Il mondo dopo FTX

Il crollo della piattaforma FTX e di Sam Bankman-Fried, nome che sembra finto, sta trascinando con sé tutto il mondo delle criptovalute e dei loro intermediari. Numeri non da semplici movimenti al ribasso, ma proprio da fine di un’epoca. Male gli intermediari come Genesis Trading, che essendo esposto per 50 miliardi di dollari di prestiti si è trovato in crisi di liquidità e ha chiuso i riscatti dei clienti, malissimo le criptovalute propriamente dette: in un anno il Bitcoin ha perso l’80% del suo valore. In realtà la storia di FTX e del suo padrone illuminato e democratico, che si nascondeva dietro la beneficenza e testimonial famosi, non riguarda la natura delle criptovalute ma è una truffa in senso stretto: Bankman-Fried dalla sua casa alle Bahamas si appropriava dei soldi che i clienti mettevano sulla piattaforma per loro operazioni e con questi finanziava il trading quantitativo di un suo fondo di investimento chiamato Alameda Research. La ‘garanzia’ era a sua volta una criptovaluta prodotta da FTX e pubblicizzata da stelle come Gisele Bundchen e Naomi Osaka (la tennista ha perso anche tantissimi soldi personali). Uno schema criminoso del genere sarebbe stato possibile anche nella finanza pre crypto ma certo dopo queste notizie le persone che vorranno buttarsi in questo mercato ci penseranno cento volte: al di là dei Bitcoin in aggregato le criptovalute hanno perso in un anno il 70%, passando da 2.800 a 800 miliardi di dollari di valore. FTX non è quindi la Lehman Brothers del mondo crypto, ma lo sviluppo clamoroso di una crisi già in atto.
Fallimenti gemelli
Adesso non si può dire che la truffa FTX, basata in fin dei conti su una versione moderna dello schema Ponzi-Madoff (chi vuole uscire viene pagato con i soldi di chi entra, finché ci sono), sia la causa di tutti i mali del mondo ma certo ha generato un effetto domino che ha colpito Genesis Global Capital, cioè la principale piattaforma dei prestiti di criptovalute, che ha sospeso l’erogazione di nuovi prestiti (fra quelli vecchi c’erano anche quelli ad Alameda Research), e Gemini Trust Co., altra piattaforma del settore, di proprietà dei gemelli Winklevoss (più noti per il contenzioso con Zuckerberg riguardante l’idea di Facebook). Genesis ha infatti fatto prestiti anche a Gemini Earn, il prodotto di Gemini che consente di guadagnare con lo staking (traduzione grezza: premi o interessi per chi detiene Ethereum e altre critovalute). Tutto questo arriva dopo il quasi fallimento di Arrows Capital, hedge fund specializzato in criptovalute. Lungo poi l’elenco di investitori rovinati o duramante colpiti, come fondi sovrani o fondi pensione.
Verso il monopolio
A resistere è per il momento Binance, la piattaforma per il trading di criptovalute più importante, che ha sede alle Isole Cayman. Changpeng Zhao, il cinese-canadese fondatore della piattaforma, aspira ad essere per questo mondo una specie di banchiere centrale, anche se fra poco più che centrale rischia di rimanere l’unico. Zhao ha infatti dichiarato che Binance creerà un fondo per la ripresa del settore e ha promesso di rendere trasparenti le partecipazioni dei clienti in monete digitali. "Le criptovalute non stanno scomparendo. Siamo ancora qui. Ricostruiamo", ha twittato Zhao, che il mese scorso fra l’altro ha con 500 milioni di dollari contribuito all’operazione Musk-Twitter. Senza entrare in tecnicismi. Zhao propone che le borse di criptovalute debbano fornire ai clienti le prove che i loro depositi sono all’interno delle borse stesse e non usate per altro in stile FTX. Da ricordare che Binance detiene il 62% della quota di mercato per il trading di derivati, e che se il mondo delle criptovalute riuscirà a in qualche modo a resistere alla vicenda FTX allora si ritroverebbe in una situazione di quasi monopolio. Fra l’altro in questo periodo di megalicenziamenti tech una realtà come Binance continua ad assumere ed è arrivata ad 8.000 dipendenti.
Modello Salvador
Cosa succederà ai paesi e alle città che hanno puntato forte sulle criptovalute? Non facendo trading, ma permettendone l’uso come mezzo di pagamento quotidiano. L’anno scorso El Salvador è stato il primo paese ad adottare una criptovaluta, il Bitcoin, come moneta a corso legale. Una scelta a metà fra la modernizzazione ed il desiderio di svincolarsi da valute straniere, su tutte il dollaro americano, usate alla stregua di valute nazionali. Una svolta accolta con proteste, per la natura autoritaria dell’operazione (tutto diventa tracciabile), ma tutto sommato digerita. Il modello salvadoregno, se vogliamo chiamarlo così, è stato tenuto ben presente anche dalla città di Lugano, che sta stimolando l’uso di Bitcoin e Tether, oltre che dei locali LVGA, anche per i pagamenti normali presso i commercianti. Forse più per accreditarsi come polo di innovazione, facendo la parte di quelli moderni, che per reale necessità: esiste qualcuno al mondo che non si fidi dei franchi svizzeri?
La crisi del mondo crypto è strettamente legata a quella del mondo tech ed alla creazione intensiva di denaro fatta da tante banche centrali negli ultimi anni, a partire da quella americana, per reagire alle crisi generate dal Covid. Da Federal Reserve, BCE, Banca del popolo della Cina, eccetera, sono arrivati tanti soldi, a tassi bassissimi, che un po’ hanno fatto ripartire le economie reali e molto hanno dopato le attività finanziarie: le criptovalute ma anche le Borse cosiddette serie. Con il risultato che il valore totale di Apple, Amazon, Meta, Alphabet, Microsoft e Netflix è calato di 3.000 miliardi rispetto al marzo scorso. E stiamo parlando di aziende sanissime, che possono sbagliare qualche investimento ma che producono valanghe di utili e hanno un modello di business chiaro. Non è quindi che le criptovalute rappresentino il male, anzi come forma di pagamento (alla luganese-salvadoregna) hanno probabilmente futuro, ma come forma di investimento sono state negli ultimi anni agganciati ad un sistema che prevedeva soltanto rialzi. Quanto a chi ne permette il trading, la fiducia è davvero una scommessa. Lo sbocco finale di tutte queste turbolenze sembra quindi chiaro: la criptovaluta di Stato, in tempi e modi diversi.