Musica

Il chitarrista di Battisti: «Il suo documentario un'occasione persa»

Massimo Luca, che ha accompagnato quattro album del grande cantautore, spiega: «Difficile capire la decisione di ignorare i cinque album con Panella. Non si rende onore alla memoria di Lucio»
Lo storico duetto del 1972 tra Lucio Battisti e Mina, con alle spalle Massimo Luca alla chitarra - © Rai
Mattia Sacchi
28.09.2023 11:52
Alza il finestrino che stoniamo Battisti. Mi ritorni in mente uoh-oh-oh-oh-oh

Il tanto criticato testo di Disco Paradise, critiche a cui ha contribuito in modo significativo anche il «nostro» Paolo Meneguzzi, è stato a quanto pare premonitore di quanto sarebbe successo in questa fine estate 2023, dove il nome di Lucio Battisti è stato decisamente stonato.

Ma per capirne di più riavvolgiamo il nastro della storia. Neanche troppo a dire il vero, basta tornare allo scorso 13 settembre, quando Rai1 ha trasmesso «Lucio per amico. Ricordando Battisti». Un docufilm per ricordare i 25 anni della scomparsa del grande cantautore italiano, che però è stato al centro di feroci critiche, in particolare per il ruolo considerato troppo centrale da parte di Mogol nella narrazione degli eventi. Tanto che tutti gli album successivi alla collaborazione tra Battisti e il celebre paroliere non sono stati neanche nominati, omettendo quindi le importanti produzioni assieme a Pasquale Panella. 

Come se non bastasse, le critiche al documentario Rai si sono ulteriormente inasprite dopo le dichiarazioni di Grazia Letizia Veronese, vedova di Battisti che ha colto l'occasione per ricordare come Mogol, nonostante le dichiarazioni d'affetto verso il cantante scomparso nel 1998, in realtà abbia intentato diverse cause in tribunale contro di lui dopo la sua morte. Secondo Veronese, le parole di Mogol sarebbero quindi poco sincere, soprattutto quelle inerenti alla tanto famosa quanto misteriosa lettera scritta a Battisti pochi giorni prima della sua morte e che sarebbe stata fatta recapitare di nascosto grazie a un medico. Accuse a cui l'ex presidente della Siae ha prontamente replicato, proseguendo una diatriba che, oggettivamente, non rende onore alla memoria di Lucio Battisti.

«È una brutta storia ed un'opportunità persa. Poteva essere l'occasione per celebrare uno dei più grandi geni della storia della musica italiana. E invece sarà ricordata per le polemiche e gli attriti mai sopiti tra due persone». A parlare è Massimo Luca, chitarrista che ha vissuto in prima persona la genesi del mito di Battisti, essendo stato al suo fianco in quattro dei suoi dischi fondamentali oltre ad essere stato uno dei «cinque amici di Milano» che, nel 1972, lo accompagnarono nello storico duetto con Mina a Teatro 10. 

«Anche io ho avuto screzi con Veronese in passato - racconta Luca - però è difficile non essere d'accordo con lei in questa occasione: il documentario è incompleto e probabilmente la responsabilità è di Giulio. Sembra quasi che senza di lui non ci sia stato un prima e soprattutto un dopo nella carriera di Lucio: non so se la produzione Rai si sia fatta condizionare dall'ego di Mogol o da altre scelte «artistiche», ma non raccontare ad esempio dei dischi con Panella è stata davvero un'ingiustizia, che peraltro va contro lo stesso spirito di Battisti».

In che senso? «È vero che dopo Mogol ha intrapreso una strada molto più sperimentale, con album che non hanno avuto successo come quelli precedenti. Ma in realtà è un percorso assolutamente coerente nella ricerca musicale di Lucio, che già nei suoi album più famosi ha sempre inserito canzoni all'apparenza anomale con il resto del disco, come Questo Inferno Rosa ne Il Nostro Caro Angelo del 1973 o Respirando in Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera del 1976. Per questo la pentalogia con Panella è assolutamente interessante e mostra come il suo genio musicale abbia saputo rinnovarsi ed evolvere nel tempo. Senza raccontare questa fase della sua vita una sua biografia è semplicemente incompleta: la decisione della Rai di pubblicare un documentario che di fatto è monco è incomprensibile».

La colpa però non può essere solo di Mogol, in fondo tanti altri artisti hanno partecipato al documentario: «Sì, ma raccontando cose assolutamente superficiali. Molte interviste sono state assolutamente deludenti: ovvio, bisogna vedere quello che è stato chiesto loro e quello che è stato tagliato. Questo conferma le mie perplessità sul lavoro dei produttori Rai. Mi sono sentito a disagio nel vederlo».

Nella polemica si è parlato pure della lettera che Mogol avrebbe fatto recapitare a Battisti sul letto di morte. «Rimane un mistero e ho come l'impressione che non sapremo mai la verità. Da una parte c'è la parola della vedova di Lucio la quale, anche a causa del suo carattere, l'attendibilità è però compromessa. Ma è difficile anche credere che una persona che sta morendo, nel pieno delle sue sofferenze, possa aver letto una missiva ricevuta di nascosto, con i parenti tutti attorno, ed aver espresso qualche particolare commento. Per quanto io non sia certo figlio del raziocinio, devo ammettere che l'esoterismo di Mogol, espresso tra sogni e contatti con l'aldilà anche nell'Arcobaleno, mi lascia perplesso. Spero tuttavia che sia sincero».

Tu hai mai avuto visioni post mortem su Battisti? «Decisamente no. Preferisco ricordare i momenti vissuti insieme: sono onorato di aver fatto parte della sua storia e di aver avuto il suo rispetto, che ci ha permesso di salutarci affettuosamente anche l'ultima volta che ci siamo visti. Eravamo in centro a Milano di fronte a un negozio, lui mi chiese quanto ero ingrassato e io gli risposi che anche lui avrebbe dovuto guardarsi allo specchio. Mentre ridevamo è arrivata una ragazza per chiedergli l'autografo e lui disse che in realtà era solo uno che ci assomigliava, per la delusione della giovane. Quando lo guardai stranito mi spiegò che voleva che la gente si innamorasse non dell'uomo ma della sua musica. Visto quello che ha fatto nella sua vita, sparendo progressivamente dalle scene, penso che fosse assolutamente sincero. Forse è proprio questa passione smisurata e incondizionata per la musica, che andava al di là del personaggio, che il documentario Rai avrebbe dovuto raccontare. Peccato che così non sia stato».