è già in guerra. E pienamente, facendo notare l’impegno in questa fase belligerante, con il numero delle vittime, 57, tra i suoi miliziani. A questi, vanno aggiunti anche 10 miliziani degli altri gruppi che gravitano nel Paese dei cedri e che con Hezbollah condividono l’odio anti israeliano, e cioè Hamas e il Jihad Islamico Palestinese. Anche questi due, nonostante siano impegnati nella madre di tutte le battaglie a Gaza, più volte si sono resi protagonisti di attacchi dal sud del Libano verso Israele. Il più grave giovedì pomeriggio, quando razzi lanciati da Hamas dal suolo libanese hanno colpito la città israeliana di Kiryat Shmona, centrando una serie di negozi e delle auto, provocando un vasto incendio e il ferimento di due persone. Un colpo al cuore per Israele, che comunque ha continuato a rispondere all’offensiva.
Le quattro cause
Quasi al termine del discorso, più o meno dopo un’ora di retorica nella quale ha anche negato che Hamas si sia macchiato di crimini come la decapitazione o l’incendio di bambini, oppure ha accusato gli USA di destabilizzare e li ha minacciati vista la presenza delle proprie navi nel mediterraneo, il leader di Hezbollah ha detto che chiunque voglia prevenire una guerra regionale deve fermare il conflitto nella Striscia di Gaza. Nasrallah, per il quale la battaglia di Hamas è pienamente legittima, ha detto che tutto è nato per porre fine alle sofferenze del popolo palestinese, indicando quattro punti: le migliaia di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane; la questione della moschea di al Aqsa a Gerusalemme; l’assedio di Gaza per quasi vent’anni; i pericoli che incombono sulla Cisgiordania, compresi gli insediamenti israeliani, le uccisioni e gli arresti quotidiani. Il leader libanese ha aggiunto inoltre che il suo gruppo è pronto a tutte le possibilità, lasciando aperta la porta a un impegno più intenso. Il tutto salutato da urla festanti dei sostenitori e spari in aria.
Una moltitudine di fronti
La tensione resta dunque alta nel nord, dove sono stati sfollati kibbutzim e città di confine mentre nei centri come Haifa o San Giovanni d’Acri sono stati portati sistemi difensivi e soldati. Dopotutto quello con il Libano è un confine labile, facilmente superabile anche perché impossibile da controllare completamente, passando dal mare alla montagna.
Attacchi sono arrivati alcune volte anche dalla Siria, dove Hezbollah ha delle basi. Anche Damasco è un campo fertile per Teheran, appartiene infatti alla stessa rete di «proxy», come vengono in gergo chiamati questi gruppi che fanno riferimento al regime degli ayatollah. Una sorta di rappresentanti sul campo. Anche se, nel suo discorso, Nasrallah ha detto che Hamas ha agito il 7 ottobre senza essere guidato dall’Iran.
Il leader del «partito di Dio» ha anche svelato la strategia di diversione che oramai era già chiara. Dall’8 ottobre, il giorno dopo il massacro di Hamas, operazione che secondo Nasrallah ha mostrato la debolezza di Israele, l’intenzione dei gruppi in libano è di attaccare Israele per dividerlo, confonderlo, accerchiarlo, obbligarlo a essere impegnato su due fronti. Divisione che è tesa a indebolire ancora di più il paese ebraico, che ha dovuto spostare al nord truppe e sistema antimissilistico.
Che poi due fronti non sono. Perché se è vero che a nord e sud tra Hamas, Hezbollah e il Jihad Islamico palestinese tengono occupato Israele, nella parte centro-orientale, nei territori di Cisgiordania, i gruppi che si rifanno agli stessi proxy iraniani, da giorni tengono impegnate truppe israeliane in quelle che da tempo sono spine nel fianco del Paese ebraico: in città come Jenin e Nablus gli scontri sono quotidiani, le vittime molte, oltre 140, e gli arresti oltre il doppio. Da qualche giorno, inoltre, un nuovo fronte si è aperto. È quello del Mar Rosso, dal quale sono arrivati un paio di missili e diversi droni lanciati dal gruppo yemenita Houthi, altra cellula iraniana. Come pure gli attacchi dall’Iraq contro gli americani. E questo è un grosso rischio per Israele, che si trova accerchiato su più fronti con la necessità di dover cedere da qualche parte per rimanere integro.
La milizia sciita di Hezbollah certamente fa paura. Secondo fonti militari, può contare su oltre 150.000 combattenti e ha più volte dimostrato di essere in possesso di diversi armamenti in grado di mettere in difficoltà Israele. Dopotutto, la guerra del 2006 finita con un pareggio, ha tenuto il Paese ebraico in apprensione per più di un mese, ed era cominciata con l’infiltrazione di miliziani di Hezbollah che rapirono soldati israeliani.