Vaticano

Il Natale di Papa Leone XIV: «Basta guerre, chi chiede la pace non è ridicolo»

Dopo due giorni di appelli alla pace e ad ascoltare il grido dell'umanità provata, dalle tende di Gaza ai fronti di guerra, papa Prevost si fa sentire anche contro chi vuole tacitare le voci che invocano la pace e il disarmo
©ANGELO CARCONI
Ats
26.12.2025 19:48

«Chi oggi crede alla pace e ha scelto la via disarmata di Gesù è spesso ridicolizzato, spinto fuori dal discorso pubblico e non di rado accusato di favorire avversari e nemici».

È netto all'Angelus di Santo Stefano, quando si fa memoria del primo martire della Chiesa, papa Leone. Dopo due giorni di appelli alla pace e ad ascoltare il grido dell'umanità provata, dalle tende di Gaza ai fronti di guerra, papa Prevost si fa sentire anche contro chi vuole tacitare le voci che invocano la pace e il disarmo: «Stefano morì perdonando, come Gesù: per una forza più vera di quella delle armi».

E non può non esserci un riferimento implicito anche a quanto avvenuto nella notte di Natale in Nigeria con i raid ordinati dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che hanno preso di mira gli affiliati dell'Isis responsabili di massacri di cristiani.

«L'esempio di mitezza, di coraggio e di perdono» di santo Stefano, avverte Prevost parlando a braccio alla piazza dei fedeli, «accompagni quanti si impegnano nelle situazioni di conflitto per promuovere il dialogo, la riconciliazione e la pace».

La memoria del protomartire Stefano è da sempre momento di vicinanza della Chiesa ai cristiani perseguitati nelle varie parti del mondo ma Leone, invitando a sostenere «le comunità che maggiormente soffrono per la loro testimonianza», ribadisce anche che «il cristiano non ha nemici, ma fratelli e sorelle, che rimangono tali anche quando non ci si comprende». Insomma, alla violenza non si risponde con la violenza.

Richiamo che fa eco alle parole spese dal Pontefice dalla notte di Natale fino alla tradizionale benedizione Urbi et orbi del 25 dal Loggione centrale della basilica di San Pietro, quando ha ripreso anche una vecchia tradizione dei Papi pronunciando gli auguri in dieci diverse lingue tra cui il cinese l'arabo e il latino. Nella messa della notte, Leone ha spiegato di pensare «alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente».

E ancora, alle «popolazioni inermi, provate dalle guerre in corso o concluse lasciando macerie e ferite aperte» come pure alle «vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l'insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna» dei «roboanti discorsi di chi li manda a morire».

All'Urbi et orbi nel momento più solenne del Natale, Prevost si è rivolto al continente europeo, affinché continui a «spirarvi uno spirito comunitario», «fedele alle sue radici cristiane» mentre per il «martoriato popolo ucraino» ha invocato lo stop del «fragore delle armi» invitando ancora una volta Mosca e Kiev «sostenute dall'impegno della comunità internazionale» a trovare il coraggio «di dialogare in modo sincero, diretto e rispettoso».

Il Papa ha toccato nel suo messaggio i conflitti dimenticati ad ogni angolo del pianeta come pure ha ricordato gli sfollati, i migranti, quanti non hanno lavoro o sono sottopagati o hanno perso tutto «come a Gaza». Consacrando il suo primo Natale da Pontefice alla pace, Leone ha scelto pure di citare il poeta israeliano Yehuda Amichai, perché questa arrivi finalmente «all'improvviso come un fiore selvatico».

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