I tanti nodi da sciogliere a Riad prima di poter parlare di pace

I funzionari statunitensi incontrano in queste ore i negoziatori ucraini e russi in Arabia Saudita, a Riad, per discutere i dettagli di una proposta di tregua della durata iniziale di 30 giorni. Al momento, non si parla di una tregua totale, ma del possibile, reciproco impegno a non colpire infrastrutture strategiche. Troppo poco per parlare di pace. E troppo presto per dare l’ordine di cessate il fuoco.
Per gli emissari di Kiev si tratta di condizioni difficilmente digeribili, poiché le forze russe in questi anni hanno colpito indistintamente obiettivi militari e obiettivi civili. Anche ieri, nella sola capitale ucraina ci sono stati 4 morti, e in tutto il Paese i raid russi sono stati martellanti.
Il rischio di restare esclusi
Durante i primi giorni di colloqui andranno sciolti alcuni nodi preliminari. Dopo la telefonata Trump-Putin, il Cremlino ha ribadito l’intenzione di negoziare, ma «bilateralmente». Dunque, esclusivamente con gli USA. La Casa Bianca non ha preso una posizione chiara, lasciando quindi che Kiev non venisse considerata un’interlocutrice da Mosca. Non a caso, i negoziatori russi e ucraini non saranno nella stessa stanza, ma dialogheranno separatamente con i funzionari della Casa Bianca.
Le questioni salienti sono numerose e si trascinano da prima dell’aggressione russa del 2022. Putin e Trump hanno concordato, la scorsa settimana, «che il movimento verso la pace inizierà» con una pausa di 30 giorni negli attacchi alle strutture energetiche russe e ucraine. Mosca ha accusato l’Ucraina di avere fatto saltare in aria un deposito di petrolio nel sud della Russia, mentre Kiev ha rinfacciato ai russi di avere bersagliato deliberatamente, proprio dopo l’annunciata tregua di Putin, obiettivi civili come ospedali, case e ferrovie.
Dall’energia al mare
Il leader ucraino Zelensky ha annunciato la preparazione di un elenco di strutture che potrebbero essere soggette a un cessate il fuoco parziale e che potrebbe includere anche infrastrutture ferroviarie e portuali, dopo che nei giorni scorsi nuovamente la città di Odessa è stata duramente colpita proprio a ridosso dell’infrastruttura marittima, la più trafficata del Mar Nero prima del conflitto. Una moratoria di questa portata potrebbe favorire Mosca più di Kiev, perché impedirebbe alle forze armate ucraine di condurre attacchi a lungo raggio contro le strutture petrolifere russe, grazie alle quali i mezzi militari di Mosca vengono alimentati per le operazioni in Ucraina.
Zelensky ha detto di aver discusso con Trump dell’impianto nucleare di Zaporizhzhia, occupato dai russi, promettendo agli USA un coinvolgimento nell’ammodernamento dell’impianto che prima del conflitto forniva al Paese oltre il 20% del fabbisogno elettrico. La Casa Bianca potrebbe essere interessata, ma al momento sembra più intenzionata ad accaparrarsi il controllo delle «terre rare» che potrebbero garantire a Washington introiti certi per i prossimi decenni.
Nel dossier diplomatico entrerà a far parte la sicurezza marittima. Turchia e Nazioni Unite avevano contribuito a mediare per il cosiddetto «Corridoio del grano», che inizialmente aveva permesso l’esportazione in sicurezza di quasi 33 milioni di tonnellate di cereali ucraini attraverso il Mar Nero. Dopo un anno, Mosca si è ritirata dall’intesa, lamentando di essere penalizzata dalle sanzioni che hanno limitato il suo export di cibo e fertilizzanti.
Una guerra di nervi
Le schermaglie che precedono i colloqui appartengono alla guerra di nervi prima dell’effettiva mediazione e non chiudono ermeticamente la porta al dialogo. Russia e Ucraina, nei giorni scorsi, si sono scambiate, ciascuna, 175 prigionieri di guerra. Inoltre, Mosca ha consegnato di propria iniziativa altri 22 prigionieri ucraini gravemente feriti, in quello che il ministero della Difesa russo ha definito «un gesto di buona volontà».
Il Cremlino vuole che l’Ucraina abbandoni ufficialmente le sue ambizioni di entrare nella NATO. Kiev risponde ribadendo che l’ingresso nell’alleanza militare è uno degli obiettivi indicati nella Costituzione e afferma che l’adesione al blocco è un obiettivo da raggiungere.
In realtà si tratta di una ipotesi lontana. L’entourage di Zelensky sa che una rinuncia alla NATO sarebbe risarcita da un ingresso a tappe forzate nell’Unione europea, dove però il veto di Paesi come l’Ungheria è visto come un serio ostacolo, oltre che un favore a Putin. L’Ucraina, in altre parole, non può permettersi di perdere una porzione di territorio senza ottenere in cambio la certezza di poter aderire al club di Bruxelles, con il corollario di garanzie di sicurezza che derivano dall’appartenere all’Unione europea.
Tra Europa e Cina
Gran Bretagna e Francia stanno portando avanti un piano per creare una forza di deterrenza composta da truppe sul terreno, navi e aerei posti a protezione dell’Ucraina, ma i dettagli su come opererebbe la forza e chi vi contribuirebbe non sono ancora chiari. Mosca ha già detto di no.
Sorprendentemente, la Cina ha fatto sapere di poter prendere in esame una propria partecipazione militare, ma con un diverso formato. Per la Russia sarebbe un’arma a doppio taglio: Pechino non farebbe interessi contrari a Mosca, ma se assumesse un ruolo di garanzia non potrebbe consentire a Putin di violare i patti sconfessando il ruolo della Cina.
I media locali, intanto, guardano con diffidenza al negoziato, dopo che l’inviato di Trump, Steve Witkoff, ha ripetuto nel corso di un’intervista gli argomenti adoperati dal Cremlino contro Kiev, perfino ritenendo legittimi i referendum-farsa celebrati nei territori occupati e mai riconosciuti dalla comunità internazionale. Ma, come scrivono i giornali della capitale ucraina, c’è un altro argomento a far temere. Sabato sera il presidente Trump ha dichiarato che gli sforzi per porre fine alla guerra in Ucraina sono «abbastanza sotto controllo». Poche ore dopo, la Russia lo ha smentito, scatenando un nuovo raid contro la capitale ucraina e uccidendo tre civili, tra cui una bambina di 5 anni e suo padre. Non bastasse, domenica sera, poco dopo il tramonto, c’è stata un’esplosione in un commissariato di Polizia nella regione di Odessa. Le autorità parlano di attentato. Segno che la tregua e la pace non sono dietro l’angolo e non saranno indolori.