«I rinforzi stanno arrivando, ma non sottovalutiamo i cecchini»

I vaccini sono il tema caldo del momento: proprio oggi, infatti, l’EMA ha dato il via libera a quello di Moderna. Facciamo il punto sulla situazione internazionale con la biologa Barbara Gallavotti (nella foto sotto), dall’appello lanciato da Pfizer-BioNTech sino ai ritardi accumulati in diversi Paesi, a cominciare dai nostri «vicini di casa».
Pfizer-BioNTech ha avvertito che se altri vaccini non saranno approvati subito, non riuscirà a coprire il fabbisogno, ma le cifre ci dicono che le immunizzazioni procedono a rilento.
«L’abbiamo sempre saputo che un solo vaccino non sarebbe bastato, quindi non è una sorpresa. Da un lato, abbiamo tutte le ragioni di essere entusiasti: non si era mai vista la messa a punto di un vaccino, e per giunta innovativo, in così breve tempo. Dall’altro, dobbiamo stare molto attenti, perché siamo in un momento in cui l’epidemia corre molto velocemente. E anche chi si vaccina, non può pensare di avere una protezione completa prima di circa un mese. Questo è un punto fondamentale: dopo la somministrazione iniziamo un percorso verso la protezione, un percorso che nel migliore dei casi dura 28 giorni. Non solo. Il direttore scientifico di Moderna ha chiarito che al momento le sperimentazioni dicono che i vaccini impediscono alla persona vaccinata di ammalarsi in forma seria, ma non abbiamo alcuna indicazione che le persone vaccinate non trasmettano il virus».

Con il vaccino dunque non potremo abbandonare le misure di protezione.
«Esattamente. Finché non saremo tutti vaccinati non potremo smettere di indossare le mascherine. E prima che tutte le persone siano vaccinate passerà molto tempo, certamente non avverrà prima dell’estate. Inoltre, c’è un altro problema che vedo emergere in questi giorni e che mi preoccupa molto».
Quale?
«Si sospetta che la variante inglese possa essere più contagiosa nella fascia di età tra gli zero e i 9 anni, e tra i 10 e i 19 anni. Proprio i bambini, di cui finora ci eravamo preoccupati meno perché sembravano non avere un ruolo cruciale nella diffusione del virus, non possono ancora essere vaccinati perché come sappiamo il siero è stato testato solo sugli over 16. Quindi, se lasciamo andare troppo la pandemia, corriamo il rischio di trovarci con una fascia di età che può più facilmente contagiarsi ma che non possiamo proteggere con il vaccino. Fortunatamente la variante inglese, sebbene sembri essere più contagiosa, non pare essere più pericolosa».


Le due varianti del virus più preoccupanti fra quelle in circolazione potrebbero ridurre l’effetto del vaccino?
«Le varianti note finora non sembrano compromettere l’efficacia del vaccino. In futuro non si può escludere la comparsa di una variante in grado di resistervi. C’è però una buona notizia: i vaccini basati sull’RNA messaggero (mRNA) sono più facili da riformulare per riadattarli a produrre una molecola che assomigli di più a quella del virus mutato. Il problema è piuttosto di tipo produttivo. Detto in altre parole, se la ricetta è piuttosto semplice da rimettere a punto, il problema è produrre altre centinaia di milioni di dosi e rivaccinare tutti. La speranza è dunque che non emergano varianti del virus in grado di resistere all’immunità indotta dalla vaccinazione. Al momento, tuttavia, non è un pericolo che preoccupa fortemente».
Il vaccino di Pfizer-BioNTech viene già somministrato, oggi invece ha ottenuto il via libera dell’EMA quello di Moderna. A che punto siamo con gli altri?
«Johnson & Johnson arriverà forse in primavera e prima ancora si spera AstraZeneca che aveva ottime probabilità di arrivare addirittura prima degli altri, ma c’è stato un problema nella sperimentazione. Questo è un vaccino estremamente interessante, sia per la formulazione – basata su un virus innocuo, modificato in modo da innescare una risposta immunitaria contro il coronavirus – sia perché è molto più economico e facile da distribuire. Il fatto che arriveranno vaccini di diversa formulazione è un bene. Pensiamo agli episodi allergici che finora sono stati registrati durante la somministrazione del vaccino Pfizer-BioNTech. In realtà sono rarissimi, su molte centinaia di migliaia di dosi già iniettate i casi di reazione allergica si contano praticamente sulla punta delle dita. Inoltre, ci sono fondati sospetti sul perché si sono verificati. Sembrano essere legati alla presenza di una molecola che si usa per stabilizzare quella vescicoletta di lipidi (grassi) che contiene la molecola di RNA. Il vaccino, ricordiamo, di base è costituito da una molecola di RNA inclusa in una vescicoletta di grassi. Per stabilizzarla, Pfizer e Moderna utilizzano una particolare molecola che è presente anche in altri farmaci, si chiama glicole polietilenico. Il sospetto è che alcune persone predisposte possano avere una reazione allergica a questa sostanza, soprattutto se sono entrate già in contatto con essa nel passato. Per queste persone un vaccino diverso potrebbe essere preferibile e il fatto che presto ci troveremo ad avere vaccini differenti è una buona notizia: ciascuna formulazione potrebbe essere più adatta per categorie diverse di persone».
Perché l’Europa sta incontrando queste difficoltà col vaccino?
«L’Europa e la Svizzera hanno dato il via libera al vaccino di Pfizer con leggerissimo ritardo rispetto agli inglesi. Non si tratta tuttavia di un distacco importante. Credo sia stato più che giustificabile attendere che le agenzie del farmaco ritenessero di aver elaborato tutti i dati possibili. Certo, guardando la tabella di marcia di Israele – con una popolazione simile alla Svizzera - che punta a immunizzare il 25% della popolazione entro fine mese, è chiaro che siamo stati molto meno aggressivi. E non è né una questione di tempi di approvazione, né di capacità tecnica e operativa. Credo che ogni Paese in Europa abbia cercato di fare il meglio, contando anche sulla possibilità di tenere a bada il virus combinando il graduale processo di vaccinazione con il mantenimento di cautele come l’utilizzo delle mascherine. Quello che preoccupa ora, però, è lo spettro di una variante più contagiosa, che rischia di sparigliare le carte».


Come leggere i ritardi nella vaccinazione in Francia e in alcune regioni italiane, soprattutto la Lombardia?
«Mi riesce difficile trovare una spiegazione accettabile. In Italia la situazione è molto disomogenea: il Lazio sta procedendo bene, mentre la Lombardia ha faticato di più. Temo che in questi casi si tratti di un problema di gestione del sistema sanitario. In Svizzera, al contrario, lo scenario previsto rischia di essere modificato da fattori inattesi, come appunto la mutazione del virus. L’altra grande incognita è rappresentata dai ritardi nella possibilità di approvare vaccini su cui si faceva grande affidamento, come AstraZeneca. Resta fondamentale non pensare di poterci rilassare, ora che abbiamo il vaccino».
Secondo lei è quello che sta succedendo?
«Ho l’impressione di guardare quei film della Seconda guerra mondiale in cui le truppe alleate stanno arrivando e bisogna cercare di non essere vittima degli ultimi cecchini. Le truppe, i vaccini, stanno arrivando, ma la guerra non è ancora finita e se scendiamo in strada adesso rischiamo di venire colpiti dall’ultimo cecchino. E questo rischio va scongiurato».
Il vaccino è considerato una risorsa essenziale per fermare la pandemia, eppure cresce il fronte degli scettici . Come si spiega questa resistenza?
«Credo si debba distinguere molto nettamente tra chi è contrario a qualunque vaccinazione, e si tratta di una minoranza, e coloro che sono preoccupati all’idea di doversi sottoporre a un vaccino nuovo. Sono certa che questo tipo di preoccupazioni crolleranno non appena ci si renderà conto che i vaccinati sono milioni e non vi sono effetti gravi avversi. L’opposizione, a mio avviso, si affievolirà molto una volta terminata la prima ondata di vaccinazioni. Un vaccino viene approvato quando i rischi e gli effetti avversi del vaccino sono nettamente minori non della malattia, ma addirittura della possibilità di contrarla. Dunque è decisamente più conveniente vaccinarsi piuttosto che anche solo rischiare di contrarre l’infezione. Certo, non possiamo dire di conoscere possibili effetti a lunghissimo termine del vaccino. Allo stesso modo, tuttavia, non conosciamo gli effetti a lungo termine nemmeno del coronavirus».


Potrebbe essere utile introdurre dei vincoli per la vaccinazione?
«Abbiamo osservato che uno degli elementi che fa crescere il fronte degli oppositori è l’obbligatorietà. Rendere obbligatoria una vaccinazione è una sconfitta, vuol dire dichiarare l’incapacità di convincere le persone. Mettere dei vincoli può essere diverso. Già ora per andare in vacanza in alcuni Paesi sono necessarie delle vaccinazioni. Spero non si arrivi al punto di dover imporre la vaccinazione, chi però lavora con persone particolarmente fragili ha secondo me il dovere morale di vaccinarsi. Chi lavora in una casa per anziani, ad esempio, non può pensare di non vaccinarsi. Sarebbe come un bagnino che non vuole tuffarsi in mare perché ha la fobia dell’acqua».
Perché la strategia europea punta a vaccinare prima le fasce più deboli della popolazione anziché i giovani, che si ammalano più difficilmente ma possono trasmettere il coronavirus?
«Intanto, al momento non sappiamo se il vaccino impedisca di infettarsi e di contagiare, quindi vaccinare i giovani vorrebbe dire proteggere dalla malattia la fascia che meno probabilmente può manifestare effetti gravi, ma senza la certezza che non continui a diffondere il virus. Vaccinare i più giovani quindi non darebbe nessuna libertà in più alle fasce deboli: dovrebbero comunque proteggersi. L’epidemia sta rubando ad alcune persone la possibilità di godere appieno dell’ultima parte della loro vita. Pensiamo a una persona molto anziana che ha dei nipotini: si perde gli anni della loro crescita per il pericolo di contrarre il virus. È terribile. Molti anziani deceduti lo scorso anno hanno passato gli ultimi mesi della loro vita in una condizione di privazione di libertà e affettiva gravissima, è fondamentale quindi poter restituire loro la libertà che meritano».


Quando ne usciremo secondo lei?
«Per me un momento importante sarà quando potrò tornare a vedere serenamente le persone fragili della mia famiglia, senza le mascherine il distanziamento, quando potrò tornare a cenare con loro. Questo potremo farlo quando ciascuno di noi sarà vaccinato. Se invece per normalità intendiamo ad esempio la possibilità di andare a vedere in tanti e con la serenità del passato una partita di hockey, cantare i cori e abbracciarci tra sconosciuti, ci vorrà un po’ di più. Credo che saremo abbastanza fuori dal tunnel verso la fine della primavera e l’inizio dell’estate. Attualmente ci troviamo nel momento più buio, ci sono troppe vittime, troppi contagi e siamo stanchi. Ma vediamo anche la luce. Quindi dobbiamo raccogliere tutte le energie e non dobbiamo mollare».
In futuro sarà necessaria una vaccinazione annuale come avviene per l’influenza?
«È la grande domanda, non sappiamo ancora quanto dura l’eventuale protezione data dal vaccino. Ogni anno noi dobbiamo ripetere la vaccinazione dell’influenza perché cambia il virus. Col coronavirus, potrebbe invece essere necessaria perché la risposta immunitaria si fa troppo debole. È difficile che il virus sparisca dal pianeta, è probabile che tornerà ad ondate. Dovremo continuare a metterlo nella lista dei nostri nemici e nei calendari vaccinali. Ma speriamo diventi solo uno dei tanti microbi dai quali abbiamo imparato a difenderci, non più il nemico numero uno».