Il mega-carcere nel cuore di New York

Chinatown, New York. La casa, per quasi due secoli, di molti immigrati asiatici. Costretti a vivere, a volte sopravvivere, in spazi stretti. Ora, però, il quartiere sta guadagnando l'attenzione dei media per un altro motivo. Un palazzo che fungerà da mega-carcere. Una struttura, va da sé, che un domani potrebbe scombussolare (e non poco) gli equilibri – di per sé già delicati – della zona. Dopo aver resistito a disastri come l'11 settembre o l'uragano Sandy, e dopo aver superato l'emergenza coronavirus, gli esercenti temono che l'arrivo di una prigione a pochi passi dai loro commerci affossi, una volta per tutte, i loro affari.
Un progetto necessario
I funzionari cittadini e i sostenitori della riforma della giustizia, come spiega il Guardian, hanno ribadito che il nuovo carcere è un progetto necessario. Soprattutto se l'intenzione è quella di chiudere Rikers Island, come confermato dal Consiglio comunale nel 2019. Un carcere, Rikers Island, tristemente famoso e dipinto più volte dal cinema hollywoodiano. Con il suo voto, il Consiglio comunale di New York aveva ordinato di sostituire Rikers – entro il 2027 – con quattro prigioni più piccole sparse nella citta. Tra cui, appunto, quella di Chinatown che, stando ai suoi progettisti, sarà un istituto più «umano». E, ancora, più vicino ai tribunali di Manhattan.
Il palazzo, secondo i piani, sostituirà un carcere più piccolo istituito nello stesso posto negli anni Ottanta. La costruzione della «prigione più alta del mondo», come è stata ribattezzata, tuttavia è in ritardo. In forte ritardo. Anche perché, alla sua realizzazione, si è opposta una coalizione piuttosto nutrita ed eterogenea: abolizionisti delle carceri, proprietari terrieri locali, perfino (a un certo punto) il sindaco Eric Adams il quale, in campagna elettorale, si era impegnato a opporsi al palazzo-prigione. La principale critica al progetto è di natura estetica: una torre del genere, che svetterà su Chinatown, assomiglia al classico pugno in un occhio. Di più, il costo dell'opera (si parla di molti miliardi di dollari) potrebbe essere trasferito altrove.
Adams ha cambiato idea?
Adams, dopo il suo insediamento, ha cambiato idea. E le squadre di operai, nel frattempo, sono sul posto. I lavori di demolizione sono cominciati mentre il cantiere, nell'insieme, potrebbe rimanere aperto per un decennio. Con tutte le conseguenze del caso, di nuovo, per gli esercenti del quartiere.
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: com'è possibile che New York abbia consentito la costruzione di una struttura carceraria così imponente (e, di riflesso, controversa) nel cuore del suo centro cittadino? Si tratta, volendo riprendere il Guardian, di un simbolo sinistro di incarcerazione di massa o, piuttosto, di un modo per rimediare ai mali del passato?
La risposta è legata a doppio filo a Rikers Island, nell'East River, isola a pochi passi dall'aeroporto LaGuardia nonché sede di una delle strutture penali più dure e complicate del Paese. Sebbene l'85% dei detenuti di Rikers non sia stato condannato e sia, semplicemente, in attesa di un processo, il detenuto medio è trattenuto nella struttura per quasi quattro mesi – quattro volte la media nazionale – mentre un numero inquietante di persone vi rimane per anni o, peggio, vi muore.
Nel 2023, ribadisce il Guardian, sono morti sette detenuti. Portando a ventisei il numero di decessi da quando Adams è sindaco di New York. Un bilancio che i procuratori federali hanno definito fallimentare. E le cui radici, manco a dirlo, sono «profonde». Dalle indagini svolte sono emersi particolari terribili: edifici fatiscenti, condizioni igieniche precarie e abusi sistematici da parte delle guardie.

Da Chinatown a Jailtown
Il punto, insomma, non è chiudere Rikers: su quel fronte, verrebbe da dire, sono tutti concordi. Il punto, semmai, è che cosa fare (e costruire) dopo. L'idea alla base delle carceri di quartiere, se così vogliamo definirle, è proprio quella di umanizzare il sistema. Detto di Chinatown, le altre prigioni dovrebbero sorgere a Brooklyn, nel Queens e nel Bronx. L'obiettivo, soprattutto, è che i detenuti non passino anni e anni dietro le sbarre in attesa di processo. È capitato tante, troppo volte – infatti – che il traffico cittadino complicasse il tragitto fra Rikers e le aule dei tribunali. Facendo così perdere le udienze ai detenuti.
Lo stabile pianificato a Chinatown sostituirà un centro detentivo di 15 piani e 900 posti letto denominato The Tombs, famoso a sua volta per condizioni tutto fuorché idilliache. La nuova struttura, per contro, pur mantenendo la stessa capacità presenterà spazi quali centri ricreativi, cliniche sanitarie e aree di visita con sale giochi per bambini. Di qui l'impossibilità a rimanere «bassi» in altezza con il nuovo carcere.
Tutto molto bello, verrebbe da dire. Sennonché nessuno, per ora, sa esattamente che forma avrà il palazzo. Sebbene la demolizione del vecchio carcere sia in corso, la città non ha ancora scelto un costruttore per progettare e costruire il nuovo carcere. «È un po' come costruire un ponte mentre lo si attraversa» ha spiegato Jan Lee, fondatore di Neighbors United Below Canal Street, un gruppo che si oppone al progetto. A detta di Lee, l'edificio sarà massiccio e si estenderà per due o tre isolati in ogni direzione. Sarà alto come la Statua della Libertà, che – Wikipedia alla mano – è alta 93 metri. Il nuovo carcere, dunque, «sarà il faro di Chinatown». E ancora: «Non importa dove uno guardi, si vedrà questa prigione». Al punto che «Chinatown sarà conosciuta come Jailtown».
Lee non è il solo a parlare di edificio fuori scala. Anche Kerri Culhane, storico dell'architettura ed esperto di Chinatown, ha usato termini simili. L'ombra della prigione, addirittura, potrebbe raggiungere il Manhattan Bridge.
Un quartiere in difficoltà
Il problema, ad ogni modo, non è solo estetico. Chinatown è stata colpita per prima, e più duramente, dalla pandemia. Per tacere dei crimini d'odio nei confronti dei cittadini di origine asiatica. Storicamente, invece, il quartiere aveva sofferto la chiusura prolungata dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre. Molti residenti, ancora, avevano lasciato il quartiere in seguito all'uragano Sandy, che tolse la corrente a Chinatown per settimane e settimane. A fronte di ogni tragedia o disastro, i residenti hanno spesso tuonato contro le autorità. Al grido «avete fatto poco, troppo poco».
Le proteste, vibranti, hanno portato anche molte persone a protestare per strada. Fra questi, lo scorso aprile, c'era anche Lee. L'amministrazione Adams, in particolare, è accusata di non aver ascoltato abbastanza la comunità locale. Edi non aver considerato il riutilizzo adattivo, ovvero la ristrutturazione del carcere esistente a Chinatown. Una soluzione, questa, peraltro più economica e veloce.
La città, dal canto suo, è determinata a costruire il palazzo della discordia: «L'amministrazione si è impegnata profondamente e ampiamente con i membri della comunità e i funzionari eletti nel corso degli ultimi 17 mesi, anche sospendendo i lavori per due mesi all'inizio del 2022 e di nuovo parzialmente nel 2023 per valutare proposte alternative» ha dichiarato un portavoce di Adams al Guardian tramite un'e-mail. «Sulla base di un'analisi approfondita, il team di esperti e ingegneri dell'amministrazione ha stabilito che il nostro piano sarebbe stato più veloce, avrebbe fatto risparmiare milioni di dollari ai contribuenti e avrebbe limitato i disagi per la comunità».
Alcuni attivisti, con un ottimismo invidiabile, hanno proposto un'alternativa ancora migliore: destinare i soldi previsti per l'opera per migliorare, dal basso, Chinatown. Evitando, così, che le persone finiscano in prigione. «Perché le persone devono andare in prigione per avere accesso a servizi che dovrebbero essere ben finanziati nella loro comunità, per evitare che finiscano in prigione?» ha chiesto Woods Ervin, un organizzatore del gruppo abolizionista Critical Resistance. Secondo Jan Lee, mettendo questi servizi all'interno delle carceri, la città di New York sembrerebbe aver «rinunciato» ai suoi cittadini. «Il messaggio è: vi aiuteremo, ma lo faremo nel posto in cui sappiamo che finirete, cioè in prigione».
Fra rassegnazione e frustrazione
La settimana scorsa, in occasione di un incontro con le autorità, Lee ha chiesto al sindaco Adams non tanto di fermare il progetto ma, almeno, di «assicurarsi che questo edificio sia della giusta dimensione, della giusta scala e della giusta misura per la nostra comunità con il minor impatto possibile». Adams ha risposto affermativamente, ribadendo al pubblico presente che una struttura del genere non rientrava certo fra le sue priorità: «Avrei fatto diversamente. Ma questa è la realtà, ho ereditato una città distrutta che ora dobbiamo sistemare». D'altro canto, ha ammonito, che cosa dovrebbe fare la città? «Dovremmo prendere i detenuti di Rikers, che potrebbero aver commesso crimini violenti e, poiché non abbiamo spazio, rimetterli per strada?».
Nessuno, durante l'incontro, ha più osato ribattere al sindaco. Segno di una stanchezza e una frustrazione di fondo, fra gli oppositori, oramai evidenti. Chinatown avrà la sua prigione che sfiderà il cielo. E, forse, anche il buonsenso.