Il dramma

«I bambini si rialzano in fretta ma gli effetti rimangono a lungo»

Sono oltre 23.700 le vittime del terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito nella notte tra domenica e lunedì Turchia e Siria – Tra le persone estratte vive dalle macerie, molti bambini, alcuni dei quali rimasti orfani – UNICEF è sul posto, e confessa: «Siamo preoccupati»
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Paolo Galli
11.02.2023 06:00

Il mondo ieri si è risvegliato con una cattiva notizia. Il numero delle vittime del terremoto, che ha colpito Turchia e Siria nella notte tra domenica e lunedì, è salito a quota 21.719. Ma questo numero crescerà, crescerà ancora. Già in serata era arrivato a 23.766, 20.213 in Turchia e 3.553 in Siria. Sarà così per giorni, fino a quando questa crescita rallenterà, e allora avremo il bilancio finale. Ma stiamo raggiungendo quel punto in cui il numero non è poi così determinante per descrivere il dramma. Il dramma è, è stato e sarà. Perché i danni del terremoto avranno ripercussioni sul lungo periodo. Non si tratta di ricostruire case soltanto, ma famiglie - dove possibile - e anime. In questo contesto, a colpire in maniera atroce è in particolare la situazione dei più piccoli. Tanti i bambini tra le vittime, ma tanti anche i bambini trovatisi di colpo soli, salvati dalle macerie ma orfani. È in questo contesto che, nelle aree colpite, operano alcune organizzazioni internazionali, a cominciare da UNICEF.

«Alla mercé di freddo e fame»

«Siamo preoccupati, perché cresce il numero dei morti e degli sfollati, ma anche dei feriti. Parallelamente, crescono anche i disagi, che colpiscono inevitabilmente i più fragili, i bambini», ci spiega Andrea Iacomini, portavoce di UNICEF Italia. «Oggi il tema non è solo quello di cercare di consegnare da subito - come stiamo facendo, grazie ai nostri uffici sul posto - aiuti e tutto ciò che è necessario, ma siamo estremamente preoccupati per i bambini rimasti soli. Quei bambini che hanno il papà o la mamma sotto le macerie, quei bambini che vagano per le strade. Bambini che sono alla mercé della fame, del freddo. Nelle prime ore del terremoto ne avevamo contati solo 500, ma oggi stimiamo che possano arrivare a essere fino a 5 mila. Con l’aumentare delle ore, e quindi dei disagi, questa cifra così pesante tenderà ad aumentare. Per questa ragione è importante fare un’azione di censimento, avviare il ricongiungimento con i parenti in zona».

«Gli effetti sul terreno»

Paolo Marchi, vice-rappresentante di UNICEF in Turchia, è impegnato giorno e notte nel coordinare i lavori nelle dieci province del Paese toccate dal terremoto. Parliamo di un’area molto popolosa: 13,5 milioni di cittadini turchi e 1,7 milioni di rifugiati siriani: «Più di un terzo sono bambini», spiega. «La finestra di ricerca di eventuali superstiti si sta per chiudere, per cui stiamo già lavorando alle fasi successive. Abbiamo un ufficio a Gaziantep. Il nostro staff è incolume, ma choccato. Ora tutti vivono, con le rispettive famiglie, assieme, nel nostro ufficio. Lavorano e vivono lì. Sono sul terreno e vedono gli effetti di questo devastante terremoto. Stiamo distribuendo aiuti e beni, ma stiamo lavorando anche al supporto psicosociale di bambini e famiglie. I bisogni sono talmente ingenti che è difficile servire tutti. Dalla prossima settimana inizieremo ad allestire spazi temporanei dove permettere ai bambini di essere bambini, mentre gli adulti proveranno a capire come ricostruire un futuro». Ospedali e scuole distrutti, servizi essenziali distrutti. «Saremo al fianco delle famiglie. I bambini, in questi casi, tipicamente, sono i più rapidi a rimettersi in piedi, ma gli effetti rimangono. Parliamo con i genitori, ma sono genitori traumatizzati».

C’è paura. Per questo agiamo velocemente. Il Governo turco aveva già programmi attivi nell’area, ha già esperienza in questo senso. Ma certo ora giochiamo sul tempo, per trovare questi bambini e, insieme ai nostri partner, fare in modo che possano ricongiungersi ai genitori o comunque alle loro famiglie allargate
Paolo Marchi

«C’è paura, agiamo in fretta!»

Questo quando i genitori ci sono. Andrea Iacomini è stato chiaro, su questo punto: il numero dei bambini soli è destinato a crescere molto rapidamente. Con tutti i rischi del caso. Paolo Marchi parla riferendosi alla situazione della Turchia, e riconosce: «C’è paura. Per questo agiamo velocemente. Il Governo turco aveva già programmi attivi nell’area, ha già esperienza in questo senso. Ma certo ora giochiamo sul tempo, per trovare questi bambini e, insieme ai nostri partner, fare in modo che possano ricongiungersi ai genitori o comunque alle loro famiglie allargate. Essendo, quelle colpite, province in cui negli ultimi anni è stato registrato un grosso afflusso di rifugiati - spesso proprio bambini non accompagnati -, ecco che non c’è la necessità di creare ad hoc nuovi programmi; piuttosto dobbiamo adattare quelli già attivi». Marchi racconta di un aneddoto, riportatogli da un operatore sul posto: «Un padre, profugo siriano in Turchia, dopo aver perso la moglie e un figlio sotto le macerie, al nostro collega ha detto: “Siamo scappati dalla morte, ma l’abbiamo trovata qui in Turchia”». Un destino che riporta quasi al testo di Samarcanda. Ma questa non è una canzone. È una realtà drammatica. Iacomini aggiunge: «Come in ogni catastrofe, che sia una guerra o un terremoto, il rischio di abusi e rapimenti c’è. Ci aspettiamo un gran numero di bambini sfollati, di orfani. E tante necessità. Di fronte a uno scenario apocalittico, le cose da fare saranno davvero tante, ecco perché è necessario oggi aiutare quanti si stanno impegnando sul campo».

«In Siria maggiori difficoltà»

Turchia e Siria, il terremoto è stato lo stesso, ma ci sono caratteristiche che rendono le due situazioni non del tutto simili, perlomeno in termini di aiuti. «Il territorio turco, come quello siriano, è devastato dal sisma», spiega ancora Iacomini. «Ma va considerata una differenza sostanziale: mentre in Turchia gli aiuti possono arrivare, in Siria ci sono maggiori difficoltà, legate al fatto che i bambini di quelle zone hanno vissuto in povertà e negli ultimi mesi hanno anche attraversato un’epidemia di colera. Sono, insomma, bambini profondamente violati da una serie di cose, che si ritrovano ad avere bisogno di tutto. Specialmente i bambini sotto i due anni e le donne incinte hanno bisogno urgente di cibo, acqua potabile». Nella parte siriana, quindi, sarebbe necessario avere maggiore agibilità per poter portare gli aiuti in maniera celere. «Noi stiamo agendo in questo senso: in territorio turco con le Nazioni Unite e in territorio siriano con le nostre ONG partner». In merito alla Siria, stiamo parlando di aree già sconvolte dalla guerra. «In Siria si combatte ancora nella parte Nord-Est del Paese, ci sono conflittualità molto alte tra curdi e Turchia, ma anche legate ai ribelli a Idlib. Un Paese con 15 milioni di persone in assistenza umanitaria, di cui 7 milioni sono bambini». Iacomini sottolinea: «La comunità internazionale ha per la prima volta l’opportunità di prendere per mano questo Paese e portarlo in una situazione di normalità. Una normalità che la Siria non riesce ancora a trovare dopo dodici anni».

Lavoriamo in qualsiasi tipo di contesto, che sia di guerra o legato a disastri naturali. Lavoriamo con staff nazionali, e in questo caso con molti colleghi colpiti direttamente dal dramma, ma che nonostante questo - o proprio per questo - hanno il coraggio e la volontà di adoperarsi oltre le incertezze
Paolo Marchi

«Importante non dimenticare»

UNICEF, insomma, c’è, è sul posto. E affronta un lavoro e carichi di pressione difficilmente immaginabili. Paolo Marchi: «Lavoriamo in qualsiasi tipo di contesto, che sia di guerra o legato a disastri naturali. Lavoriamo con staff nazionali, e in questo caso con molti colleghi colpiti direttamente dal dramma, ma che nonostante questo - o proprio per questo - hanno il coraggio e la volontà di adoperarsi oltre le incertezze. Un coraggio e una volontà che colpiscono molto. Ora come ora siamo spinti anche dall’adrenalina, presi dalla necessità e dalla volontà di salvare vite, di metterle in sicurezza. Ma poi si aprirà una fase altrettanto dura, quella dove emergeranno le conseguenze del terremoto». A noi, qui, rimane la commozione, un senso di impotenza. Ma qualcosa si può fare comunque. Ancora Iacomini: «In primis, non dobbiamo abbandonare questo popolo, parliamone, raccontiamolo. Come per tutte le calamità naturali, anche qui il rischio è che tra dieci giorni non se ne parli più. Qui invece occorre tenere alta l’attenzione, perché i bisogni saranno enormi. In secondo luogo, è importante aiutare e sostenere i nostri uffici sul territorio nella maniera più pratica possibile: c’è bisogno di coperte, medicinali, cibo, acqua pulita. Ma anche sostegno psicologico, perché i bambini sono doppiamente traumatizzati: questo è un disastro nel disastro. Alcuni bambini siriani hanno già vissuto la guerra, molti di quelli in Turchia, invece, sono rifugiati. Avevano già visto le bruttezze della guerra e oggi si trovano a fare i conti con un altro dramma. Credo che abbiano almeno il diritto di godere della nostra attenzione».

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