I nemici di Israele esultano: «Sionisti sconfitti»

Salutano l'accordo raggiunto con Hamas e profetizzano un futuro infausto per Israele. Dall'Iran allo Yemen, la retorica dei nemici dello Stato ebraico - attori indiscussi del cosiddetto «asse del male» sciita e della «resistenza ai sionisti» - cerca di rianimare una galassia pesantemente indebolita da 15 mesi di conflitto e individua nella tregua a Gaza l'occasione di riscatto.
A Teheran ha tuonato la Guida suprema Ali Khamenei, per il quale «la pazienza del popolo e la fermezza della Resistenza palestinese e del Fronte di Resistenza hanno costretto il regime sionista alla ritirata». Per la massima autorità religiosa della Repubblica islamica l'accordo è una «vittoria» per i palestinesi e una «sconfitta» per Israele.
Un'enfasi retorica che non risparmia neanche la Jihad islamica palestinese, che ha salutato come «onorevole» l'accordo. «Il nostro popolo e la sua resistenza hanno imposto un accordo onorevole per fermare l'aggressione» israeliana, ha affermato la seconda organizzazione islamista dopo Hamas nell'enclave palestinese, la quale ha annunciato che rimarrà «vigile per garantire la piena attuazione di questo accordo».
Fra gli altri attori regionali di questa galassia un posto non secondario lo occupano i ribelli Huthi dello Yemen, fedeli alleati dell'Iran, mobilitati in massa nella loro campagna di confronto contro il loro nemico storico, Israele, e le potenze occidentali, con Stati Uniti e Regno Unito in testa.
Il loro leader Abdul Malak al-Huthi, in un discorso trasmesso sul canale dei ribelli, ha affermato che «il nemico israeliano ha fallito a Gaza nonostante l'assedio imposto alla resistenza palestinese» e i mezzi messi a sua disposizione dal suo alleato americano, stimando che Israele e gli Stati Uniti sono stati «costretti» ad accettare un accordo di tregua e sul rilascio degli ostaggi.
«Seguiremo le fasi di attuazione dell'accordo e, se si verificasse la minima violazione, massacro o assedio da parte di Israele, saremo immediatamente pronti a fornire sostegno militare al popolo palestinese», ha affermato al-Huthi.
Mentre il portavoce Mohammed Abdul Salam ha celebrato il cessate il fuoco senza indicare se gli attacchi alle navi che transitano lungo il Mar Rosso cesseranno o meno, avvertendo al contempo che la «continua occupazione della Palestina» continua a «rappresentare una minaccia per la sicurezza e la stabilità della regione».
La pace si realizzerà - e qui il linguaggio assume toni apocalittici - quando «i nemici sionisti» che rappresentano «un'entità pericolosa per tutti, impiantata con la forza da una forza occidentale americana, saranno eliminati».
In quindici mesi di guerra Hamas appare sempre più sfiancato, ma non sconfitto del tutto, almeno nella retorica incendiaria. C'è chi prevede che dopo la guerra il movimento oggi guidato da Muhammad Sinwar potrebbe evolversi, scendere a compromessi, o addirittura essere emarginato. Ma non si può neanche escludere che possa emergere un Hamas 2.0 maggiormente radicalizzato. Un'incognita che potrebbe investire anche Hezbollah, per ora indebolito in modo massiccio dalla guerra parallela condotta da Israele a nord, ma che potrebbe presto risorgere dalle ceneri.