«Il giornalismo USA è a rischio, i Pulitzer sono un incoraggiamento contro le pressioni di Trump»

L'approfondimento del Wall Street Journal su Elon Musk. Il servizio di ProPublica dedicato al dramma di alcune donne incinte, morte in Stati con leggi severe contro l'aborto. Ma anche la copertura «urgente e illuminante» del Washington Post sul tentativo di assassinio di Donald Trump. Sono solo alcuni degli articoli che hanno vinto il premio Pulitzer 2025. Premi che si inseriscono in un quadro drammatico: la situazione del giornalismo negli Stati Uniti, infatti, è piuttosto critica. Lo confermano i dati di Reporters Sans Frontières diffusi la scorsa settimana. Gli USA, nell'ultimo anno, hanno perso due posizioni nella classifica della libertà di stampa, scivolando al 57. posto. Ma come si deve interpretare questo peggioramento, in relazione a quelli che sono stati gli articoli premiati alla Columbia University? Ne abbiamo parlato con Colin Porlezza, professore associato di giornalismo digitale e direttore dell'Istituto di Media e Giornalismo (IMeG) dell'Università della Svizzera italiana (USI).
Una «profonda crisi»
Prima di capire che significato abbiano i premi Pulitzer di quest'anno è doveroso fare un passo indietro e inquadrare quella che è la situazione del giornalismo statunitense oggi. Situazione che l'esperto definisce «di profonda crisi, dopo un secolo di progressiva espansione anche dei diritti della stampa». Come spiega il nostro interlocutore, il giornalismo negli Stati Uniti è stato «abbastanza bene» a lungo e, anche economicamente parlando, ha sempre goduto di una grande libertà. «Questo è dovuto anche al fatto che, dal punto di vista della Costituzione americana, la libertà di stampa e soprattutto la libertà di espressione sono dei diritti fondamentali, ma interpretati abbastanza largamente, motivo per cui i media, tradizionalmente, ne hanno sempre beneficiato». Le cose, al momento, sono però diverse. «Ora, sebbene il sistema mediatico operi ancora – almeno da un punto di vista formale – libero da interferenze governative, la realtà è un po' più complessa».
Secondo il professor Porlezza stiamo assistendo a una crescente polarizzazione e politicizzazione dei media negli Stati Uniti. «È una situazione che si può vedere in due modi diversi. Uno, più classico, è quello che troviamo per esempio in Fox News, ossia nel rapporto che il giornalismo ha con la politica, che opera su un modello che possiamo definire di collateralismo. In questi casi, la testata rappresenta e ingloba le posizioni politiche del governo, o almeno di correnti politiche specifiche. D'altro canto, però, emergono anche nuove tendenze, che si manifestano attraverso casi di proprietà un po' particolari come quella di Jeff Bezos, creatore di Amazon e al tempo stesso proprietario del Washington Post». Bezos ha esercitato un’influenza crescente sulle scelte editoriali del quotidiano, intervenendo, ad esempio, per impedire la pubblicazione di una vignetta critica non solo nei confronti di Donald Trump, ma anche di se stesso e altri magnati delle big tech americane, che li raffigurava inginocchiati davanti a Trump mentre si prepara alla sua seconda presidenza degli Stati Uniti.


Oltre a questo, secondo il professore, negli Stati Uniti si registra da parte dei cittadini americani un sentimento di sfiducia sempre più spiccato nei confronti della stampa. «Dalla parte di chi consuma le notizie possiamo vedere uno scetticismo crescente, insieme a una sfiducia nei media e, anche più in generale, nelle istituzioni». E, in ultimo, c'è anche una problematica crescente, considerata una delle più importanti, ossia quella legata alla situazione economica. «Gran parte delle aziende mediatiche negli Stati Uniti soffre di una situazione economica non solo incerta, ma anche difficoltosa», sottolinea Porlezza. Guardando i numeri, negli ultimi due decenni circa un terzo dei quotidiani attivi nel 2005 ha chiuso, mentre oltre 8.000 giornalisti sono stati licenziati dal 2022. «Sono numeri importanti, motivo per cui bisogna sempre tenere a mente che quando parliamo di giornalismo negli Stati Uniti non dobbiamo focalizzarci solo su testate come il New York Times, il Washington Post o il Wall Street Journal. Al contrario, esiste uno strato di giornalismo comunque importante – quello regionale e locale – che si trova sotto un'enorme pressione economica». In altre parole, si stanno formando i cosiddetti news deserts, ossia dei «deserti informativi»: aree dove non esiste più alcuna testata giornalistica. «Le persone sono costrette a informarsi attraverso fonti digitali, che però non necessariamente forniscono notizie sulle regioni geografiche in cui vivono».
Questo, insomma, è uno dei problemi principali del giornalismo americano, a cui si collega anche il fatto che i modelli di business tradizionali, basati sulla pubblicità, non funzionano più. «Questa situazione si verifica perché la maggior parte degli introiti pubblicitari ora va alle piattaforme social. Inoltre, c'è una riduzione considerevole del numero di abbonati, che al momento rappresentano la base su cui si appoggiano ancora le aziende mediatiche». Nel momento in cui calano anche quei dati, insomma, diventa ancor più difficile avere delle entrate.
Il ritorno di Trump
Ma a questo quadro economico drammatico si aggiunge anche quello politico, cambiato ulteriormente dopo la fine dell'amministrazione Biden. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca, infatti, secondo Colin Porlezza ha avuto un'influenza «abbastanza significativa» sul peggioramento della posizione statunitense nella classifica sulla libertà di stampa di RSF.
«Questo, sicuramente, non è solo l'effetto collaterale della crisi economica, che magari contribuisce in maniera liminale a una decrescente libertà di stampa, magari a causa del fatto che le aziende mediatiche non hanno semplicemente più le risorse economiche per difendersi in tribunale». Il sistema giudiziario negli Stati Uniti, infatti, può essere molto oneroso a causa dei grandi processi di diffamazione, sdoganati, in particolare, proprio da Donald Trump. A tal proposito, il presidente, anche durante il suo primo mandato, aveva fatto della questione uno dei cardini della sua retorica politica, parlando insistentemente di fake news e di media come nemici del popolo. «Una continua delegittimazione che è anche una strategia che aumenta ulteriormente la pressione sui media», osserva Porlezza.
In questo secondo mandato, cominciato da pochi mesi, la pressione, però, è diventata ancor più concreta. «Lo possiamo vedere anche da un punto di vista istituzionale. La pressione è aumentata anche attraverso la politicizzazione della Federal Communications Commission, che è quello che possiamo definire l'ente regolatore indipendente dei media negli Stati Uniti. In tal senso, abbiamo visto dei tentativi di smantellare servizi pubblici come Voice of America, oppure di togliere ulteriormente finanziamenti federali a media del servizio pubblico, come la National Public Radio». Inoltre, anche i processi specifici sono aumentati, come l'ultimissimo, ancora in corso, in cui Donald Trump ha fatto causa a 60 minutes per un'intervista a Kamala Harris che, durante, la campagna elettorale, l'avrebbe favorita.
Capita anche, però, che venga addirittura pagata una somma a Donald Trump, per evitare di andare a processo. Situazione che si era già verificata con la ABC e il Washington Post. «Le aziende mediatiche si piegano e sono d'accordo a pagare dei soldi per non rischiare di andare incontro a un processo. Nonostante la protezione della libertà di espressione sia forte negli Stati Uniti, finire in tribunale con il presidente potrebbe avere conseguenze imprevedibili.


Un segnale per il giornalismo
Inquadrata la situazione generale del giornalismo negli Stati Uniti, possiamo parlare dei premi Pulitzer consegnati negli scorsi giorni. «Anche qui, però, bisogna fare delle premesse. Innanzitutto, è opportuno ricordare che Trump ha fatto causa al comitato dei Pulitzer nel 2022, accusandolo di aver premiato articoli che, a suo dire, diffondevano falsità sui suoi legami con la Russia». Già durante la campagna elettorale, dunque, i rapporti tra il presidente e il comitato non erano rosei. «Oltre a questo, i premi Pulitzer sono collocati alla Columbia University: un'università prestigiosa con un'importante facoltà di giornalismo. Ma da qualche tempo, ormai, proprio la Columbia è diventata uno dei target di Trump, per quanto concerne i tagli ai fondi pubblici». Una situazione che, secondo il nostro interlocutore, spiega per quale motivo a essere premiati, quest'anno, siano stati per lo più i «media nemici di Donald Trump».
«A mio modo di vedere le cose», valuta Porlezza, «i Pulitzer di quest'anno possono essere interpretati come una specie di incoraggiamento o come una risposta alle continue pressioni e critiche. Non solo nei confronti del comitato o della Columbia, ma anche più in generale all'istituzione del giornalismo negli Stati Uniti». Come spiega il professore, non è un caso che le storie e le inchieste premiate ruotino non solo attorno a Donald Trump o alle persone che fanno parte della sua amministrazione, come Elon Musk, ma anche ad altre questioni legate alla politica attuale. Ne sono una prova il riconoscimento ottenuto da ProPublica per il suo articolo che mette in luce le tragiche conseguenze delle leggi anti-aborto, oppure i reportage sul Fentanyl. «Sono inchieste legate, se non direttamente all'amministrazione attuale o ai suoi rappresentati, alle conseguenze di quelle pressioni politiche provenienti da una certa corrente, che hanno portato a dei cambiamenti significativi».


Da una parte, quindi, secondo il professore, si può certamente interpretare l'assegnazione come una sorta di "spinta". «Un segnale che il giornalismo negli Stati Uniti è ancora capace di fare il suo lavoro. È indipendente, ed è necessario fare le inchieste. Anche perché, se non vengono fatte dai giornalisti, chi altro può farle?». Dall'altra parte, però, non si deve dimenticare il contesto attuale della stampa statunitense, che abbiamo descritto in precedenza. «In questi casi dobbiamo ricordare che parliamo di testate giornalistiche di élite, come il New York Times e il Washington Post. Testate privilegiate che hanno ancora tantissime risorse, soprattutto finanziarie. Nel resto del Paese, però, a livello regionale e a livello locale, il giornalismo è in una situazione incredibilmente problematica». Nei singoli Stati, nelle singole contee, il giornalismo è sotto forte pressione. Non solo economica, ma anche a livello politico. «Negli ultimi anni si è cercato di rafforzarne l'indipendenza, nonostante il fatto che, grazie al primo emendamento, le testate giornalistiche sono già abbastanza protette. Diversi tentativi, però, sono falliti. E questo, insieme al crescente scetticismo e alla sfiducia da parte del pubblico nel giornalismo stesso, è la causa di una miscela abbastanza esplosiva».