Il Giappone lancia la sfida dei 4 giorni di lavoro

Se ne parla da anni, ma sono sempre rimaste solo parole al vento. Adesso le cose potrebbero subire una svolta inaspettata, specialmente se il passo avanti viene fatto dal Paese icona del lavoro e dell’ultra produttività. Stiamo parlando del Giappone che ha incluso nelle linee guida annuali di politica economica la possibilità per i dipendenti di lavorare quattro giorni a settimana al posto dei canonici cinque per migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata. I motivi di questo cambio di rotta sono molteplici e sono tutti, guarda caso, riconducibili alla crisi pandemica che ha sì distrutto tanto, ma ha anche costruito una solida consapevolezza: i dipendenti non hanno bisogno di essere fisicamente in ufficio per essere produttivi.
Pro e contro
Nel proporre la settimana lavorativa di quattro giorni, il Paese del Sol Levante imbocca la stessa strada di alcune aziende in Spagna, Nuova Zelanda, Finlandia, Norvegia e Gran Bretagna che hanno dato luce verde alla sperimentazione che prevede la riduzione dell’orario d’impiego. In Italia, ad esempio, una società di Milano ha confermato il progetto pilota avviato nel gennaio del 2020 che riduceva la settimana lavorativa a quattro giorni a parità di stipendio.
I motivi, dicevamo, che hanno spinto il Giappone del post pandemia a tentare di limare un concetto di lavoro ai limiti dello stacanovismo sono diversi, in primis quello di dare una spinta all’economia. Le autorità sperano infatti che concedere un giorno libero in più ogni settimana incoraggerebbe le persone a uscire e spendere stimolando così l’economia. In secondo luogo, le aziende sarebbero in grado di non lasciarsi scappare personale esperto che altrimenti potrebbe rescindere il rapporto di lavoro per mettere su famiglia o prendersi cura di parenti anziani. Collegato a questo aspetto troviamo anche il problema del tasso di natalità: con un giorno in meno di lavoro alla settimana i giovani avrebbero più tempo per incontrarsi, sposarsi e avere figli, andando in qualche modo a smussare gli spigoli della problematica relativa alla demografia nazionale. Per citare un esempio pratico, la filiale di Microsoft in Giappone aveva già provato a sperimentare le 32 ore settimanali nell’estate del 2019 e i dati di produttività avevano visto una crescita del 40%.
Il risvolto della medaglia, però, non è per niente positivo. La maggior preoccupazione dei dipendenti è quella del taglio di stipendio. In sostanza, meno ore di lavoro quindi meno soldi. Inoltre, alcune piccole e medie imprese potrebbero non potersi permettere di dare giorni extra di riposo ai lavoratori, perciò potrebbero trovare degli escamotage per tagliare i costi applicando la settimana lavorativa di quattro giorni anche a chi non lo desidera. Fondamentale, quindi, un quadro legale che garantisca tutela e diritti ai lavoratori.
Morti per troppo lavoro
Putroppo le pagine dei quotidiani giapponesi non sono esenti da storie di giovani dipendenti che si ammalano a causa dell’accumulo di ore di lavoro e si tolgono la vita per via dello stress. Il fenomeno è conosciuto come «karoshi», o morte per superlavoro, e le indagini svolte dopo i decessi determinano che i lavoratori sono morti dopo aver accumulato oltre 100 ore di straordinari per mesi.