«I got to have Faith»: Carlo III e l'impegno multireligioso

C’è differenza tra le espressioni inglesi «Defender of the Faith» e «Defender of Faith»? Poca, direbbero alcuni: solo un articolo. A separare le due, tuttavia, c’è un intero mondo di culture e religioni. In uso dal Sedicesimo secolo, il titolo Defensor Fidei (Difensore della Fede) fu dato da Papa Leone X a Enrico VIII d’Inghilterra come riconoscimento per il suo impegno nella difesa della Cattolicesimo dall’incedere dei principi luterani. Ironico che qualche anno più tardi sarebbe stato proprio questo re inglese a scatenare lo scisma che portò alla nascita della Chiesa anglicana. Nel 1544, il Parlamento inglese avrebbe poi creato un simile titolo («Defender of the Faith», per l’appunto) a rappresentare il legame fra il monarca (“governatore supremo” anche della Chiesa anglicana) e la religione di Stato. E qui torniamo alla domanda iniziale. Quel «the» è davvero necessario? La presenza di un articolo determinativo evidenzia la volontà di definire l’Anglicanesimo come l’unica e vera fede per l’intero regno. Un principio che, già negli anni ’90, lo stesso Carlo, ancora principe del Galles, aveva tentato di smussare. Come? Proponendo di levare, quando fosse arrivato il momento della sua incoronazione, l’articolo. Così da divenire (letteralmente, e un po’ cacofonicamente, in italiano) «Difensore di Fede». Un titolo che avrebbe reso il monarca protettore della libertà religiosa: di ogni credo e non di uno specifico. Un’idea da allora accantonata (a partire dall’incoronazione di maggio 2023, Carlo sarà Defender of the Faith) ma che sopravvive nei propositi del sovrano.
Un Paese in evoluzione
Era il 1994, quando Carlo (allora 46.enne), nel corso di una trasmissione, disse che al momento della sua ascesa al trono avrebbe preferito essere nominato «Defender of Faith, e non Defender of the Faith: altrimenti significherebbe proteggere solo una particolare interpretazione religiosa; il che, a volte, credo sia causa di problemi. È stato così per centinaia di anni. Le persone si sono combattute fino alla morte per queste cose: penso sia un singolare spreco di energie, quando in realtà stiamo tutti mirando allo stesso obiettivo finale».
Un’uscita che, allora, non gli valse certo la simpatia del popolo inglese. È vero: le cose erano cambiate dai tempi dell’incoronazione di Elisabetta II. Ma forse non abbastanza: allora, i cittadini britannici si identificavano ancora, per l’80%, come “cristiani”.
Salto in avanti di 28 anni e la situazione è mutata nuovamente. Oggi, Carlo vede davvero vicinissimo il giorno in cui terrà nelle mani scettro e globo. E lo farà dinanzi a un Paese profondamente cambiato rispetto al momento in cui Elisabetta aveva compiuto lo stesso rito, nel lontano 1953. Secondo gli ultimi dati elaborati dall’Office for National Statistics (ONS), pubblicati a fine novembre, sono scesi sotto il 50% gli abitanti nel Regno Unito che si definiscono cristiani. In particolare, fra Inghilterra e Galles, il totale di chi si dichiara cristiano non supera attualmente il 46,2%, contro il 59,2 registrato nel 2011. Una diminuzione dovuta, sì, al crescente ateismo, ma non solo. Giocherebbe un ruolo importante, infatti, la popolazione fattasi sempre più multiculturale e multietnica. Tanto che, a Londra, coloro che affermano di praticare fedi diverse dalle confessioni cristiane superano ormai il 25%.
Carlo, insomma, un visionario.
L’impegno multireligioso
I propositi del ’94, come già evidenziato, non saranno mantenuti dal punto di vista formale. Nel 2015, Carlo aveva fatto un passo indietro, annunciando che il famoso “the” rimarrà. Una concessione all’etichetta che non rappresenterà, tuttavia, una sconfitta per la tolleranza religiosa. Nel mese di settembre, a pochi giorni dalla morte di Elisabetta II, il nuovo monarca aveva promesso di «proteggere lo spazio per la fede stessa». Di più: durante un ricevimento a Buckingham Palace, aveva garantito ai diversi leader religiosi di voler sostenere le numerose «religioni, culture, tradizioni e credenze a cui i nostri cuori e le nostre menti ci indirizzano». Parole vuote, di convenienza? Non proprio. Carlo, molto attivo anche nella protezione del clima, è da tempo interessato a religioni e filosofia. Tanto che nel 2010 aveva voluto raccontare la sua visione su un mondo più in armonia, fra società, cultura e ambiente, nel libro Harmony: A New Way of Looking at Our World. E il suo impegno a favore della libertà religiosa è molto apprezzato fra la comunità ebraica e quella musulmana, per le quali ricopre il ruolo di patrocinatore in diverse organizzazioni.
Insomma, il figlio di Elisabetta potrebbe ricoprire un ruolo importante nel cementare un Regno Unito sempre più cosmopolita e multietnico.
E la legge
Stando a quanto rivelato dal Telegraph, gli assistenti di palazzo e i funzionari della Chiesa anglicana starebbero ora progettando una “scappatoia” che permetta a Carlo, al momento dell’incoronazione, di riconoscere il proprio impegno nei confronti delle molteplici fedi. Come? Andando a modificare il giuramento, invece del titolo.
Il progetto, del resto, è sostenuto anche dalla Constitution Unit dell’University College di Londra, che in ottobre aveva raccomandato un giuramento che riguardasse tutte le fedi religiose. Nel loro rapporto, Swearing in the New King: The Accession and Coronation Oaths, gli accademici hanno sottolineato come il rito seguito con la regina Elisabetta II «non sia più adatto a un Paese in cui viene praticata una più ampia varietà di religioni». L'apposito gruppo ha dunque suggerito una serie di varianti al giuramento tradizionale che potrebbero essere introdotte per il giorno X: il 6 maggio.
Quale verrà applicata, resta al momento un mistero. Ma si pensa che la formulazione aggiuntiva verrà inserita prima o dopo il giuramento tradizionale.
